Una casa per tutti. Ormai si fa pressante, a fronte delle ondate migratorie sempre crescenti, la necessità di provvedere ad abitazioni provvisorie, flessibili ma soprattutto facilmente ricollocabili. L’emergenza non bussa più solo alla porta delle forze istituzionali in campo, così come il primo soccorso non è più l’unica necessità: spesso i tempi di accoglienza si protraggono e di conseguenza le strutture ospitanti si trovano in difficoltà.
Una risposta a questa chiamata l’ha data More Than Shelters con la sua DOMO. La società, fondata ad Amburgo nel 2012, propone una soluzione adeguata a fronteggiare le inquietanti statistiche delle Nazioni Unite: da oggi al 2050 quasi 3 miliardi di persone si troveranno a vivere in condizioni di precarietà e carenze igienico-sanitarie, in particolar modo nei campi di rifugiati che nascono in luoghi ormai depauperati dalle guerre, o nei centri di ricezione dei grossi flussi migratori.
PIÙ DI UNA TENDA
More Than Shelters ha sviluppato e reso fruibile dall’estate del 2015 DOMO, un sistema modulare facilmente adattabile a condizioni geografiche e climatiche variabili e soprattutto pronto a rispondere alle diverse esigenze culturali delle persone che lo abitano. Spesso molti di questi campi accolgono rifugiati per un tempo che si avvicina ai dodici anni e hanno una vita media di vent’anni. Rispetto alle tradizionali tende che si deteriorano in 6-10 mesi di utilizzo, DOMO è garantita fino a dieci anni.
Sorretta strutturalmente da sacchi di sabbia, uno scheletro di alluminio e una pavimentazione in PVC, ha un’altezza libera interna di 2,60 m per una superficie di circa 23 mq, una pelle in cotone traspirante, semipermeabile all’aria per garantire comfort climatico anche grazie alle grandi finestre, pensate anch’esse a doppio strato per evitare gli sguardi esterni. La sua modularità le permette di comprimersi raggiungendo un peso massimo di 145 kg, di montarsi e smontarsi con facilità e di accorparsi ad altri elementi. Ogni modulo ospita fino a sei persone. Più che una semplice tenda, ci sentiamo di definirla una casa.
Flavia Chiavaroli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #33
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