In Piemonte il rudere che nessuno notava ora è uno spazio d’arte
Gli artisti 108 e CT lavorano da anni, in perfetta solitudine, in un rudere abbandonato del Piemonte, ora contenitore di una serie di lavori su parete
Un codice, “VLNV”, nasconde le coordinate di un luogo fuori dal comune. Un rudere dove due artisti, 108 e CT, ovvero Guido Bisagni e Matteo Castigliano, nell’arco di sette anni hanno lavorato incessantemente su ogni parete, realizzando grandi murali liberi da qualunque commissione e da qualsivoglia enfasi espositiva. Un posto dove i due artisti sperimentano in assoluta tranquillità soluzioni che poi trovano una strada regolare e ufficiale in studio. Per anni questo luogo, tuttora segreto, non è stato battuto da graffittari, vandali e senzatetto. Oppure i suoi “avventori” si sono dimostrati rispettosi, magari perché semplicemente disinteressati, consentendo alle numerose pitture di avvicendarsi intatte nel tempo.
L’operazione VLNV di 108 e CT
Parlo di una struttura che ho visitato e documentato, con un certo spirito d’avventura, che si sviluppa per tre piani, con ampi, lunghi spazi aperti e dunque ben illuminati. Non esistono infissi e manca completamente la facciata di un intero lato dell’edificio. Ogni cosa è esposta ai capricci del tempo, come un corpo perennemente congestionato che ostinatamente rifiuta calore e cure. Mi sono mosso in questo organismo come una cellula estranea, che, perdendosi nelle arterie malate, è scesa fino a una cavità estrema: lì, ho riconosciuto me stesso nella società in cui vivo. A ogni modo, tutto sembra predisposto per essere un museo ben rappresentativo del nostro tempo: in alcune rare e formidabili situazioni, Guido Bisagni e Matteo Castigliano vi hanno organizzato mostre, con tanto di invito per la giornata inaugurale e tutta la promozione a seguire, in un’ala specifica dell’immenso spazio, ancora più riservata. Il pubblico che li segue poteva solamente subodorare l’esistenza di questo luogo, senza potervi arrivare facilmente. Con la giusta attenzione e la dovuta volontà, alcuni indizi potevano però condurre al luogo pirata. Pochissimi intimi hanno potuto così visitare le due mostre: Default(2023) e Concrete Corner (2024).
Il processo creativo di 108 e CT
Dopo aver attraversato sterpaglie, rovi pungenti, ragnatele orrorifiche, rampe insidiose e tanti murali aperti al mondo e allo stesso tempo nascosti in esso, si entra in questa caverna moderna. Scheletro di struttura nata per scopi mercantili, ma oramai deteriorata, vede 108 e CT agire insieme nel suo intestino, lungo i margini vacillanti della vita urbana. Qui i due, legati da stima e amicizia, trovano tranquillità e senso del creare, si ricongiungono alla pittura parietale e lavorano indisturbati, ognuno sulla propria porzione di parete. La routine prevede la condivisione oltre che dello spazio misterioso anche del colore di base: si tratta di vernici scelte da CT in discariche, recuperate di volta in volta prima che vengano smaltite chissà come e dove. Pertanto i murali frutto del rito quotidiano hanno un colore di base identico, dettato dalle contingenze, a unire la pittura di 108 a quella di CT, in spirito e regola. Non c’è una meticolosa pianificazione: si prende quello che la discarica offre – a volte il grigio, altre verde fluo, viola e verdini, rossi, beige e ovviamente tanto nero.
Rovine e critica al consumismo nell’opera di 108 e CT
Nel deteriorarsi dei materiali, tra sterpaglie e acquitrini, tra le foglie che cadono e marciscono, tra gli innumerevoli eventi caotici che avvengono nella nostra società e nel caos dell’universo, la sola cosa stupefacente è l’inesauribile ricerca di senso, di armonia, di connessione, di ordine. Per questo, possiamo affermare che dentro queste macerie del sistema produttivo i due artisti sprigionano tutta la loro vitalità artistica. 108 sparge le sue macchie come se sorgessero direttamente da quelle pareti, quasi a tirarle fuori con le pinze da una ferita dimenticata. CT, dal canto suo, con le sue geometrie universali riporta l’ordine dentro l’imprevedibilità del consumismo. Entrambi gettano alcool sulla fiamma del presente, facendoci intuire il senso del sistema dentro cui ci muoviamo.
Fare arte al margine
VLNV è collocato lungo un margine troppo distante dal panorama a cui siamo abituati, per questo nessuno lo nota, nonostante svetti oltre i guardrail e gli alberi malati. E c’è ben poco di instagrammabile – opere a parte, che sono opere eccezionali. Si scava e si lavora tra i rifiuti del sistema mercantile, tra gli scarti di un’economia spinta allo stremo che si sbriciola in guerre, vittime e ruderi sfiniti. Come se effettivamente questa società debba sbrigarsi a morire, per permettere di ricominciare al ciclo della vita e del creare. Loro, Guido e Matteo, sanno che devono muoversi dal di dentro, che il sistema non lo si può criticare guardandolo dalla finestra. Andando e agendo fisicamente nel cuore marcio dello sperpero in cui rotoliamo quotidianamente, lontani da ogni dinamica di vendita e di committenze, ci fanno capire che l’arte può darci ancora da sperare, perché non è solamente atta a ritagliarsi ambizioni – doverose, per carità, in gallerie e musei; ma tiene in considerazione contesti periferici, dimenticati e persino insalubri, e resta concentrata su quello che ci lasciamo sfuggire pur avendolo sotto il naso, proprio come la grande struttura VLNV: ci scivoliamo intorno, la sfioriamo con lo sguardo, senza mai vederla davvero, tanto meno attraversarla realmente. Anche il mantenere astratte le coordinate del posto ha un senso: fa sì che esso sia facilmente assimilabile quale luogo universale, in cui chiunque, anche con un certo sforzo istruttivo, possa rintracciare un’immagine che in verità ha già presente nella propria memoria.
Domenico Russo
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