Quando il vuoto diventa materia. Intervista all’architetto Manuel Aires Mateus
Che cos’è l'iper-regionalismo in architettura? Recentemente premiato in Italia dall’AIAC, l’architetto portoghese Manuel Aires Mateus offre la sua interpretazione in questa intervista
La XIII edizione di Architects Meet ha trasformato per un po‘ la città di Lecce nella capitale dell’architettura: oltre 600 presenze dall’Italia e dall’estero registrate durante la tre giorni, dal 24 al 26 ottobre. “Un successo che, siamo convinti” commenta Luigi Prestinenza Puglisi (che dirige l’AIAC, promotrice dell’iniziativa) “sia dovuto ad una serie di fattori tutti ugualmente importanti, a partire dalla scelta dei luoghi – tre differenti location diffuse per il centro storico – e dalla sinergia con cui si è lavorato insieme ai partner locali. Così come il tema individuato, che ha consentito di fare il punto sullo stato dell’arte nell’architettura italiana, con particolare attenzione alle nuove generazioni”. In questa prima edizione pugliese Architects Meet attraverso Hyper Regionalism, materialità e immaterialità dell’architettura ha indagato, infatti, un fenomeno recente: il voler contrapporre ad architetture senz’anima, uguali in tutti i luoghi, spazi che siano radicati e riconoscibili. Opere in cui la materia giochi un ruolo di primo piano, recuperando frammenti il più possibile ampi e significativi delle preesistenze e valorizzando la complessità delle sue stratificazioni. Che non significa essere retorici o vernacolari: vuol dire, piuttosto, essere consapevoli delle potenzialità dell’esistente. E del fatto che oggi una sintesi è possibile, pur sapendo che l’architettura deve rispettare standard elevati di comfort ed efficienza, ed essere quindi attraversata dai flussi immateriali della contemporaneità.
Prima volta in Puglia per il meeting “Architects Meet” dell’AIAC
Organizzata dall’AIAC – Associazione Italiana di Architettura e Critica (con il Comune di Lecce, il Polo Biblio-Museale, l’Ordine degli Architetti P.P.C. della provincia di Lecce, e con il patrocinio del Consiglio Nazionale Architetti e di ALA-Premio Dedalo Minosse), attraverso talk, tavole rotonde, presentazioni di libri e momenti di confronto, formali e informali, tra professionisti Architects meet ha dunque preso in esame l’Hyper Regionalism. Oltre alle due mostre – l’itinerante Supermostra24 (a cura di Ilaria Olivieri e Luigi Prestinenza Puglisi, con un allestimento dello studio Valari Architecture alla Biblioteca Bernardini – Convitto Palmieri) e HyperRegionalism (con 140 book selezionati tramite call ed esposti nella chiesa sconsacrata di S.Maria di Ogni Bene secondo l’allestimento di Riat Archidecor), sono stati assegnati numerosi premi. Amedeo Schiattarella, Massimiliano Rendina, Andrea Eusebi, Silvia Brocchini, Aacm, Vincenzo Tenore (+t studio), Tisselli Studio hanno ricevuto i premi nazionali; a Manuel Aires Mateus (Lisbona, 1963) fondatore nel 1988, insieme al fratello Francisco, dell’omonimo studio, dopo una prima collaborazione con Gonçalo Byrne, è stato attribuito il premio internazionale.
Manuel Aires Mateus e l’iper-regionalismo in architettura
In una lectio gremita al Teatro Paisiello di Lecce, parlando di archetipi, di locale e globale, di passato, presente e futuro, Mateus ha mostrato alcuni lavori che rispondono al tema dell’iper-regionalismo, ma anche del materiale e immateriale dell’architettura: piccole opere quasi sempre caratterizzate da una purezza formale che tende all’astrazione, insieme di pieni e vuoti che si fanno spazio, tagli netti per far passare la luce, uso di tecniche e materiali locali. In particolare, si è soffermato su Torre67, la sua prima esperienza in Puglia completata quest’anno. Si tratta del recupero di un’antica torre a pianta quadrata nella zona rurale di Alezio (Lecce). Un progetto che parte dal valore storico del manufatto originario, lo libera, ne riusa le pietre, gli restituisce identità, trasformandolo in abitazione per due committenti milanesi che hanno scelto di abitare in Puglia. Senza aggiungerci nulla: se non una piscina, che è la versione in sagoma negativa della torre in pianta.
Intervista all’architetto portoghese Manuel Aires Mateus
Tre parole per descrivere il suo lavoro.
Ricerca, apertura, dialogo.
Alla Biennale di Architettura di Venezia del 2010 con l’installazione Voids Aires Mateus ha spiegato la sua concezione di spazio, ottenuto “aggiungendo una sottrazione, costruendo uno scavo“: ci spieghi meglio questa filosofia.
Quello che volevamo mostrare alla Biennale è che lo spazio ha una grande libertà in relazione al volume. Spesso, nell’architettura contemporanea, vediamo una corrispondenza diretta tra volume e spazio. La storia ci insegna che questa relazione diretta non sempre si stabilisce, quindi diciamo che ogni parete, ogni confine, è uno spazio in sé che può essere utilizzato. Può essere perché si lavora sul confine o sul muro, o perché si introducono spazi tecnici o secondari, ma in ogni caso rivendichiamo questa libertà tra spazialità e volume.
