Doppia Firma a Milano. Le creazioni di 15 coppie di artigiani e designer fra i tesori della GAM
Una serie di duetti, raccontando il dialogo tra artigiani e designer. Un lungo lavoro di progettazione e produzione, che sfocia in una mostra ospitata tra le magnifiche sale della Gam di Milano.
C’è la passione dell’artigiano, con quel rigore del saper-fare che diventa sfida quotidiana, esercizio fisico, dimensione scultorea e pratica sentimentale; e c’è la visione del designer che punta alla produzione su vasta scala e alla committenza industriale, che lavora col progetto prima che con la mano, che alla solitudine in bottega sostituisce l’idea del team in studio. Insieme fanno l’anima di un Paese storicamente legato all’eccellenza artigianale e alla qualità del design. Col made in Italy che resta un brand senza tempo, pieno di appeal, nonostante la crisi diffusa e l’abbandono progressivo di certe pratiche manifatturiere.
Doppia Firma trasforma questo dualismo virtuoso in una mostra. Che è, innanzitutto, un’avventura progettuale. Quindici coppie, quindici collezioni esclusive e un evento ospitato tra la Sala da Ballo e la Sala del Parnaso della Galleria d’Arte Moderna di Milano, durante il Salone del Mobile. Organizzato da Fondazione Cologni, Living Corriere della Sera e Michelangelo Foundation, l’evento mostra – fra capolavori dell’Ottocento, marmi, specchi e decori preziosi – il risultato del dialogo artigiano-designer, portato avanti da trenta nomi di pregio, italiani e internazionali.
I PROGETTI E LE FIRME
Spazio alla sperimentazione, quindi, mettendo a confronto metodi e sguardi differenti, quanto complementari. Dai corpi luminosi di Simone Crestani e Emmanuel Babled, che nell’increspatura della superficie e nella modulazione dei volumi spingono la tradizionale lampada fino all’essenzialità radicale di una lama di luce, alle lanterne stellate di Massimo Borgna e Cristina Celestino, oggetti magici a misura di sognatori cosmonauti; dei monoliti specchianti de La Fucina di Efesto e Oskar Zieta, in cui la forma regolare collassa, deformando l’immagine riflessa, al set di vasi e piatti in ceramica iridescente, lavorati finemente da Dimitri Bähler e Maurizio Tittarelli Rubboli fino ad emulare la consistenza del metallo; dai tavolini multilayer di Fabrizio Travisanutto e Felix Muhrhofer, che nella minuzia del mosaico dischiudono frammenti di galassie, a quelli di Bottega Nove ed Elisa Strozyk, in cui l’effetto acquerellato su ceramica è ottenuto mediante la mocha diffusion, antica tecnica decorativa basata su una reazione chimica tra foglie di tabacco e acqua; dagli sgabelli in majolica di Sara Ricciardi e Nicolò Morales, decorati a mano alla maniera dei ceramisti di Caltagirone, al separé di Federico Pepe e Marta Cucchia, che al design minimale della struttura lignea, d’ispirazione modernista, affianca un pregiato tessuto jacquard con delicati intrecci di pattern geometrici: il telaio utilizzato è un modello dell’Ottocento con cui è possibile produrre massimo 25 cm di stoffa al giorno.
A coordinare il progetto c’era l’interior stylist Alessandra Salaris, mentre lo Studio Salaris si è occupato dell’allestimento, in cui spicca lo scenografico piano con gli strumenti del mestiere: arnesi, colori, materiali, direttamente dai luoghi del lavoro e dell’immaginazione. Una serie di doppi ritratti, realizzati da Laila Pozzo fra i vari laboratori, funge da documentazione e insieme da omaggio a questi trenta brillanti creativi, sedotti dalla tradizione e innamorati della sperimentazione.
– Helga Marsala
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