Nuove frontiere del design. From craft to chart

Siete fra coloro che, dopo aver acquistato un mobile all’Ikea, maledicono istruzioni, viti e cacciaviti? Sappiate che il primo colpevole risponde al nome di Enzo Mari.

Mi è venuto in mente che, se uno provasse a costruire da sé un oggetto, probabilmente imparerebbe qualcosa”. Il designer Enzo Mari esordì così in un’intervista in cui introduceva la sua Sedia 1, in commercio non come prodotto finito ma come progetto DIY. L’azienda che la distribuisce oggi, Artek, invia infatti all’acquirente le componenti in legno grezzo, i chiodi e le istruzioni di montaggio.

IL CASO OPENDESK

Dal 1974 a oggi, passando per gli interventi di Ugo la Pietra e i progetti sperimentali di Richard Sapper, tra le aziende e i designer si sono interposte realtà che hanno permesso di assorbire parti del processo produttivo che prima dipendevano direttamente dal dialogo tra designer e industria (o meglio gli artigiani della stessa). La diffusione sul mercato di realtà come i FabLab ha permesso di portare la propria idea dalla carta alla fase di ingegnerizzazione sino al prototipo, rendendo così il progettista potenzialmente indipendente dal mercato. Ci sono realtà come Source Self-Made Design che, dal 2013, ogni anno raccolgono le migliori testimonianze di autoproduzione in Italia e all’estero, e ci sono imprese come OpenDesk, londinese, che da un prototipo hanno costruito un’impresa. “Abbiamo tagliato fuori gli intermediari”, dichiara James Arthur, co-fondatore di OpenDesk, “stiamo cercando di fare a Ikea ciò che imprese come Airbnb hanno fatto alle tradizionali catene alberghiere”.

Enzo Mari, Sedia 1, 1974

Enzo Mari, Sedia 1, 1974

MOBILI FAI-DA-TE

Il concept di fondo, quello di un mobile che può essere acquistato e scaricato dal sito, si basa non solo su una filiera consumer che parte dai byte per arrivare agli atomi, ma anche su un network radicato che connetta direttamente il compratore con il designer e con il produttore-artigiano più vicino a sé. La tecnologia di realizzazione è a tutti gli effetti industriale, poiché utilizza layer-model assemblabili facilmente da chiunque, alcuni personalizzabili con accessori studiati ad hoc. In questo modo la catena di produzione è snella e partecipata, ed è l’imprenditore stesso che si svincola da molti degli oneri di realizzazione, “delegando” gran parte del processo produttivo.
Dal 1974 al 2017 il consumatore ha di certo guadagnato una consapevolezza maggiore rispetto al prodotto e al suo iter di realizzazione, grazie alla condivisione dello stesso sia da parte delle grandi aziende che singoli maker. Ci chiediamo dunque: gli basterà questa esperienza per imparare qualcosa e saper riconoscere il buon design?

– Flavia Chiavaroli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #36

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Flavia ChiavarolI

Flavia ChiavarolI

Architetto, exhibition designer e critico freelance. Osservatrice attenta e grande appassionata di architettura ed arte moderna e contemporanea riporta la sua esperienza nell’organizzazione di workshop, collabora con artisti e fotografi e aggiornando i principali social network. Dal 2012 si occupa…

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