Il restauro di Palazzo Nardini a Roma raccontato da chi lo sta facendo
Come si affronta la campagna di riqualificazione e restauro di un monumentale palazzo che ha vissuto secoli di storia nel cuore di Roma? Ne parliamo con gli architetti Marina Cristiani e Antonio Forcellino, al lavoro su uno degli edifici più misteriosi della Roma quattrocentesca
Su via del Governo Vecchio, al civico 39, la facciata di Palazzo Nardini si mostra, finalmente, nella sua monumentalità e finezza decorativa. Liberata dalle impalcature che hanno permesso un lungo e accurato lavoro di restauro, anticipa i progressi del cantiere che a partire dal 2022 ha coinvolto un team interdisciplinare nel ripristino dell’architettura e della storia dell’edificio – vicendevolmente intrecciate nelle trasformazioni che il palazzo ha subìto nel corso dei secoli – con l’obiettivo di rivelarne l’unicità nel panorama romano.
Edificato nell’ultimo quarto del Quattrocento per volere del cardinale Stefano Nardini, non distante dall’odierna Piazza Navona, Palazzo Nardini ha infatti attraversato secoli di storia di Roma, tra fortune e miserie, ospitando anche, negli anni Settanta, la prima Casa delle donne in Italia, prima di un lungo periodo di oblio. Al degrado degli ultimi decenni sta rimediando il progetto di rinascita voluto dalla nuova proprietà, che ha finanziato l’avvio di un ambizioso progetto di restauro conservativo, con l’idea di dare al palazzo un futuro all’altezza del suo passato, nel rispetto del genius loci. Al lavoro c’è il gruppo guidato dall’architetto Marina Cristiani con Antonio Forcellino, anche lui architetto, oltre che storico dell’arte e restauratore. Ora che il cantiere si avvicina a conclusione, sull’orizzonte del 2025, li abbiamo interpellati sugli obiettivi, le difficoltà e le sorprese di questa imponente campagna di rigenerazione edilizia nel cuore di Roma.
Il cantiere di Palazzo Nardini a Roma
Con che tipologia di architettura vi siete confrontati a Palazzo Nardini?
Il palazzo Nardini nasce dall’unione di più edifici diversi per tipologia e dimensione: palazzi, case, domunculum, torri, corti, orti. Tra queste preesistenze ve ne sono alcune con tratti monumentali, come il palazzo di Pietro da Noceto verso la via della Fossa. Questa parte trecentesca, primo nucleo del palazzo, era già dotata di un porticato e di una loggia, oltre che di apparati decorativi. Tutte queste diverse preesistenze comprese tra via della Fossa, via di San Tommaso in Parione e via del Governo Vecchio verranno integrate magistralmente nel progetto del grande architetto che, intorno al 1480, completerà il palazzo dandogli coerenza e rigore. Ma pur nella sua unicità costruttiva il Palazzo Nardini è avvicinabile al Palazzo di Venezia e alla parte sistina del Palazzo Vaticano.
Qual è stato l’obiettivo principale del progetto di restauro?
Abbiamo cercato di capire da subito in che modo fosse possibile restituire al palazzo una piena funzionalità contemperando questa esigenza con il rispetto dei suoi materiali costitutivi, sia che si trattasse di elementi di pregio, sia che si trattasse degli elementi costruttivi, sia che si trattasse di elementi “immateriali” quali i colori, le luci, i percorsi e la sua stessa tipologia. È importante chiarire che l’aspetto centrale del nostro approccio era quello di non concedere nulla al restauro imitativo, come è avvenuto nella prima parte del secolo scorso per molte architetture italiane, ma di interpretare in chiave moderna il testo architettonico senza tradire un monumento così complesso e già provato da secoli di trasformazioni spesso caotiche e da interventi violenti.
L’importanza della ricerca storica
E quindi che tipo di lavoro si è reso necessario per ripristinare il valore storico di Palazzo Nardini, tenendo conto delle diverse fasi vissute dall’edificio nel corso dei secoli?
