Moustache, grandeur oltreconfine
I francesi ci fregano con la lingua. Capita infatti che, nel campo del design d’Oltralpe, la parola ‘azienda’ assuma una semantica più seduttiva con la traduzione in ‘maison d’édition’: non una semplice organizzazione economica, ma uno spazio raccolto, quasi intimo, più vicino al modello delle case editrici che non della produzione industriale. L’esempio di Moustache.

Tra le realtà più stimolanti nate alla fine degli anni Zero – citiamo Eno, Petite Friture, Marcel by, La Chance – il caso di Moustache è senz’altro quello più paradigmatico. Fondato da Stéphane Arriubergé e Massimilano Iorio, già partner con il marchio di sticker in vinile Domestic, il brand si impone in virtù di una missione apparentemente controcorrente: puntare sull’espressione di un’identità francese da animare grazie alle visioni di una generazione di progettisti (Matali Crasset, Inga Sempé, Big Game, François Azanbourg, Constance Guisset) fresca e antidecorativa, affascinata da un uso ironico di materiale e geometrie.
La francofonia, al pari dei baffetti evocati dal nome, si fa dunque minimo comune multiplo, un antidoto alla globalizzazione quanto un’opportunità per esprimere complicità con designer vicini, si potrebbe dire quasi amici. E dunque ci ha stupito che quest’espressione di un territorio ancora fertile abbia deciso quest’anno di allargarsi a nomi importanti della scena continentale, tra cui Formafantasma, Scholten & Baijings e Raw Edges. Un tradimento al vincolo della grandeur? Il rinnovamento su scala europea vince sul compiacimento sciovinista in salsa nazionale.
Giulia Zappa
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #19
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati