La comprensione emotiva dei bisogni degli altri ‒ in una sola parola, l’empatia ‒ è essenziale in qualunque lavoro di progettazione: è necessario, infatti, essere ricettivi nei confronti delle esigenze di chi usufruirà di un oggetto o di un servizio, e in alcuni casi essere pronti a intercettarle ancor prima che vengano espresse. Uscendo dall’ambito ristretto del rapporto tra progettista e committente, il buon design serve innanzitutto le persone e può contribuire a creare nuove relazioni tra individui o a valorizzare quelle esistenti.
L’empatia è anche uno dei fili che è possibile seguire per districarsi tra le numerosissime proposte dei vari distretti della Design Week. In questa edizione, infatti, numerosi progetti mettono al centro l’aspetto emozionale e presentano la tecnologia, più che come fine a se stessa o come l’arma con cui distinguersi dai competitor, come un mezzo che consente al designer di riflettere sui rapporti tra gli uomini e sull’evoluzione della società.
OGGETTI DI DESIGN COME MADELEINE PROUSTIANE
Nella mostra A home is a home… della Design School Kolding, l’artista giapponese Yuka Oyama ha raccolto le esperienze dei suoi workshop di design dell’accessorio e invitato i suoi studenti a tradurre in sculture indossabili tre storie personali che legano a oggetti e luoghi fisici ricordi ed emozioni. Sempre nell’ambito di Ventura Future, nel‘installazione sonora di Isabella Sanchez-Jacques i contadini messicani migranti si raccontano intorno al tavolo virtuale di Cocina de la Tierra.
CONNESSIONI E PRODUZIONE
Se la mancanza di empatia è un problema del nostro tempo, designer come Kiki Van Eijk & Joost Van Bleiswijk lavorano sulle connessioni presenti lungo tutto il processo ideativo e produttivo di un oggetto: tra natura ed espressione istintuale, tra architettura e arte, tra materia e colore. Connect, nell’appartamento di via Cesare Correnti 14 alle 5VIE, racconta la collaborazione tra i due designer.
FOLKLORE E GEOMETRIA
L’oggetto di design può attingere all’evocazione ancestrale, come nel caso della mostra We are Open del Centro di Creatività del MAO di Lubiana, in cui il folklore diviene strumento nelle mani dei designer al fine di creare collezioni che avvicinino manodopera e produzione industriale, accorciando le distanze tra fruitore, progettista e mass production. O può dare una forma (geometrica) a un’esigenza, come nel caso di Sparx Living, che ha individuato nel tavolo triangolare la soluzione ideale per favorire l’interrelazione tra i commensali, componibile all’infinito come infinito è il potenziale di una conversazione.
UN’INSTALLAZIONE CHE STIMOLA IL DIALOGO
L’interazione dialogica torna anche nel magazzino di Ventura Centrale dedicato a Tell me more degli americani RAPT Studio, che sfruttano un sistema disorientante per iniziare un botta e risposta immaginario tra gli avventori dell’installazione: chi risponde a una domanda deve necessariamente rilanciare con un nuovo interrogativo, per poi attivare in una lounge appositamente allestita una conversazione sull’esperienza raccolta. Un’evoluzione odierna della Casa telematica / Cellula abitativa o del Ciceronelettronico (1972) di Ugo La Pietra?
RIPARTIRE DALLA SOLIDARIETÀ
Emma Ribbens (Nomad Play), nella mostra Generous Nature di Belgium is Design, mostra il suo Modular Play Cart, ovvero il playground mobile e facilmente replicabile pensato per dare una possibilità ai bambini rifugiati di esprimere la propria creatività. Altrettanto incisivi sono i dodici Everyday Experiments proposti dalla Finlandia che, per la XXII Triennale, riparte dai cittadini come risorsa per iniziative che mettano a frutto la solidarietà, la tecnologia e il benessere economico generale concretizzando cambiamenti sociali sul territorio, come nel caso di Place to Experiment, in cui sono le veterane finlandesi a insegnare ai migranti le foreste che ricoprono la maggior parte del Paese in cui oggi vivono.
L’IPERSORVEGLIANZA UCCIDE LO SPAZIO PUBBLICO?
Una prigione attualissima è quella raccontata dagli architetti Park Associati, che nel nuovo distretto di Porta Venezia in Design hanno portato nel loro Park Hub una provocatoria installazione del duo di designer formati alla Design Academy di Eindhoven Žan Kobal e Weixiao Shen – frutto di una call lanciata a ottobre 2018 e curata da Virginio Briatore – dal titolo Insecure: Public Space in the Age of Big Data: Come cambia una sensazione istintiva come l’insicurezza quando viviamo in un mondo in cui, come cantavano gli Hard-Fi in Stars of CCTV, “every movement that I make gets recorded to tape…”? Quello che ci troviamo davanti è uno scenario critico e surreale che porta il visitatore a visualizzare la morte dello spazio pubblico in virtù di una iper-sorveglianza messa in atto dalle telecamere di sicurezza, minando la possibilità di stabilire relazioni tra i sorvegliati a vista, cioè noi, quasi passassimo senza volerlo dietro le “sbarre” di una prigione a cielo aperto.
‒ Flavia Chiavaroli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #48 ‒ Speciale Design 2019
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