Il nostro lavoro di progettisti è stato preceduto da un lavoro di “scavo storico”, non solo nei documenti ma nella materia stessa del palazzo, che ha permesso di ricostruire con sufficiente puntualità le sue fasi di crescita e di trasformazione nei secoli. La lettura dell’impianto originario non è stata facile: alcuni ambienti hanno cambiato dimensione e orientamento, nuovi accessi hanno cambiato la logica delle funzioni. La totale scomparsa dell’apparato decorativo, ancora in parte esistente fino ad epoca recente, ha reso più difficile immaginare il ruolo e la gerarchia di molte sale. Il progetto di restauro procede lentamente perché si intreccia con il processo conoscitivo, ogni proposta progettuale parte dalla comprensione dei caratteri morfologici, tipologici e decorativi della fabbrica e parte sempre da questi per ridare vitalità al monumento nel rispetto del suo valore storico.
Quali sono state le maggiori difficoltà riscontrate?
Tenere sotto controllo una dimensione quasi urbana del palazzo e la trasformazione nel tempo, per certi aspetti violenta, delle sue funzioni e della sua materia come, soprattutto, la rimozione radicale di pavimenti ed intonaci, elementi che caratterizzano significativamente gli spazi. Questa complessità e singolarità del palazzo Nardini hanno richiesto fin da subito un approccio multidisciplinare. Ci ha aiutato il fatto di essere un team progettuale che include storici dell’arte, architetti, restauratori, ingegneri. Abbiamo avuto la possibilità di partire da più punti di osservazione del manufatto e poter valutare tutti i diversi dettagli ancora parlanti dell’edificio. Sono questi dettagli che hanno permesso di far crescere intorno a loro ciò che mancava, con un approccio progettuale volto a ricucire e non a sovrapporre. Lo studio degli intonaci e dei pavimenti da riproporre, l’organizzazione dei percorsi è quella che noi definiamo come una rivitalizzazione creativa e un aggiornamento della fabbrica oltre la quale, a nostro giudizio, non si poteva andare. Perfino la progettazione dei dettagli come i corpi illuminanti ha seguito questa logica di grande e discreta rivitalizzazione.
Avete avuto anche sorprese?
In quella che possiamo definire una fase di “cantiere di studio”, fatta di indagini diagnostiche e di un sistematico e fondamentale lavoro di “sfogliamento graduale” di tutti gli intonaci, Palazzo Nardini ha restituito moltissimo della sua facies originaria, dandoci ulteriori informazioni sulla tipologia degli ambienti e perfino – oggi possiamo proclamarlo con felicità – alcune delle sue importantissime decorazioni: mostre marmoree, capitelli, stemmi, ma anche gli affreschi straordinari venuti alla luce in varie parti del palazzo intorno ai quali abbiamo lavorato. Le sorprese che questi studi hanno restituito sono andate ben oltre le aspettative, considerando che l’edificio è stato oggetto di un radicale restauro da parte di enti pubblici negli anni 2002-2007 e che quindi non ci si aspettava di veder affiorare né gli affreschi nella sala della Colonne, sicuramente databili al 1477-1480, né quelli davvero enigmatici appena emersi nel secondo piano e che rappresentano un finto paramento murario di difficile datazione per la mancanza di confronti possibili.
Gli esiti del cantiere di restauro di Palazzo Nardini
Qual è lo stato di avanzamento attuale del cantiere? Che tempi si prevedono per ultimare i lavori?
I tempi di realizzazione sono legati alla soluzione di alcuni problemi strutturali da risolvere, ma in generale tutte le questioni sono state portate a un punto quasi di definizione totale. Soprattutto il lavoro di carattere conservativo è molto avanzato essendo state restaurate le facciate esterne e interne, gli affreschi e gli elementi lapidei. Sono stati montati gli infissi sulla facciata principale consentendo così di chiudere il manufatto agli agenti aggressivi del degrado. Sono state realizzate campionature di pareti intonacate e di pavimenti e sono stati predisposti quasi del tutto i circuiti degli impianti.
Come si presenterà il Palazzo Nardini restituito alla città?
Una idea molto concreta di come sarà il palazzo restituito alla città si può avere guardando la facciata su via del Governo Vecchio appena liberata dalle impalcature e finalmente godibile in tutta la sua bellezza. Sulla facciata è stato condotto un lavoro che riassume le procedure utilizzate nel restauro di tutto il palazzo, quel lavoro che noi chiamiamo di “rammendo”. La facciata si presentava prima del restauro coperta da uno strato di sporco e di colore rossiccio che rendeva illeggibili i caratteri stilistici dei suoi vari componenti di epoche diverse: il meraviglioso cornicione in stucco marmorino, realizzato dal Vespignani a fine Ottocento con maestranze ancora capaci di fingere il marmo con l’impasto di calce e polvere di pietra; le modanature delle finestre finemente scolpite in marmo; il superbo portale in marmo che risulta composto in parte da frammenti antichi e in parte da nuovi elementi quattrocenteschi. Il restauro ha liberato ognuno di questi elementi con la cura e la delicatezza riservata solitamente alle sculture in pietra, senza spingere troppo le puliture e i ripristini per farli sembrare nuovi come avviene molto spesso, troppo spesso oggi a Roma.
