Un pussyhat per i diritti delle donne. L’8 marzo al V&A di Londra
Entra nella collezione del celere museo londinese il cappellino di maglia rosa, simbolo della marcia contro Donald Trump, in difesa dei diritti civili e a sostegno della dignità delle donne. Un nuovo oggetto, per l’intelligente collezione dedicata ai simboli del presente.
Lo scorso 21 gennaio – il giorno dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca – 500.000 persone hanno manifestato a Washington per Women’s March, una marcia a sostegno dei diritti delle donne, dei migranti e delle persone LGBT, contro l’impostazione politico-ideologica del neo Presidente USA. In molti indossavano i cappellini di maglia rosa confezionati da Jayna Zweiman, co-fondatrice del progetto Pussyhat: l’invito era a trasformare il corteo in un “mare rosa”, dando vita a uno statement visivo forte, in sostegno della causa femminile. Con un riferimento, probabilmente, ai passamontagna colorati delle Pussy Riot, artiste dissidenti, perseguite dal governo Putin per le loro performance dissacranti, libertarie e antidogmatiche.
Oggi, 8 marzo, uno di quei cappellini entra a far parte della collezione del Victoria & Albert Museum di Londra. E finisce dritto in quella strepitosa galleria di oggetti simbolici con cui il celebre museo per le arti applicate sta costruendo la sua “history of now”. Un ritratto tempestivo del presente.
RACCONTARE IL PRESENTE CON GLI OGGETTI
Si chiama Rapid Response Collecting ed è una maniera diversa di interpretare la questione sociale, a partire dalle “cose comuni”: non solo design, non solo creazioni di professionisti e manufatti artistici. Pari dignità viene data all’oggetto pescato tra le maglie dall’attualità, lungo quel flusso di informazioni, eventi, azioni, che genera una narrazione in divenire: ne viene fuori una sorta di testo oggettuale, collettivo e contemporaneo.
E sono tracce, testimonianze, objet trouvé recuperati da contesti caldi; oppure oggetti come metafore, pensati per incarnare un’idea, il senso di una battaglia; oggetti-manifesto o casualmente precipitati sul piano della dialettica politica e culturale. Degli “agent provocateur”, capaci di smuovere coscienze e stimolare memorie condivise.
“Il design non è sempre fatto di tavoli carini e di belle sedie”, aveva spiegato al New York Times Martin Roth, direttore del V&A: “Questi oggetti appartengono davvero a tutti, quello che stiamo facendo è portare la discussione dall’esterno del museo verso l’interno”.
DAL RANA PLAZA ALLE PISTOLE 3D
E ci sono, tra gli altri, dei pantaloni realizzati per il marchio Primark, presso il tristemente famoso laboratorio Rana Plaza, in Bangladesh: la palazzina, simbolo dello sfruttamento di manodopera a basso costo da parte delle multinazionali, crollò nell’aprile del 2013, uccidendo più di 1.100 persone. E poi, il lupo di Cappuccetto Rosso targato Ikea, un peluche sventolato a Hong Kong dai manifestanti anti Leung Chun-Ying, l’odiato governatore locale soprannominato “lupo”; la serie di decolleté con tacco a spillo disegnate da Louboutin nelle varie tonalità di beige, a riprendere la gamma cromatica della pelle nelle varie razze; o ancora, la prima pistola stampabile in 3D, ideata dal 27enne Cody Wilson: il ragazzo offrì su Internet 15mila dollari all’azienda che avrebbe accettato di produrla, scavalcando il divieto di stampare armi da fuoco con macchine tridimensionali. Ne seguì un dibattito rovente sulle relazioni tra normative per il mercato on line e progresso tecnologico.
Un catalogo di frammenti, per riflettere su questioni aperte, controverse, intorno a cui si determinano i destini di singole persone e di intere comunità.
– Helga Marsala
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