L’uomo in movimento. Intervista a Georges Amar
Il guru francese della mobilità ha aperto la rassegna di Meet the Media Guru dedicata al tema. Lo abbiamo incontrato e abbiamo parlato con lui di trasporti urbani e velocità, e di come il design possa scendere a patti con il mutamento antropologico in atto.
Docente di design e innovazione all’École de Mines ParisTech, direttore Ricerca e Sviluppo di RATP | Régie autonome des transports parisiens per oltre vent’anni e autore del libro Homo Mobilis (FYP Editions), Georges Amar affronta l’attualissimo tema della mobilità partendo dalla valenza e dall’evoluzione che questo termine ha assunto nella società odierna. La sua è una critica costruttiva e propositiva, e il suo recente intervento a Milano ha aperto la rassegna Around Mobility che Meet the Media Guru ha creato con Fondazione Bassetti e con il supporto di Repower e del Politecnico di Milano. Lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti spiegare come, secondo lui, la società odierna viva la mobilità perenne e cosa questo, a suo parere, comporti.
Homo mobilis, l’uomo che vive in movimento: ci può parlare degli aspetti principali di questo paradigma?
La dicitura “homo mobilis“, più che una definizione, è una sorta d’indicazione, un’allusione al cambiamento antropologico: siamo stati, infatti, già homo faber, homo ludens e homo sapiens. La mobilità ha cambiato il nostro modo di vivere sulla Terra. Sino a non molti anni fa viaggiare non era così frequente, era evento eccezionale per la maggior parte della società. Oggi la mobilità è divenuta sostanziale: siamo noi stessi persone mobili. Questo è il significato di homo mobilis: una sorta di cambiamento in cui la mobilità diviene il nostro vero modo di essere nella vita. Lo spostamento assume, in quest’ottica, una dimensione e una valenza più antropologica che funzionale.
Il concetto di velocità quale effetto ha sull’idea di tempo, oggi?
Ci sono, a oggi, due modi per guadagnare tempo. Da sempre la velocità è sinonimo di guadagnare tempo, ma si può guadagnare tempo anche prendendosi il proprio tempo. Faccio spesso questo semplice esempio: se un’ora in treno per te è un buon momento da sfruttare, perché ridurlo a mezz’ora? In certi casi due ore di trasporto in buone condizioni, con la possibilità di dormire, di imparare, di lavorare, sono meglio di una mezz’ora in condizioni stressanti. Guadagnare tempo sta diventando una questione piuttosto complessa, e dobbiamo necessariamente ampliare la nostra veduta sull’argomento. Oggi il tempo è una specie di prigione. Spesso diciamo “il giorno ha solo 24 ore” e siamo tristi: vogliamo 26 ore? Ne vogliamo di più? Il tempo vincolante è un nostro costrutto. Ecco perché dico che siamo una civiltà in evoluzione con un potenziale che per alcuni versi è troppo alto. La mobilità è come la parola greca pharmacon, che per i greci significa sia veleno che rimedio, perché può essere stressante o può essere un altro modo di vivere se impariamo come “essere mobili”. Spostarsi non implica sempre e solo tensione, se si impara ad “abitare” la mobilità la si può mettere a frutto nella nostra realtà quotidiana.
Come può il design migliorare una “walkable city”?
Ho tenuto un workshop all’università poco tempo fa dal titolo Design Walking. Immagina, camminando, di non essere solo un singolo individuo, ma di essere parte di un sistema globale. Del tuo camminare fanno dunque parte la luce per strada, le scarpe che indossi, ciò che vedi o senti, l’aria che inspiri. Questo punto di vista ha degli aspetti poetici perché implica essere nel mondo, guardare e sentire, interagire con le persone, tant’è che molti scienziati dicono che il nostro cervello dedichi gran parte della sua attività al movimento e non alla parola, vista la complessità motoria di un singolo spostamento… In questa dinamica l’oggetto di design è interessante nella misura in cui tiene conto della mobilità nella sua complessità. Accanto alla parola design dovremmo aggiungere la parola riflessione. Siamo in un periodo di cambiamento, e in quanto tale è necessario che i progettisti ne prendano atto e siano ricettivi verso la società come verso il luogo in cui vivono/lavorano/viaggiano, che ne traggano ispirazione per il proprio lavoro.
Un luogo può essere considerato ancora rappresentativo di un’unica funzione? Come si pone la “mobile life” a riguardo?
Che cos’è esattamente un luogo? Probabilmente stiamo affrontando solo ora l’emergenza di un nuovo concetto, quello del “luogo mobile”. È interessante trovare nuove contraddizioni, infatti il “luogo mobile” è una sorta di ossimoro perché un posto ha, normalmente, una collocazione spaziale, ma sempre più spesso vediamo esempi come i food truck o i treni ospedalieri che ci portano a riflettere su una nuova definizione della relazione tra luogo e funzione. Ciò non significa che si sia persa la relazione con il paesaggio o con la terra, ciò che cambia è il rapporto tra movimento e luogo. Spesso è proprio tramite un movimento che si scopre un luogo. Il movimento è una relazione, il che implica un’evoluzione della concezione della mobilità efficiente come uno spostamento da A a B nel minor tempo possibile. Oggi spostarsi è sinonimo di conoscenza. E conoscere implica una nuova relazione, amichevole, tra movimento e luogo, oltre che un modo di connettersi agli altri, al Paese in cui ci si trova.
‒ Flavia Chiavaroli
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