Città del futuro. Intervista ad Arthur Mamou-Mani
Parigino di nascita, londinese di adozione, è in primissima linea nell’applicazione delle nuove tecnologie all’ambiente costruito. Fondendo la figura dell’architetto con quella del maker, prefigura un futuro prossimo fatto di cantieri intelligenti, edifici che crescono, città che si riciclano. È il poliedrico autore dell’installazione del marchio COS a Palazzo Isimbardi.
Cambiamenti climatici, scarsità delle risorse, espansione urbana incontrollata: solo una rivoluzione (digitale) ci salverà. Ne è convinto Arthur Mamou-Mani (Parigi, 1983), che con un mix di design parametrico, fabbricazione digitale e intelligenza artificiale sperimenta nuovi modi sostenibili di progettare e costruire le nostre città. Dallo studio-laboratorio a East London, passando per il Burning Man Festival, per il quale ha ideato una torre monumentale quanto effimera, il suo pionieristico approccio all’architettura arriva ora al Fuorisalone 2019. Dell’installazione per il marchio COS e molto altro ci racconta in questa intervista.
Mamou-Mani Architects lavora con software open source, promuove i suoi progetti su Kickstarter e li produce nel suo laboratorio di fabbricazione digitale FabPub. Come ti è venuto in mente di unire l’universo dei maker a quello dell’architettura?
Mentre studiavo architettura all’Architectural Association di Londra, una scuola all’avanguardia nel campo delle tecnologie, ho scoperto le potenzialità della stampa 3D applicata al design. È allora che ho iniziato a immaginare la possibilità di eliminare la distinzione fra progettista e costruttore e rendere l’architettura parte della sharing economy. Così, quando nel 2011 ho deciso di avviare il mio studio di progettazione, per prima cosa ho costruito una stampante 3D usando il kit open source RepRap. È in questo modo che sono entrato in contatto con Adam Holloway: il passo successivo è stato creare insieme Silkworm, un plug-in open source che, traducendo le geometrie dei software parametrici in comandi per la stampa, ci ha permesso di inviare direttamente i nostri file di progetto alle stampanti 3D.
Fra i tuoi clienti compaiono le società di ingegneria Arup e Buro Happold, il Burning Man Festival e ora il marchio di abbigliamento COS: una lista decisamente particolare per uno studio di architettura. Cosa vi ha portato a collaborare con loro?
Ci piace lavorare su progetti che hanno un potenziale impatto trasformativo sulla realtà che ci circonda. La collaborazione con COS, ad esempio, si è presentata fin dai primi incontri come l’occasione per esplorare il futuro dei materiali – in particolar modo della plastica –, della fabbricazione digitale e della sharing economy. È un’iniziativa nata in un momento particolare per lo studio: quando lo scorso settembre l’azienda ci ha contattato stavamo tornando dal Nevada, dove avevamo appena completato la nostra più grande installazione. Si trattava di Galaxia, il tempio nel deserto di Black Rock per l’edizione 2018 del Burning Man Festival. Siamo stati entusiasti di poter iniziare immediatamente a lavorare a un altro ambizioso progetto!
Per COS hai ideato Conifera, una struttura ottenuta dall’incastro di 700 bio-mattoncini modulari che si snoda dal cortile di Palazzo Isimbardi fino al suo giardino: a cosa ti sei ispirato?
L’installazione riprende le geometrie di Palazzo Isimbardi, in particolare il quadrato, forma che ricorre più volte nel palazzo, dalla pianta della corte di ingresso alle piastrelle delle pavimentazioni. Combinando questa suggestione con le esigenze strutturali, le ottimizzazioni prodotte dai software parametrici e i vincoli delle stampanti 3D, abbiamo ottenuto le geometrie dei bio-mattoncini del reticolo della struttura.
L’installazione combina estetica organica, materiali sostenibili e costruzione digitale: è questa la ricetta per ricucire un legame fra uomo e natura?
Esattamente. Conifera vuole dimostrare come il legno e le bioplastiche, abbinati a un approccio algoritmico e lavorati da stampanti 3D, possano costituire i materiali di base per costruire il mondo del futuro. Il suo percorso, che dalla corte interna del palazzo conduce al giardino, crea un poetico effetto di dissolvenza che evoca la natura ciclica dei materiali compostabili e accompagna i visitatori in un ideale viaggio dall’architettura alla natura.
Conifera è una delle più grandi strutture progettate e realizzate digitalmente: quando potremo testare questo approccio su più ampia scala, ad esempio su un edificio? Credi sia questo il futuro dell’architettura e delle nostre città?
La stampa 3D è una tecnologia in continua evoluzione, e sono sempre più gli studi che già oggi la applicano a piccole abitazioni o a strutture di scala crescente. In questo senso, Conifera è un’ottima occasione per mostrare a un pubblico molto ampio come si possa utilizzare questa tecnologia, offrendo un assaggio dei prossimi passi in questo campo. La mia speranza è che in futuro gli edifici facciano anch’essi parte di un’economia circolare e condivisa. In questo modo le nostre città non lasceranno più tracce fisiche, ma al contrario saranno in grado di crescere, adattarsi e persino scomparire, se necessario.
Se nel prossimo futuro gli script determineranno il design e i robot lo costruiranno, che fine farà il tocco del progettista?
Non credo che sparirà. Anzi, la nostra ricerca va in verso opposto: vogliamo espandere gli strumenti a disposizione di creativi e costruttori. La democratizzazione dei codici di programmazione e la diffusione delle nuove tecnologie innescano un processo virtuoso, in cui interazione e sviluppo costanti portano innovazione. Esplorando nella loro interezza fabbricazione digitale, stampa 3D e impiego dei robot si apriranno una valanga di opportunità e nuove forme di creatività per designer e architetti. Pensiamo alla robotica: integrando verticalmente progetto e costruzione, renderà possibile un filo diretto fra processo creativo e sua realizzazione. In questo modo supereremo la distinzione tra progettista e costruttore: l’architetto sarà allo stesso tempo designer e maker.
Dal futuro, spaziamo nel tempo: chi sono i tuoi maestri?
Prima di fondare Mamou-Mani Architects ho avuto la fortuna di lavorare per qualche tempo da Zaha Hadid Architects: senza dubbio la grande progettista anglo-irachena è da sempre un mio riferimento fondamentale.
‒ Marta Atzeni
https://mamou-mani.com/
www.cosstores.com
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #48 ‒ Speciale Design 2019
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