Attraverso i progetti di Z33 di Mario Minale, di Offprint, di Teresa van Dongen e dello stesso Space Caviar – studio organizzatore, qui anche in veste di espositore con una nuova serie di lampade, omaggio al mercato dell’elettronica di Shenzhen – Atelier Clerici apre la corte dell’omonimo palazzo settecentesco, in pieno centro a Milano. L’animatore del progetto, Joseph Grima, racconta genesi e sviluppo di questa quarta edizione.
Quando nasce Atelier Clerici e come si è evoluto negli anni?
Nel 2012 ero direttore di Domus e, come ogni anno, la rivista organizzava un evento durante il Salone del Mobile, spesso ricercando location insolite. Abbiamo proposto all’istituto che gestisce Palazzo Clerici di allestire una mostra, un percorso sul design open source. Inaspettatamente sono arrivate oltre 2mila persone, nonostante fosse un luogo che non faceva parte del circuito del Fuori Salone. Nel 2014, anno in cui non ero più alla direzione di Domus, sono stato contattato nuovamente dall’istituto di Palazzo Clerici, perché l’ente che avrebbe dovuto inaugurarvi una mostra aveva rinunciato, disdicendo all’ultimo minuto. Grazie a una tariffa agevolata, sono riuscito a entrare nuovamente in questo palazzo con gli affreschi del Tiepolo: credo ritenessero che fossi ancora il direttore di Domus!
Quindi una seconda edizione last minute.
Infatti ho cominciato a chiamare tutti gli amici che conoscevo, amici che sapevo stavano lavorando a progetti sperimentali, meno adatti al Salone vero e proprio, perché volevo mettere in mostra oggetti un po’ leftfield. Oltre a presentare idee un po’ strane, siamo anche riusciti ad avere come sponsor Nike, che ha proposto una gigantesca installazione al centro del cortile, permettendoci di finanziare alcuni costi. Da allora è nata questa formula di mostra che si sviluppa a partire da un gruppo di amici, di ricercatori e di istituzioni. Individui che si occupano di design in maniera più tangenziale rispetto alla definizione classica, esplorando ciò che va al di là della produzione in serie degli oggetti e indagando il design come motore di cambiamento sociale, come valore della ricerca, oppure come espressione di visioni, talvolta anche politiche. Quel che resta unico è la rete di amicizie che fa vivere Atelier Clerici. Come una rete sociale, letteralmente un social network creato per travalicare limiti e normative del design.
“Ci piace aver dato vita a una piattaforma libera, aperta, che non sempre è posta sotto nostro diretto controllo, poiché solo così possono nascere sinergie inaspettate”.
Come si sono modificate nel tempo le tematiche e le visioni che hanno portato a selezionare sempre enti, partner e project space eccellenti?
Nell’evoluzione di questo format, ci siamo resi conto che la formula è e deve rimanere fluida. Noi, ad esempio, pensiamo sempre all’edizione di Atelier Clerici non come a una mostra unificata, con una soluzione stringente e forte, perché riteniamo che sia limitante, che sia difficile cercare di porre un tema. Se così fosse, opereremmo una forzatura, una sorta di post-razionalizzazione dei contenuti. Preferiamo lavorare sulla misura umana, sulla dimensione sociale.
Ma come si entra all’Atelier Clerici?
È semplicemente un atto di fiducia, un interesse verso il lavoro di una determinata persona o istituzione. Non forniamo mai un giudizio sulla tipologia di oggetto che viene presentato, che rischia sempre di essere una costrizione rispetto al lavoro. Ci piace aver dato vita a una piattaforma libera, aperta, che non sempre è posta sotto nostro diretto controllo, poiché solo così possono nascere sinergie inaspettate. Le tematiche fondamentali restano quelle dedicate al design al di fuori dell’acquisto e della vendita, fuori dal mercato capitale. Così come i processi o le produzioni che potenziano l’utente finale. Proponendo una visione del design come elemento democratizzante, che conferisce potere all’individuo. Si tratta di uno sguardo tendenzialmente politico al design.
Quale Paese o quali Paesi vedremo quest’anno? E a livello accademico?
Quest’anno è presente Eindhoven Design Academy, per la prima volta ad Atelier Clerici, con una mostra. Inoltre è nuovamente nostro ospite Z33, che promuove una dimensione, uno spazio di conversazioni. Questo è molto importante: il Fuori Salone rischia sempre di sembrare un mercato dell’ultima novità, creato apposta per scattare foto e postarle su Instagram. Milano ha la virtù di riuscire a riunire l’intero pianeta sotto l’egida del design, ed è necessario che in questo ambito ci sia un palcoscenico che contempli dialoghi, scambi con quelle realtà che non trovano precisi ambiti commerciali all’interno della Design Week, proponendo quindi una dimensione teorica. Il cortile centrale è invece dedicato a Matera 2019, che sta lanciando una nuova piattaforma di design-produzione e progettazione. Si chiama Open Design School ed è una fra le iniziative-cardine dedicate a interventi progettuali come palchi, segnaletiche, allestimenti di Matera 2019. Sarà una sorta di fab lab di autoproduzione, lanciato attraverso dibattiti, presentazioni e interventi pubblici. Invece di demandare a esterni la produzione degli allestimenti per la celebrazione della Capitale della Cultura, questa iniziativa farà sì che ogni componente venga realizzata dai partecipanti stessi.
Perché Atelier Clerici si conferma sempre come una formula riuscita?
Perché è basato su una rete di relazioni umane, di amici di amici: un tessuto di conoscenze fitto, molto informale, unito talvolta da un passaparola che crea un gruppo di persone. Un insieme di pensatori che lavorano, che studiano, che parlano e che ricercano in sintonia, caratteristica che da sempre connota i movimenti sperimentali dell’architettura, dell’arte e del design.
– Ginevra Bria
Milano // dal 4 al 9 aprile 2017
Via Clerici 5
www.atelierclerici.comArticolo pubblicato su Artribune Magazine #36 – Speciale Design
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