La fabbrica delle rocce. Gli esperimenti materici di Studio La Cube a Milano
Camp Design Gallery, Milano ‒ fino al 31 ottobre 2018. La galleria fondata da Beatrice Bianco e Valentina Lucio dedica una personale al duo italo-spagnolo in bilico tra arte e design. In mostra una serie di complementi che giocano sul rapporto tra naturale e artificiale.
Il grano, il cane, la pietra. I primi due elementi di questa triade sono forse i tasselli più importanti della gigantesca opera di addomesticazione del mondo compiuta dai nostri antenati: il cereale, selezionato per l’uso agricolo e poi opportunamente trattato già in tempi molto remoti, fornisce un alimento di base come il pane, mentre i tratti distintivi del cane sono stati plasmati da un’antichissima convivenza con l’uomo. Addomesticare la roccia, sulla carta, sembrerebbe impresa più difficile.
Ci hanno provato Stefano Fusani e Clara Hernández, le due anime del duo italo-spagnolo Studio La Cube, con una serie di pezzi da collezione in mostra da Camp Design Gallery. La personale dedicata ai giovani designer di base a Madrid – entrambi sono millennial, nati tra la fine degli Anni Ottanta e l’inizio del decennio successivo – riunisce cinque complementi-scultura (con funzione di sgabello o tavolino) realizzati con una resina acrilica a base d’acqua, la jesmonite, e inserti di legno di faggio. Fogli di resina trasparente sono stati utilizzati per creare un calco del terreno e poi modellati, con l’aggiunta di pigmenti, per arrivare a un risultato che si avvicina alla pietra naturale al punto da ingannare vista e tatto.
Al termine della lavorazione, la parte artificiale dell’oggetto sembra organica, mentre quella naturale – il legno, estremamente levigato – potrebbe essere appena uscita dalla fabbrica. Con questi pezzi i due artisti abbandonano l’ossessione per le forme geometriche come il cubo e le linee pure in favore di una riflessione teorica sul confine tra naturale e domestico. Dato che anche i paesaggi che percepiamo come naturali sono spesso il risultato dell’azione dell’uomo, e l’idea stessa di natura non è altro che un costrutto culturale, perché non sparigliare le carte con una “fabbrica delle rocce”?
‒ Giulia Marani
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