Rising Talent Awards, iniziativa volta alla valorizzazione dei nuovi talenti del design nell’ambito della fiera parigina Maison & Objet, dopo aver guardato nelle passate stagioni all’Inghilterra e all’Italia, presenta quest’anno nell’edizione autunnale, andata in scena dal 7 all’11 settembre, alcuni giovani libanesi dalle esperienze assai difformi e articolate (studi all’ECAL di Losanna, allo IED di Madrid, all’ESAG Penninghen di Parigi o al Politecnico di Milano), ma profondamente radicati nella realtà culturale e sociale del loro Paese.
Si tratta di sette nomi, Carla Baz, Marc Dibeh, Carlo Massoud, Anastasia Nysten, Paola Sakr, Studio Caramel (composto da Rami Boushdid e Karl Chucri), portatori ognuno del messaggio di libertà espressiva dovuto da una parte all’apertura che Beirut offre da sempre all’internazionalità, dall’altra alla mancanza di una vera e propria tradizione locale nel campo della progettazione: le sole personalità di spicco che hanno in vario modo svolto per loro il ruolo di maestri sono Karim Chaya, Karen Chekerdjian e Nada Debs. Li accomuna la commistione linguistica, frutto degli intrecci fra Oriente e Occidente, che nell’area medio-orientale trovano terra quanto mai fertile al loro sviluppo, e la ricerca di nuovi sbocchi professionali. Selezionati da un team di esperti (fra cui la gallerista di Beirut Joy Mardini che li rappresenta), vantano contatti con note gallerie europee come S. Bensimon di Parigi (presso la quale, in concomitanza della fiera, i loro arredi sono stati presentati in un’esaustiva rassegna), Seeds Gallery di Londra, Bazaar Noir di Berlino o Nilufar di Milano.
LE PROBLEMATICHE
Ma non di poco rilievo sono le problematiche che li assillano, nonostante il successo dei loro studi recentemente aperti a Beirut. “Non abbiamo un network e ci sono grandi problemi di comunicazione”, affermano i due designer di Studio Caramel, aggiungendo poi: “Anche la produzione presenta nel nostro Paese alcune problematicità soprattutto per il massmarket”.
Se infatti nessuno di loro rinuncia all’artigianalità (che in Libano vanta manovalanze di prim’ordine e un ampio ventaglio di applicazioni: dai metalli ai legni, dalla ceramica al vetro) per pezzi in limited edition, tutti mirano anche alla serialità, facendo anzi del dualismo piccoli numeri/grandi numeri un binomio imprescindibile. Paola Sakr, che lavora molto sul recycling e sulla ricerca dell’emozione attraverso la valorizzazione dei materiali, sottolinea: “A scuola abbiamo imparato la funzione e il ruolo sociale del design, ma non è quello che il pubblico libanese cerca nei nostri pezzi”. “Abbiamo una grande responsabilità, quella di trovare un’identità e riempire il vuoto che il nostro Paese nel campo del design non è ancora riuscito del tutto a colmare”, ci conferma invece Carla Baz, che grazie anche alla sua formazione francese esplica nel suo design una raffinata consapevolezza stilistica unita a uno spiccato senso della sperimentazione. Dello stesso parere Marc Dibeh: “Abbiamo poco heritage su cui contare e abbiamo molto da costruire. Penso che l’identità vada ricercata nelle affinità del processo progettuale”.
ATTUALITÀ E MELTING POT
Più attento alle condizioni politico-sociali del Libano rispetto ad altre aree mediterranee, Carlo Massoud, di formazione architetto, affronta invece l’aspetto economico della produzione: “Produrre costa caro in terra libanese. L’Italia è al confronto più interessante dal punto di vista della produzione industriale. Dove operare dunque?”. Una voce a sé è infine rappresentata da Anastasia Nysten, particolarmente orgogliosa del melting pot sotteso al suo linguaggio espressivo. Lei, nata in Canada da padre finlandese e madre libanese, cresciuta in Francia e in Libano, rappresenta il caso più eclatante di nomadismo culturale: espone a Maison & Objet la serie di sedute Troll, ispirate ai giganti delle saghe scandinave. Straordinaria questa scelta, quali le sue ragioni? “Mi piace mescolare le culture”, spiega, aggiungendo poi: “Penso alle abitudini comportamentali che ho accumulato: creare oggetti è anche un riflesso di queste e un modo di ricordare i bisogni e le storie del mondo di oggi”.
‒ Alessandra Quattordio
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