Quando i makers sono già roba da museo
In nuce, ecco a voi il futuro. È quel che ha suggerito Alex Newson, curatore della mostra “The Future is Here” al London Design Museum di Londra. Per gli appassionati del mondo makers, una retrospettiva su quanto è stato fatto e su quanto, ancora, resta da fare.
Epicentro anglosassone della curatela nel campo del design, modestamente autoproclamatosi “the world’s leading museum devoted to architecture and industrial design” (e questo ci fa stranamente scoprire come l’understatement inglese possa convivere con un gusto un po’ iperbolico nelle recensioni), il London Design Museum ha dedicato una retrospettiva alle esperienze recenti e al presente avanzato nel campo di ciò che fino a poco tempo fa era chiamato “prototipazione rapida” e oggi abbiamo già trasformato in “fabbricazione personale”.
Quale il merito principale dell’esposizione? Sicuramente il rigore nell’individuare e inserire in uno scenario consapevole e ragionato tutti i capitoli fondamentali dell’evoluzione di questa pratica, sia che si tratti di progetti per accessori ed arredo, sia che si tratti di piattaforme collaborative o di progetti di carattere commerciale già affermatisi come paradigmi in fatto di potenziale occupazionale. Così, alle prime sperimentazioni di Ron Arad con una stampante 3d realizzate agli arbori del 2000 (Arad’s Not Made by Hand, Not Made in China) seguono lo sgabello One Shot di Patrick Jouin per Mgx, per poi tornare ad Arad con gli occhiali realizzati in SLS (Selective Laser Sintering) e lanciati quest’anno al Salone del Mobile. Ancora, Wiki House si presenta come un progetto di costruzione open source per disegnare, scaricare e costruire moduli abitativi, mentre il sito makie.me permette di personalizzare e farsi spedire a casa una versione customizzata dell’omonima bambola, il tutto prodotto nel cuore di Londra, proprio come una fabbrica del terzo millennio che si rispetti.
Sono due però, le proposte dell’esposizione che più fanno riflettere, ed è curioso notare come possano paradossalmente apparire antitetiche. Da una parte, The Future is Here Factory, un Fab Lab collocato all’interno dello spazio espositivo, vuole stimolare l’incipit per uno scambio tra visitatori e professionisti: “A cosa mi potrebbe servire una stampante 3d?”, “Come potrei usare una fresatrice per realizzare quel lavoretto di bricolage che ho in mente?”. L’altra, invece, è una infografica riportata sul muro opposto della sala, e racconta di un’indagine statistica che ha interrogato gli inglesi sul loro coinvolgimento nei confronti di questa tecnologia. “Conosci il mondo delle stampanti 3d?”. Il 71% dice poco o niente. “Ne acquisteresti una per casa tua?”. Solo il 6% dice di sì: i cittadini Uk sono ancora scettici, e non bastano gli scatti di David Cameron insieme al Principe Harry, immortalati con la loro Makie Doll personalizzata, per spezzare il vincolo dell’esclusione che i “comuni” britannici provano di fronte a questo nuovo approccio alla produzione. Suggerendoci che, oltre gli slanci sensazionalistici, l’impiego generalizzato di questi strumenti low tech rimane ancora per i più un orizzonte scarsamente concreto.
Giulia Zappa
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