Cosa ha imparato dai suoi tre principali maestri: Gonçalo Byrne, Peter Zumthor e Alvaro Siza?
Gonçalo Byrne è l’architetto della saggezza, della conoscenza e dell’informazione.
Peter Zumthor è l’uomo che parla di un’architettura totale, un’architettura immersiva, con l’idea di creare un rapporto con le persone attraverso le atmosfere. Álvaro Siza è l’uomo della libertà, della creatività, del genio e dell’approccio unico per ogni progetto.
L’architettura come arte della permanenza secondo Manuel Aires Mateus
L’architettura moderna e contemporanea ci ha mostrato come il total white o lo si odia o lo si ama. Lei chiaramente appartiene al secondo gruppo: qual è la ragione e il significato di questa scelta cromatica così netta e presente?
Credo che l’architettura non debba essere concepita in funzione di un risultato finale. Il bianco è meraviglioso nelle giuste condizioni d’uso e quando risulta logicamente da quella forma. Non potremmo concepire nulla senza il bianco; il bianco ha valori unici, ma non credo sia giusto immaginare che l’architettura che mi interessa sia puramente bianca. Abbiamo già lavorato con tutti i materiali e i colori. Il bianco ha valori indiscutibili: purezza, pulizia, riflessione. E quando emerge come la soluzione migliore, va usato.
Qual è la sua relazione con la tecnologia? In che modo pensa che influirà nella progettazione degli spazi privati e comuni?La tecnologia è al nostro servizio. L’architettura risponde al suo tempo, quindi risponde anche alle tecnologie disponibili. Ma sappiamo che gli aspetti dell’architettura e dello spazio sono molto permanenti. Potremmo vivere in una casa romana, sederci come gli Egizi e capire perfettamente uno spazio pubblico greco. Ci sono cose che sono molto durature, anche se la tecnologia e l’evoluzione del mondo portano piccoli cambiamenti. Ma l’architettura è l’arte della permanenza, quindi ciò che ci interessa di più è ciò che è rimasto nel corso della storia.
Per lei quali sono gli elementi imprescindibili da tenere in considerazione per rendere buona un’architettura?
L’architettura deve avere a che fare con la vita. Deve avere questa intelligenza. Lavoriamo per la vita e questo è ciò che rende buona l’architettura. Ciò che apprezziamo di più è la libertà, quindi dobbiamo creare spazi che permettano alle persone di adattarli liberamente. E questo è ciò che dà la qualità che le persone cercano veramente.
I progetti dello studio Aires Mateus e il recente esordio in Puglia
Quali sono i progetti che considera milestones? E perché?
Credo che la nostra produzione non sia basata su tappe fondamentali. Stiamo sempre conducendo indagini. Un tema ricorrente fin dall’inizio è stata la casa unifamiliare, che ci ha permesso di condurre diversi esperimenti molto importanti per noi.
Avete all’attivo nuove costruzioni ma anche tanti interventi sulle preesistenze. Come giudica il rapporto con il patrimonio storico, il territorio, i materiali locali?
Affrontiamo sempre ogni progetto come un intervento basato sulle condizioni di partenza. Se troviamo uno spazio vuoto, lavoriamo con quel vuoto. Ma è molto interessante incontrare condizioni preesistenti perché finiamo per dialogare con realtà che sono state create in precedenza. Naturalmente, sono molto interessato al patrimonio storico: se ha resistito al tempo, vuol dire che aveva delle qualità che gli hanno permesso di durare. Quello che ci piace fare è valorizzare, enfatizzare e lavorare con le qualità che troviamo. È una condizione generale di ogni progetto: metterne in luce i valori di una data realtà, far emergere le potenzialità e lasciare queste condizioni perché altri gli interventi futuri possano compiersi.
Come il Portogallo – o, forse sarebbe meglio dire, la scuola portoghese – approccia al tema dell’Hyper Regionalism? Rileva differenze con l’Italia?
In Portogallo le influenze del regionalismo provengono dall’Italia: queste condizioni sono nate essenzialmente in Italia 20 o 30 anni prima che in Portogallo, quindi in questo senso i due Paesi affrontano tali temi allo stesso modo. Ciò che mi interessa fondamentalmente è l’idea che in ogni luogo ci sia una condizione che deve essere percepita, ed è questo che può dare veramente valore. Il mondo è molto più interessante per la sua diversità.
State lavorando in Puglia: ci racconta il progetto Torre67 in corso qui?
È sviluppato in stretta collaborazione con i proprietari delle case: questo è un chiaro valore del progetto. Abbiamo iniziato trovando una torre con un’estensione che, in sostanza, la deformava e la indeboliva. Abbiamo proposto ai clienti di smantellare l’estensione dalla torre e di utilizzare le pietre per costruire una piscina. Quindi abbiamo ripulito e riportato la torre alla sua forza storica, lavorando con ciò che la struttura preesistente ci offriva. Abbiamo ridisegnato lo spazio d’ingresso, mantenendo la scala esistente, cercando di toccarla il meno possibile. Vogliamo abbracciare questo patrimonio, spostarlo il meno possibile e aggiungere uno strato più delicato che ci permetta di abitarlo. L’idea e la nostra responsabilità sono: trasformarlo, renderlo fruibile in questo momento e preservarne i valori per le generazioni future.
Giulia Mura
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