Tra i mille discutibili provvedimenti di Trump ce n’è uno contro l’architettura contemporanea
La nota del neopresidente sulla modifica delle linee guida per l’architettura pubblica americana nel segno di un ritorno alla tradizione e allo stile classico conferma un’idea già condivisa da Trump durante il suo primo mandato. Ben distante, però, dall’approccio che il tycoon ha sempre prediletto per i suoi edifici privati
Che l’architettura classica – necessariamente neoclassica, se parliamo dei “giovani” Stati Uniti – dovesse essere preferita a ogni altro stile o guizzo moderno nel rappresentare l’America istituzionale, Donald Trump aveva provato a sostenerlo già all’epoca del suo primo mandato presidenziale. Era l’inizio 2020, e il discusso tycoon, nel 2017 sorprendentemente eletto alla Casa Bianca, inoltrava alle amministrazioni federali una nota intitolata Making Federal Buildings Beautiful Again (poi revocata da Joe Biden nel 2021), sostenendo come il neoclassicismo incarnasse gli ideali dei Padri fondatori, a differenza di stili “contemporanei” come il Brutalismo e il Decostruttivismo, “incapaci di incarnare i valori nazionali americani”.
Trump e gli ideali dell’architettura neoclassica
Da qui il suggerimento di recuperare quanto fatto in architettura nell’Ottocento a imitazione delle civiltà di Roma e Grecia antiche, evidenziando quel riferimento alla grandezza dell’impero romano e a un passato mitico da ripristinare che, giunti al secondo mandato, sembra essere diventato una vera ossessione del presidente Trump e del suo entourage (ricordiamo che anche Albert Speer, architetto ufficiale di Hitler, predilesse il recupero dello stile neoclassico per rappresentare l’immagine del nazismo, e così fece l’architettura fascista in Italia, pur non ostacolando, però, l’avvento del modernismo, anzi incentivandolo).
Le linee guida per l’architettura federale negli Stati Uniti
Un approccio ben differente, quello di Donald Trump, dall’apertura inclusiva dimostrata dall’amministrazione Kennedy all’inizio degli Anni Sessanta, quando la prima introduzione alle Linee guida per l’architettura federale, ideata nel 1962 per garantire che gli edifici pubblici rappresentassero “gli interessi e le aspirazioni del popolo americano”, prendeva le distanze da qualsiasi stile governativo ufficiale, confidando che le idee dei progettisti potessero influenzare e valorizzare le istituzioni, e non viceversa. Non una cattiva intuizione, alla luce di quanto avevano fatto per l’architettura statunitense e globale figure come Frank Lloyd Wright e Ludwig Mies van der Rohe, solo per citare i più grandi.
Il nuovo memorandum di Trump per la “bella” architettura pubblica
Nella messe di provvedimenti e ordini esecutivi che si è affrettato a ratificare all’indomani del suo insediamento per il secondo mandato, invece, Trump reitera lo schema di cui sopra, con un memorandum inviato alle amministrazioni in data 20 gennaio 2025 che ribadisce il suo punto di vista, alimentato da uno sciovinismo ora più esasperato e incattivito rispetto a quattro anni fa. Certo non saranno le indicazioni imposte all’architettura pubblica a far temere per il futuro democratico degli Stati Uniti, ma di nuovo la nota che si propone in oggetto di Promoting Beautiful Federal Civic Architecture enfatizza quel mix di protezionismo e conservatorismo alla base del successo del neopresidente. “I nostri edifici pubblici”, si legge nel memorandum “dovrebbero essere visivamente identificabili come edifici civici e rispettare il patrimonio architettonico regionale, tradizionale e classico, al fine di elevare e abbellire gli spazi pubblici e nobilitare gli Stati Uniti e il nostro sistema di self-government”. Pur in assenza di riferimenti espliciti di condanna al Brutalismo e al Decostruttivismo, o a ogni altra forma di architettura contemporanea, l’indirizzo suggerito – che coinvolgerebbe gli oltre 8.500 edifici sotto il controllo della General Services Administration – si attesta sul già sentito ritorno all’armonia classica del passato, come testimonia anche l’entusiasmo di Justin Shubow, presidente della National Civic Art Society, organizzazione no-profit di Washington DC che promuove le tradizioni classiche in architettura, e già presidente della Commissione delle Belle Arti degli Stati Uniti durante il primo mandato di Trump. E il rischio che questo ennesimo attacco all’architettura contemporanea, seppur in toni meno enfatici rispetto al passato, possa penalizzare l’autonomia e l’innovazione progettuale è paventato dall’American Institute of Architects, “estremamente preoccupato per qualsiasi revisione che imponga preferenze di progettazione federali ufficiali, ostacoli la libertà di progettazione e aggiunga ostacoli burocratici per gli edifici federali“.
Il caso del palazzo dell’FBI a Washington DC
Stando al memorandum, i responsabili dei dipartimenti governativi statunitensi dovranno presentare entro 60 giorni le raccomandazioni per promuovere la “bella architettura civica federale”. Intanto il dibattito si concentra sulla costruzione del nuovo quartier generale dell’FBI, in sostituzione dell’ammalorato edificio brutalista inaugurato nel 1965 (il J. Edgar Hoover Building): l’amministrazione Biden aveva deliberato per il trasferimento nel Maryland, ma Trump ha personalmente rivendicato l’intenzione di costruire un nuovo edificio a Washington DC, come fulcro di “un piano per fare della nostra Capitale la più bella e sicura città del mondo”. Un progetto che, dunque, potrebbe essere banco di prova per testare il nuovo corso.
Trump e l’architettura privata, tra eccesso e aperture al contemporaneo
A margine della discussione, però, non si può non considerare l’approccio di segno opposto del Trump imprenditore e magnate all’architettura. Lo sfarzo e l’eccesso dei suoi palazzi privati e delle sue proprietà immobiliari, infatti, sono sostenuti da un gusto imperante negli Anni Settanta e Ottanta, ben lontano da quello stile “tradizionale” che il Presidente vorrebbe imporre mettendo il veto su ogni espressione della nostra epoca. Prova ne sono i numerosi progetti firmati dallo studio di Adrian D. Smith per il tycoon, tra cui la Trump International Hotel & Tower di Chicago, conclusa nel 2009; ma anche la Trump Tower di Panama e quella più celebre di New York (progettata nel 1983 da Der Scutt), o il Trump International Hotel Las Vegas. Un’apoteosi raggiunta con la Trump World Tower conclusa nel 2001 dallo statunitense Costas Kondylis, sempre a New York. Progetti tutti accomunati dal desiderio di superare record strutturali e stupire con effetti speciali, spingendo l’acceleratore sull’eccesso e sul kitsch. Uno stile ben lontano dalla sobrietà e dall’armonia neoclassica, cui il Trump presidente vorrebbe ricondurre l’immagine degli Stati Uniti.
Livia Montagnoli
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