Quando il design incontrò l’urlo di libertà californiano, nacque l’onda che, a partire dagli Anni Sessanta, rivoluzionò la moderna concezione di comunicazione e vita.
Complice il crescente interesse verso la ricerca degli effetti psichedelici dell’LSD sulla psiche umana, mentre in Inghilterra nascevano capolavori nel settore musicale, che avrebbero creato il capitolo più importante della storia del rock, oltreoceano, dai garage di studenti promettenti, prendevano forma strumenti per la liberazione personale.
Nel 1968 a San Francisco, Douglas Engelbart, direttore dell’Augmented Human Intellect Research Center di Stanford, per la prima volta dimostra la possibilità di creare un mondo futuristico di finestre, collegamenti ipertestuali e videoconferenze.
Engelbart fu un sostenitore entusiasta dell’utilizzo di LSD, in somministrazione controllata, allo scopo di testare gli effetti della mente in stati di allucinazione. Nonostante tali guizzi di creatività portassero a un numero piuttosto limitato di idee, rimase sempre convinto in modo fermo dell’esito positivo della sua tesi.
LA MOSTRA
Ospitata all’interno del nuovo edificio progettato da John Pawson, suddivisa per categorie, il cui titolo introduce provocatoriamente una sorta di istintiva risposta nell’audience, la mostra California designing freedom, curata da Justin McGuirk e Brendan McGetrick, con l’ausilio di Kyle Osbrink, propone un viaggio attraverso le scoperte pionieristiche che, nel corso di circa sessant’anni, partendo dalla cultura di semplice protesta, hanno portato alla moderna costituzione tecnologica della Silicon Valley. L’idea centrale è che la California abbia sempre ispirato strumenti di liberazione personale, da LSD allo skateboard al surf e all’iPhone.
Questa ambiziosa ricerca riunisce i manifesti politici, i personal computer, le auto con ingegnerie futuristiche e il pilota automatico, ma al contempo indaga anche oltre l’hardware, per esplorare come i progettisti di interfaccia utente della Bay Area stanno formando alcune delle nostre esperienze quotidiane più comuni, vedasi il contemporaneo utilizzo di piattaforme social network, e ampliando la nostra percezione e definizione di design.
I cinque aspetti del concetto di libertà approfondito in mostra, attraverso altrettante sezioni tematiche e ben 200 oggetti proposti, sono: “Go where you want”, “See what you want”, “Join what you want”, “Say what you want” e “Make you want”. La mostra esplora l’ethos della West Coast, che ha favorito lo sviluppo di dispositivi per la fuga e l’autosufficienza, rivelando come questo territorio di frontiera, ai margini di un continente, abbia sempre incubato nella sua popolazione una cultura di fiducia in se stessi, di potenzialità e reinvenzione. Con il risultato di attrarre persone dotate di immaginazione, fantasia, libertà e spirito ribelle, ma altresì del pragmatismo necessario per rendere i propri ideali una realtà, anche attraverso il design.
L’espressione della cultura californiana di rivoluzione e libertà non si limitò, quindi, ad abbracciare il movimento hippy, ma si estese fino al suo ideale opposto, ossia l’ideologia militare, il rigore, la creazione di spazi futuristici in assenza di smog, con strade bioluminose e l’invenzione del microchip per il controllo e la guida dei missili. Nello stesso senso, dal mito di Easy Rider – con la Harley Davison Captain America guidata da Peter Fonda e venduta all’asta per 1,35 milioni di dollari – si arriva a Firefly, l’auto progettata da Waymo’s per la guida con pilota automatico.
OLTRE I CONFINI
Il movimento, il viaggio sono sempre stati compagni stretti di una filosofia del design, che ha puntato all’espansione dei confini mentali, all’abbattimento di barriere, da quelle puramente fisiche e concettuali, a quelle dello spazio all’interno di una nuova dimensione.
Tra i progetti esposti in mostra sono incluse: l’illustrazione di Syd Mead per Blade Runner, la carta di blotting LSD e la grafica iniziale di un videogioco, la simulazione della realtà virtuale, attraverso l’uso della mascherina.
Una delle affermazioni più audaci della mostra è che, in un certo qual modo, siamo tutti californiani. L’utilizzo di smartphone e social media è un fenomeno ormai di espansione globale, originato dalla Silicon Valley, che ha influenzato il modo in cui si comportano miliardi di persone. La semplice pubblicazione di un selfie su una qualsiasi piattaforma social network è la quintessenza dell’influenza del design californiano sulle nostre vite. La liberazione, in termini californiani, ha anche un inconveniente, ossia la trappola di poter essere sempre rintracciabili e connessi. Alcuni annunci per Apple PowerBook e Newton, presentati all’interno della mostra, manifestano come i dispositivi, che hanno dato alla gente la libertà di lavorare a modo proprio, hanno anche di fatto costruito cattedrali del lavoro continuativo e non-stop. Queste ipotesi, ravvisabili nel tessuto creativo di ciascuno di questi prodotti, derivano da una specifica ideologia e, come sostiene il curatore McGuirk in un’intervista, “questi elementi creano attriti nella storia del successo progettuale della California”.
Il mondo, così come lo conoscevamo, non esiste più, se non in quei luoghi ancora non raggiunti dalla tecnologia. Le nostre vite iniziano spesso toccando lo schermo di uno smartphone alla mattina, per concludersi nello stesso identico modo la sera.
‒ Elena Arzani
Londra // fino al 15 ottobre 2017
California Designing Freedom
DESIGN MUSEUM
High Street Kensington, 224-238
www.designmuseum.org
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