La mostra incentrata sull’artigianato coreano contemporaneo dal titolo Fare è Pensare è Fare – Making is thinking is Making, organizzata dal KCDF Korea Craft & Design Foundation, prende spunto dal testo L’uomo artigiano del sociologo Richard Sennett: se fare equivale a pensare, come sostiene lo scrittore statunitense, il rapporto che intercorre tra la creazione artigianale e il pensiero è qui analizzato attraverso gli oggetti creati da 28 designer in un processo di intelligenza collettiva che include anche i visitatori, invitati a comporre un’opera a più mani. Il fare è strettamente legato al pensiero, in una concezione tipicamente orientale. Dopo un prologo dedicato all’artigianato come affinamento della materia, quattro aree indagano la conoscenza come valore da trasmettere, la tradizione da tramandare, la collaborazione come dialogo e le nuove evoluzioni del design. In chiusura, l’importanza della conoscenza, del dialogo e delle tradizioni si riflette nella sezione riservata all’archivio, luogo di memoria storica di facile consultazione.
Abbiamo posto alcune domande alla curatrice Hong Bora, direttrice della Galleria Factory di Seul e curatrice di mostre internazionali come Wirkkala Revisited al Design Museum di Helsinki nel 2015.
Qual è il ruolo dell’artigianato nella moderna cultura coreana?
La fisicità è diventata molto importante in quanto l’intelligenza artificiale può sostituire sia i lavori più semplici sia le tecniche più complesse. Tutto ciò che ci è stato lasciato come esseri umani è la nostra esperienza corporea, la qualità tattile. Inoltre la nuova arte artigianale non dipende esclusivamente dalla conoscenza, ma anche dalla sua capacità di condividere il pensiero e le competenze con gli altri. Più gli artigiani saranno in collegamento gli uni con gli altri, più richieste avranno dalla società. Come disse Charles Eames: “Alla fine tutto si collega –persone, idee, oggetti. La qualità delle connessioni è la chiave per la qualità per sé”.
Qual è la differenza tra artigianato e design?
Al giorno d’oggi la distinzione tra i due concetti sembra ormai priva di significato dal momento che i designer collaborano con artigiani con diverse competenze. Vi è tuttavia ancora una chiara distinzione tra le due figure, per lo più a causa del sistema pedagogico nelle scuole. Perciò progettisti coreani e artigiani che lavorano superando questi confini hanno per lo più studiato all’estero e in molti casi, dopo la scuola, vivono e lavorano all’estero. Sembra che nei giovani ci sia la chiara volontà di creare dei collettivi semi-permanenti o temporanei per sostenere reciprocamente il loro lavoro condividendo esperienze e informazioni. Mi auguro che i giovani designer e artigiani si liberino dalla prigionia dell’idea di generi convenzionali e ruoli e lavorino insieme come “makers”, stabilendo nuovi modi di collaborare per mantenere la sostenibilità come produttori in questo mondo sempre più instabile.
Da direttrice della galleria Factory, come scegli gli artisti rappresentati?
Cerco soprattutto di incontrare persone lungo il processo dei progetti che porto avanti – come i molti di arte pubblica che seguo in Corea nelle vesti di curatore, commissario o direttore artistico – e di diventarne amica. A volte lavoro con loro, a volte faccio ricerche con loro su argomenti di cui condividiamo l’interesse. Non è affatto divertente lavorare da sola.
Alessandra Ghinato
Milano // fino al 12 settembre 2016
Making is Thinking is Making: New Korean Craft
a cura di Hong Bora
LA TRIENNALE
Viale Alemagna 6
02 724341
[email protected]
www.triennale.org
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati