Insultare il Villaggio Olimpico di Milano ti fa sentire migliore?

Qualche foto del cantiere con sullo sfondo il cielo nuvoloso, e via con le battute da bar tipo “sembra Scampia”. In realtà il Villaggio Olimpico di Milano-Cortina 2026 ancora non è terminato: ha degli elementi piuttosto deludenti, ma con delle buone finiture potrebbe farcela eccome

Sembra il carcere di Bollate”, “Eccoci pronti per le Olimpiadi di Leningrado del 1976”, “Ho visitato Alcatraz ed è molto più bello”. I commenti più o meno ironici sugli edifici del Villaggio Olimpico di Milano per i Giochi Invernali del 2026 si sono sprecati. Prima sui siti per appassionati di architettura e urbanistica, poi su qualche blog e qualche profilo social e infine a opera degli influencer più famosi o famigerati.

Un po’ di bullismo social contro il Villaggio Olimpico

In effetti l’edificio non aiuta affatto. Specie durante le giornate nuvolose (e a febbraio si sono sprecate a Milano) i colori delle sei palazzine non fanno alcun contrasto con il cielo, scomparendo in un monocromo di mestizia. È abbastanza probabile inoltre che i materiali utilizzati siano stati modificati in corso d’opera a causa soprattutto del significativo aumento dei costi: in effetti i primi render avevano un sapore diverso, con rivestimenti che tendevano più verso il giallino che verso il grigio. 

I render del Villaggio Olimpico di Milano di Studio SOM
I render del Villaggio Olimpico di Milano di Studio SOM

Detto ciò, un conto sono i commenti sui blog dei nerd dell’architettura, altro discorso è se la cosa diventa dibattito diffuso finendo per convincere l’opinione pubblica che il Villaggio Olimpico di Milano è irrimediabilmente un progetto sbagliato o più banalmente “brutto”. Prima di arrivare a questa conclusione ci vorrebbe qualche riflessione in più dell’immancabile post di Selvaggia Lucarelli. Sebbene faccia piacere scoprire questo afflato di passione civica di Lucarelli, visto che c’è sempre bisogno di nuovi osservatori sulle dinamiche della città al fine di migliorarla. Peccato però che la giornalista non abbia – pur vivendo a Milano da 15 anni – mai utilizzato la sua influenza per sensibilizzare i seguaci circa il principale problema dello spazio pubblico a Milano sul quale decine di associazioni lottano ogni giorno, ovvero l’abuso dell’auto privata. E pensare che basterebbe un suo contenuto social per denunciare lo scempio delle decine di migliaia di auto posteggiate sui marciapiedi per aprire gli occhi a tantissimi cittadini su una anomalia unica e incresciosa, invece nulla.
(Per inciso, un’idea circa la sensibilità sulle tematiche di sostenibilità urbana della coppia Lucarelli-Biagiarelli me l’ero fatta un annetto fa leggendo un contenuto di quest’ultimo. Il 24 marzo del 2024 Lorenzo Biagiarelli postava su una pasticceria vegana scusandosi di non averla visitata prima perché posizionata in strade della città dove è difficile fermarsi in macchina. Quando nei commenti gli ho fatto notare che il luogo in questione era servito da tre linee di metro, un passante ferroviario, la Stazione Centrale, tram, bus, taxi, car sharing, scooter sharing, bike sharing e agevolmente raggiungibile a piedi e in bici, giù improperi e inviti testuali a ‘non rompere i coglioni’. Lecito, dunque, domandarsi se c’è un autentico interesse al miglioramento della città e se si è credibili e in buona fede quando si pretende di parlare di urbanistica…)

Il progetto del Villaggio Olimpico di Milano

Ma torniamo agli edifici del Villaggio Olimpico. Si tratta di un progetto dello studio SOM, un pool di architetti americani che opera da novant’anni e ha firmato tra i più rilevanti progetti di architetture e infrastrutture al mondo. Il cantiere ha per il momento un’estetica deludente per carità, ma non è che possiamo prescindere del tutto dall’autorialità di chi lo firma e dal fatto che non si tratta delle palazzine disegnate dal geometra comunale di Pizzighettone. SOM ha immaginato il Villaggio Olimpico con tetti diagonali, a shed. Si tratta di una tipologia rispettosa della zona, che riprende molta dell’architettura del quartiere, tutta disseminata di piccoli opifici e fabbrichette. E lo stesso andamento hanno i tetti degli antichi magazzini ferroviari che stanno giusto a fianco alle nuove palazzine del Villaggio Olimpico, i magazzini tanto per capirci fotografati in un famoso scatto del grande Gabriele Basilico. Anche la sistemazione di questi spazi ha provocato non poche delusioni: i primi render parlavano di una valorizzazione dei mattoni esterni, per lo meno nei dettagli attorno alle finestre e alle porte, e invece si è deciso di intonacare tutto e via. E si sono scelti dei serramenti color verde che stridono un po’, per lo meno ora che sono nuovi (non va dimenticato che i materiali cambiano in fretta e spesso invecchiando e ossidandosi migliorano molto la loro resa estetica).

