Presentato l’ADI Design Museum Compasso d’Oro di Milano. Intervista a Ico Migliore
A Milano è stato presentato il progetto, firmato Migliore + Servetto e Italo Lupi, del nuovo museo che ospiterà gli oggetti selezionati dalle Giurie del Compasso d’Oro dal 1954 a oggi. L’architetto Migliore ce lo ha raccontato, soffermandosi in particolare su come questo nuovo spazio dialogherà con i suoi visitatori.
Nel 2019 Milano consacra ufficialmente il suo primato nel panorama del design italiano istituzionalizzando la storia di quegli oggetti che hanno reso i progettisti e le aziende nazionali famosi in tutto il mondo. Non solo il Museo Permanente del Design della Triennale dunque, ma un nuovo luogo, unico, che raccolga sessant’anni di esempi illustri della storia del design (nella sua più ampia accezione) in una posizione strategica della città, tra la Fabbrica del Vapore e la Fondazione Feltrinelli. Stiamo parlando dell’ADI Design Museum Compasso d’Oro: in più di 5mila mq di area industriale recuperata, il nuovo museo dedicherà 3mila mq di spazi espositivi al racconto di uno spaccato della storia italiana, dal 1954 a oggi, attraverso oggetti e tematiche che negli anni si sono fregiati del prestigioso premio annuale promosso dalla Fondazione ADI. Un esempio di dialogo virtuoso con le istituzioni locali (amministrazione comunale di Milano, Regione Lombardia e Stato) iniziato nel 2011 e un progetto altrettanto sfidante vinto dallo Studio Migliore e Servetto con Italo Lupi. Il museo verrà annualmente aggiornato, così da non limitarsi alla sola natura di spazio per la conservazione, ma sviluppando una forte componente dialogica con i fruitori, affinché i visitatori siano invogliati a tornare.
Abbiamo chiesto a Ico Migliore come questa visione si concretizzi nel progetto da loro proposto.
Che cosa si intende per Museo Narrante?
È un concetto su cui lavoriamo da tempo, anche in riferimento a lavori che abbiamo realizzato in passato come il Museo Chopin a Varsavia o il Museo Egizio a Torino. Il museo narrante si contrappone al museo “polveroso” italiano perché dialoga con il visitatore. È a metà tra il “museo-chiodo”, con i quadri attaccati alla parete o con gli oggetti esposti tout court, e il museo luna-park, ovvero forzatamente experience, tanto da stressare con troppi input il visitatore, e per raccontarsi usa strumenti acustici, luce, storytelling, per mettere in evidenza ciò che c’è dietro a un oggetto: la storia del prodotto esposto.
Il museo non è solo una struttura dedita alla conservazione dei pezzi, quindi alla loro tutela e protezione, ma va oltre raccontando, sulla storia dell’importantissima collezione presentata, altre storie. La varietà narrativa è pensata per invitare il visitatore a tornare, perché stabilisce un dialogo con il visitatore stesso.
Soffermandosi sull’utilizzo della luce, i vostri progetti ne rivelano sempre un uso critico e pensato. Cosa vuol dire porre l’attenzione su questo aspetto, come su altri più tecnici del progetto?
Vuol dire iniziare dalla luce, far crescere questa specificità del progetto, come altre soluzioni tecnologiche, sin dalla genesi del progetto. Si tratta di soluzioni molto intuitive, on/off, come i brevi racconti del Museo Chopin. La luce in questo ha un ruolo fondamentale perché accende parti di storie aiutandoti a capire qualcosa di più, ha anch’essa un ruolo narrativo poiché ti aiuta a percepire l’oggetto non soltanto nello spazio ma anche nel suo racconto. La luce che progettiamo lavora sempre con l’orizzonte, ovvero si mette in relazione con l’oggetto e con il suo sfondo, come nel progetto che abbiamo pensato per Intesa Sanpaolo a Torino. Questi strumenti, tutti, dialogheranno con i visitatori del museo.
E l’approccio alla preesistenza industriale?
Si tratta di tre grandi spazi, per una superficie di circa 3mila mq. Ciò che è interessante è che nel presentare tutti gli oggetti selezionati dalle Giurie del Compasso d’Oro si narra uno spaccato di storia italiana oltre che la storia del design. In questo senso il museo diventa quasi una sorta di teatro, come si vede nello schizzo. Il panorama del design esposto è molto trasversale, spaziando dal design dei servizi al design ambientale al graphic design. Per questo vogliamo dialogare con pubblici diversi, e non solo con gli addetti ai lavori, così che chiunque vi si approcci ne colga lo spaccato di storia che attraversa il racconto. L’exhibition si struttura per rispondere a diversi tipi di esigenze, da visite di gruppo e workshop fino a ospitare mostre temporanee, una macchina scenica che si adatta e lavora sui suoi contenuti. E credo sia questa capacità narrativa, più che l’estetica, la chiave di volta che ci ha permesso di vincere il concorso. L’archeologia industriale che ci ospita nel progetto viene recuperata e rispettata nella sua essenza.
Dunque come sarà il museo?
Sarà un luogo in cui sarà piacevole tornare per lavorare, approfondire, ricercare, e questa secondo noi è la nuova via dei musei che si avvicinano sempre più a dei laboratori. Un museo polifonico che si occupa della narrazione utilizzando la luce, l’acustica, dando la possibilità al pubblico di sfogliare i contenuti presentati, non rendendo l’esperienza un unicum ma offrendo un luogo dove tornare volentieri a scoprire qualcosa in più. Un luogo ospitale e aperto, che parte dall’esposizione degli oggetti del Compasso ma che potrà adattarsi a palinsesti diversi, con cambi di ritmo all’interno del percorso pensati per evitare lo storytelling statico, con l’obiettivo di far capire come mai un oggetto sia stato concepito nella forma in cui lo vediamo oggi e non solo di spiegarne la funzione.
‒ Flavia Chiavaroli
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