Infine a concludere queste operazioni di recupero, la tinteggiatura dei fondi è stata eseguita con tinte confezionate in cantiere: un caso rarissimo a Roma dove ormai si è affermato un mercato di finto naturale con tinte industriali additivate da resine.
In questo lavoro, come in ogni altra parte del restauro del palazzo ci siamo fatti guidare non soltanto dalla sensibilità estetica ma dalla documentazione esistente nell’Archivio Centrale di Roma, dove le prescrizioni del Vespignani sono ancora conservate e attestano che alla fine del suo complesso lavoro di recupero, il palazzo, sia esternamente che nei cortili interni, fu tinteggiato con il “color travertino”.
Un team di lavoro interdisciplinare
Possiamo dire qualche parola sul team di lavoro? In quanti avete lavorato in cantiere?
Con noi hanno lavorato gli architetti Isabella Diotallevi, Pietro Fenici e l’architetto Gennaro Altimari, in rappresentanza dell’Azienda Viabizzuno©, specializzata in sistemi di illuminazione di altissima qualità e che ci affianca nella progettazione; le dottoresse Manuela Micangeli e Alessandra Risolo, esperte restauratrici; gli ingegneri Francesco Vasselli, Roberto Colombini e Enzo Mangiamele, e la professoressa Elisabetta Pallottino che ci ha affiancato nel lavoro di recupero e analisi dei dati storiografici. Fondamentale va considerata la presenza vigile e sempre stimolante del team della Soprintendenza Speciale per Roma che ricopre il ruolo di alta sorveglianza sui lavori in corso nel palazzo, costituito dalle architette Ilaria Delsere e Oliva Muratore, dallo storico dell’arte Paolo Castellani e dalla responsabile restauratrice Maria Milazzi, che hanno condiviso con noi tutte le fasi di studio e di elaborazione del progetto, oltre le fasi esecutive.
E il lavoro si è protratto a lungo…
Abbiamo iniziato a lavorare al progetto sin dal 2022 con lo studio di un piano di fattibilità, per poi proseguire con tutti i diversi gradi di progettazione fino al progetto esecutivo e alla direzione lavori, che in un caso come questo si configura come una continuazione della fase progettuale, perché emergono sempre nuovi elementi che obbligano a limare e riformulare scelte fatte precedentemente. Quindi è fondamentale la scelta di un’imprenditoria molto qualificata per l’esecuzione dei lavori, che non è mai una esecuzione passiva ma un momento attivo di diagnosi continua. In questo senso, grazie alla sensibilità della committenza possiamo dire che le maestranze all’opera in palazzo Nardini sono tra le più qualificate oggi sul mercato.
Se doveste tracciare un bilancio del cantiere oggi, quali sarebbero le prime conclusioni?
Con il progredire dell’intervento conservativo e al disvelarsi di molte evidenze materiali siamo arrivati a una rilettura del corpus documentale da cui sono emerse incongruenze temporali soprattutto rispetto alla datazione dell’ultimazione dei lavori del palazzo proposta dalla storiografia del XX secolo e collocata prima del 1480. Oggi, invece, la datazione della facciata si sposta credibilmente tra il 1483-84. Questo spostamento riapre la questione attributiva del disegno del portale e del magnifico cortile, che già nel XIX secolo furono attribuiti a Baccio Pontelli, successivamente scartato per questioni cronologiche essendo arrivato a Roma proprio intorno al 1480. Le risultanze dei nostri studi, invece, riportano in auge l’idea che qui abbia lavorato il Pontelli, rafforzata dalla vicinanza estrema dello stile degli elementi architettonici con altre sue opere romane e urbinati. Innegabile è la vicinanza dei capitelli del portico Nardini con il portico di San Pietro in Vincoli e il portico di SS. Apostoli, così come innegabile è il disegno del monumentale portale su via del Governo Vecchio con alcune delle porte disegnate per il palazzo Ducale di Urbino. E anche l’edificazione della stessa torre merlata del palazzo potrebbe ricondursi alla sensibilità del Pontelli.
Livia Montagnoli
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