Sempre più esteso, sempre più ricco di proposte, il Vitra Campus di Weil-am-Rhein si appresta a un’estate densa di eventi. Inaugurata un anno fa su progetto di Herzog & de Meuron, la struttura museale Schaudepot – collegata dalla Promenade di Álvaro Siza agli altri edifici e alle installazioni d’arte già presenti da tempo – può vantare un archivio di oltre 7000 pezzi di design e 1000 oggetti di illuminazione dalla collezione Fehlbaum. È a partire da questo importante patrimonio della cultura del progetto che è possibile analizzare e rileggere – sia dal punto di vista culturale sia produttivo – l’attività dell’azienda, come avviene con la mostra itinerante Project Vitra – Design, Architecture, Communications (1950-2017), visitabile fino al 3 settembre presso la Fire Station di Zaha Hadid. Un modo efficace per ripercorrere l’escalation dell’imprenditore del mobile svizzero Willi Fehlbaum che, dopo aver “scoperto” nel ’53 negli Stati Uniti una sedia Charles and Ray Eames, decise di stabilire un license agreement con il mobiliere americano Herman Miller per poter produrre in Europa su disegno degli Eames stessi in primis, e poi di altri brillanti autori come George Nelson e Alexander Girard.
LA MOSTRA STORICA
Le tre sezioni di Project Vitra coprono vari aspetti salienti della storia imprenditoriale dell’azienda. La prima riguarda lo sviluppo architettonico del sito a partire dal 1981, anno in cui, a causa di un incendio divampato all’interno dell’area produttiva, si iniziò a pensare a quella ricostruzione che avrebbe portato alla nascita, primo fra tutti, dell’edificio di Nicholas Grimshaw. A esso seguirono le strutture di Frank Gehry, di Tadao Ando (Conference Pavillon), di Zaha Hadid, di Álvaro Siza, di Buckminster Fuller e T.C Howard, di Jean Prouvé (Gas Station), di Jasper Morrison (Bus Station), di Herzog & de Meuron (Vitra Haus e Schaudepot), dello studio SANAA e di Renzo Piano, disseminate tra i prati verdi del Campus come tappe di un percorso di valore intellettuale ed emozionale, oltre che di pratico utilizzo da parte dell’azienda che qui ancora conserva alcune funzioni operative.
Le altre due sezioni, in un intreccio di date, fatti, volti e opere, documentano l’incessante ricerca che ha caratterizzato Vitra in quasi settant’anni di vita. Con un’attenzione particolare alla comunicazione (del prodotto e corporate), che ha sempre presentato grande vitalità e capacità d’innovazione dei mezzi espressivi. A esempio, impeccabili le gallerie fotografiche dei personaggi coinvolti da Vitra nelle sue varie attività, anticipatrici di trend futuri: Mario Bellini, Antonio Citterio, Gaetano Pesce e Alberto Meda fra gli italiani. Per quanto riguarda le star internazionali, oltre ai già citati Eames, anche Frank Gehry, Ron Arad, Verner Panton, Borek Sipek, Philippe Starck, Jasper Morrison, Marten Van Severien, Ronan ed Erwan Bourellec, Hella Jongerius, Edward Barber e Jay Osgerby, Kostantin Grcic.
ALTRE PROPOSTE ESPOSITIVE
In attesa che si aprano la mostra Together! Die Neue Architektur der Gemeinschaft (dal 3 giugno al 10 settembre prossimi, al Vitra Design Museum), dedicata al fenomeno del social housing, e l’omaggio a Ettore Sottsass a cento anni dalla nascita e dieci dalla scomparsa (Ettore Sottsass. Rebell und Poet, dal 14 luglio al 24 settembre presso lo Schaudepot), va considerata come un interessante momento di riflessione la rassegna MUDUN. Urban Cultures in Transit (fino al 20 agosto, presso la Vitra Design Museum Gallery).
Un’iniziativa che, seppur meritando uno spazio espositivo di maggior respiro, riesce a esprimere efficacemente problematiche di scottante attualità, con approccio inedito. In gioco dieci città del Middle East e del Nord Africa (MENA) – da Dizin, località sciistica a nord di Teheran all’egiziana Rosetta –, segnate da strutture architettoniche che negli ultimi decenni hanno impresso un’identità nuova non solo allo skyline urbano, ma anche all’umanità che le ha abitate, e, spesso, continua ad abitarle. Mudun, forma plurale della parola “medina”, significa appunto “città”. Fotografie, testi, documenti e audio – cui fanno da corollario realizzazioni plastiche in ceramica ispirate ad architetture iconiche moderniste e post-moderniste: locali, o dislocate in altre parti del mondo (a esempio, Canada o Austria) ma ideologicamente connesse ai Paesi di lingua araba – introducono via via al tema centrale della diaspora cui le popolazioni di tali aree geografiche, dette appunto MENA, sono sottoposte. E di conseguenza inducono alla presa di coscienza delle trasformazioni che queste stesse popolazioni migranti a loro volta provocano nei tessuti urbani “di adozione”. In uno scambio non privo di forti (e fertili) contrasti e contraddizioni. Si vedano alcuni casi indicativi come l’innesto della comunità libica a Rio de Janeiro, yemenita a Singapore, tunisina a Parigi o curda a Nashville.
– Alessandra Quattordio
Weil-am-Rhein // fino al 20 agosto 2017
MUDUN. Urban Cultures in Transit
VITRA DESIGN MUSEUM GALLERY
Charles-Eames-Str. 2
www.design-museum.de
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati