L’autoproduzione è tornata di moda. Sì, abbiamo detto ‘tornata’. Perché era una pratica già ampiamente sperimentata dalle avanguardie degli Anni Settanta e perseguita abitualmente dai designer dei paesi nordici. Dov’è allora la novità nel realizzare, affiancati da abili artigiani, i propri oggetti e seguire ogni fase produttiva in prima linea, compresa la distribuzione e la vendita?
Innanzitutto nella necessità, che finalmente i progettisti hanno sentito, di tornare a lavorare in prima linea con le maestranze, di sperimentare e toccare con mano i risultati e monitorare ogni fase dell’oggetto in prima persona. “C’è molta umanità dietro al fatto di farsi un mobile da soli”, ricorda Alessandro Mendini, che nel 1979 con la Poltrona Proust ha sperimentato la via dell’autoproduzione.
Sembra quasi una contraddizione in termini parlare di design che esula dalla catena di montaggio della lavorazione industriale, ma così non è. Abbiamo già più volte osservato i mutamenti che il design ha subito negli ultimi anni, gli sconfinamenti in campo artistico con le serie numerate e le realizzazioni in campo grafico, tanto da capire che non si tratta di design esclusivamente quando c’è di mezzo l’industria. Come sottolinea Stefano Micelli, autore di Futuro Artigiano (Marsilio, 2011), “l’autoproduzione non è in contrapposizione con l’industria ma ne è il completamento all’interno di un sistema manifatturiero che va letto in un’ottica di filiera ampia e disarticolata”.
Perché allora proprio in questo momento storico un ritorno alle lavorazioni tradizionali? La risposta è da ricercarsi ancora nella crisi economica che ha messo in ginocchio le aziende, aumentando le difficoltà di comunicazione tra designer e impresa, spingendo i progettisti a fare da soli.
Gli insegnamenti dei maestri in questa direzione non mancano, dal manuale rivoluzionario di Enzo Mari, Autoproduzione (1974), in cui insegnava con assi di legno e chiodi a costruire tutti i mobili necessari a un’abitazione, fino ai modelli di Giovanni Sacchi che nel dopoguerra ha dedicato la sua attività esclusivamente alla realizzazione di prototipi per designer, senza distinzione di fama.
Così i progettisti, in parte spinti dalla necessità, in parte dalla vena creativa, sono riapprodati al lido dell’autoproduzione. Che questa pratica sia sempre più diffusa e à la page è dimostrato dal crescente numero di designer, iniziative, collettivi e associazioni che si dedicano esclusivamente a questa procedimento creativo.
I designer che si occupano di autoproduzione sono solitamente quelli che dedicano anche gran parte del loro lavoro alla ricerca, poiché queste due pratiche non possono essere distinte; progettisti a cui non importa tanto la vendita quanto la realizzazione e il funzionamento.
Paolo Ulian, Antonico Cos, Donata Paruccini, Massimiliano Adami, Matteo Ragni sono solo alcuni dei nomi che possono essere scritti in quella fitta schiera di designer che appartengono alla categoria. Ma ci sono state anche, concretamente, delle rassegne a confermare la tendenza? Eh sì. Tra le iniziative e gli eventi, basti ricordare le recenti mostre-mercato come Operae a Torino e Opendesign a Bologna. Tra i collettivi spiccano i Garage Design, piattaforma online che, seguendo i modelli europei, fa quasi da promotore e mecenate dei designer, impegnandosi a realizzare gli oggetti più votati.
Una ulteriore conferma arriva dalla recentissima associazione MiSiAD – Milano Si Autoproduce Design, presentata in Triennale lo scorso 2 novembre, che punta a promuovere le eccellenze di autoproduttori e piccoli editori di design. Per iscriversi, e così entrare nel circuito, bastano 6 euro, 2 per i giovanissimi, e si ha la possibilità di pubblicare in rete i propri progetti autoprodotti. Una vetrina è dedicata anche agli artigiani, che possono entrare in contatto con progettisti e viceversa.
Un altro aspetto che non va sottovalutato è il progresso delle nuove tecnologie e la nascita di nuovi luoghi di produzione, come i FaLab – Fabrication Laboratories, laboratori dove vengono eseguiti e realizzati progetti grazie a innovative tecnologie di taglio digitale. La nascita di questi nuovi luoghi e nuovi attori non può che arricchire il campo già sfaccettato del design.
In molti si sono accorti di questa nuova direzione e il Salone del Mobile è stato invaso da iniziative dedicate, in primis la mostra di Misiad, un concorso di design indetto da Domus in collaborazione proprio con i Falab e Homeless Design, altro contest diretto dai Fratelli Campana in collaborazione con Maison Boisbouchet.
Il concetto di autoproduzione non sarà completamente innovativo, ma lo sono indubbiamente le nuove tecnologie e le nuove piattaforme per metterli in rete.
Valia Barriello
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #6
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