Il Villaggio Olimpico sarà pure brutto, ma le critiche superficiali lo sono ancora di più

Insomma i motivi per dire male del Villaggio Olimpico ci sono, per carità. Ma sono stati affrontati nella maniera peggiore: con superficialità. E inoltre, tra una critica da parrucchiere e l’altra, nessuno si è fatto carico di porre qualche elemento anche sull’altro piatto della bilancia per analizzare la cosa in maniera bilanciata. Sui costi esplosi dopo il Covid e dopo le guerre abbiamo detto. Ma poi c’è il fattore velocità: in un Paese dove le opere pubbliche procedono in ritardo cronico, questo cantiere ha sempre viaggiato in netto anticipo sulle tabelle di marcia. Il progetto di riconversione poi è da record: se tutto andrà come deve andare, il Villaggio Olimpico si trasformerà nel più grande studentato d’Italia in tempi brevissimi; già a settembre 2026, per l’inizio dell’anno accademico, potrebbero entrare i 1700 studenti. Nulla di simile era successo per gli altri villaggi olimpici e bisognerebbe ricordarsi cosa accadde vent’anni fa per i Giochi Invernali di Torino 2006 riguardo al Villaggio Olimpico del capoluogo piemontese. 
Altro elemento che spiega il contesto: su 1700 posti letto ce ne saranno 450 a tariffe calmierate per insistente richiesta istituzionale, anche questo ha avuto con ogni probabilità il suo impatto sul business plan e sulla scelta dei materiali. 
Ma in generale i villaggi olimpici sono sempre costruzioni spartane, piuttosto economiche e abbastanza intensive per la necessità di concentrare in un singolo luogo molti atleti al fine di facilitare spostamenti e logistica. Chi critica con faciloneria il Villaggio Olimpico di Milano ha dato un’occhiata a quello di Parigi costruito per i Giochi dello scorso anno? E a quello di Tokyo di cinque anni fa? E l’agghiacciante villaggio olimpico di Rio 2016, trasformatosi poi in gigantesco compound di abitazioni di lusso da un milione di dollari l’una?

Il cantiere del Villaggio Olimpico di Milano. Photo Massimiliano Tonelli
Il cantiere del Villaggio Olimpico di Milano. Photo Massimiliano Tonelli

La progettazione del verde farà diventare bello e gradevole il Villaggio Olimpico?

Ma c’è un uomo che potrebbe fare invecchiare malissimo le critiche e i post indignati contro il brutto anatroccolo Villaggio Olimpico che qualche chance di svegliarsi come cigno forse ce l’ha. Quest’uomo si chiama Michel Desvigne ed è uno dei più grandi paesaggisti al mondo. La progettazione del verde ai piedi (e sulle pareti!) del villaggio è in capo a lui, e da lui ci si aspetta il miracolo. 
Le critiche fino a oggi infatti sono state critiche contro un cantiere tutt’altro che terminato. Ma così sono capaci tutti: anche casa mia ai tempi del cantiere era un posto respingente e ora invece è bellissima. E così basta approfondire un po’ e si scopre che gli attuali brutti ballatoi che uniscono le palazzine altro non sono che i supporti di una foresta verticale di piante rampicanti e ricadenti in grado di migliorare la qualità della vita degli inquilini, di catturare CO2, di restituire un’aria migliore e di combattere il fenomeno delle isole di calore. Puntano a diventare dei luoghi ombreggiati di aggregazione come è sempre successo a Milano per le case di ringhiera; a spiegarlo è Colin Koop, l’architetto dello studio SOM che ha progettato il villaggio, quello insomma definito “misantropo” da Selvaggia Lucarelli nel suo post.
Già in questi giorni gli operai si sono impegnati a installare centinaia di tiranti in metallo che serviranno come supporto per le piante e alcuni arbusti sono già stati messi a dimora. Verrà poi il tempo di realizzare una progettazione biofilica delle piazze pubbliche tra gli edifici con alberi nuovi che si integreranno col verde già esistente e speriamo con specchi d’acqua. Una volta terminato il progetto bisognerà incaricarsi di chiedere agli studenti che ci vivranno se davvero si sentiranno “abbrutiti tra i blocchi di cemento” come dice Lucarelli (ignorando che gli edifici sono fatti di legno e sono a emissioni zero), oppure se si considereranno cittadini privilegiati di un nuovo quartiere accogliente, moderno, pedonale, verde e in grado di innescare relazioni sociali laddove c’era uno scalo ferroviario abbandonato.

Massimiliano Tonelli

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Massimiliano Tonelli

Massimiliano Tonelli

È laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena. Dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Direttore editoriale del Gambero Rosso dal 2012 al 2021. Ha moderato e preso parte come relatore a…

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