A Roma è tempo di design. Intervista a Pierre Yovanovitch
Un ciclo di incontri sul contemporaneo racconta come la città, con la sua bellezza eterna, possa ancora essere un universo di riferimento e suggestione per chi disegna spazi, oggetti, ambienti. Intanto diamo il benvenuto al designer Pierre Yovanovitch, in Italia da protagonista per la prima volta, nell’ambito della rassegna Ō Tempo di Design, Danza, Musica, Teatro, Cinema & Fotografia.
Un fitto calendario di eventi, articolato fino al 24 giugno 2020, accompagna la rassegna Ō Tempo di Design, Danza, Musica, Teatro, Cinema & Fotografia, progetto multidisciplinare e performativo curato da Cristiano Leone con la collaborazione di Antonia Marmo, e prodotto da Electa. Un insieme di sperimentazioni, talk, incontri, concerti e mostre promossi dal Museo Nazionale Romano e presentati, oltre alle Terme di Diocleziano e al Planetario, da quest’anno anche nello straordinario Palazzo Altemps. Riflettori puntati in particolare sulla sezione design, voluta da Cristiano Leone proprio per alimentare un dibattito sul ruolo che il design internazionale potrebbe assumere a Roma e sul rapporto, a volte controverso a volte incredibilmente fruttuoso, che i designer contemporanei hanno con la storia, al fine di tracciare scenari di riflessione e ricerca tra estetiche e nuove modalità esperienziali.
Sono sei i protagonisti selezionati da Cristiano Leone. Dopo Massimiliano e Doriana Fuksas e Alberto Bovo di Hangar Design Group, l’8 gennaio è stata la volta di Pierre Yovanovitch, raffinatissimo designer francese classe 1965 arrivato all’interior dopo un passato nella moda, al fianco di Pierre Cardin. Un designer couturier, insomma, soprattutto nell’approccio. Dal 2001 è a capo, con il socio Matthieu Cussac, dello studio parigino Pierre Yovanovitch Architecture d’Intérieur ‒ dal 2018 anche con sede newyorkese ‒, firma che lavora su progetti con scale molto differenti, dalle lussuose residenze agli hotel, dagli allestimenti di mostre alla scenografia teatrale, in Francia e nel mondo.
Abbiamo parlato direttamente con lui del rapporto che ha con bellezza, di arte, collezionismo, artigianato, lusso, Made in France, audacia, sobrietà, sartorialità.
L’INTERVISTA A PIERRE YOVANOVITCH
Iniziamo subito con Roma e le sue infinite stratificazioni, le sue incongruenze, la sua pesante eredità storico-artistica. La tua conferenza è ospitata in un luogo straordinario: qual è il tuo rapporto con la bellezza? La bellezza ha sempre fatto parte della mia vita. Sono cresciuto a Nizza, che ne trabocca, prima di trasferirmi a Parigi, dove sicuramente non manca. Ho da sempre la fortuna di circondarmi di donne e uomini per i quali è un’esigenza costante, e ho avuto il privilegio di viaggiare molto. Penso di essere in permanente ricerca della bellezza, per questo ho strutturato la mia esistenza affinché essa fosse sempre presente. Per me è una necessità vitale. Ognuno la cerca, anche senza sapere cosa sia, ed è ovunque la si voglia vedere. La bellezza è il mistero della vita, come disse l’artista Agnes Martin.
E per quanto riguarda il contemporaneo?
Il mio rapporto con il contemporaneo è più complesso. I miei gusti si sono dapprima orientati verso la classicità, prima di evolvere verso la modernità e la contemporaneità. Per definizione, il contemporaneo cambia costantemente e per questo corrisponde al mio bisogno di scoprire nuove cose. Passa attraverso quella semplificazione delle forme che tanto amo. Detto ciò, resto affascinato dai periodi più classici nei quali vi sono sempre delle meraviglie da scoprire, in particolare l’Italia. Al di là di Roma, sono innamorato di Venezia.
Ō Tempo di Design si prefigge di accendere i riflettori su questa città, animando un dibattito intorno al tema del design, solitamente appannaggio di Milano. Qual è il tuo parere in merito, quali pensi possano essere le linee guida per far crescere una cultura del progetto di qualità anche qui?
Roma è una città incredibile di cui si parla troppo poco. È rimasta un mondo a parte, ancorata nella sua identità, tanto che oggi appare in décalage rispetto ad altre metropoli. Porta a giusto titolo il nome di “città eterna” perché sembra fuori dal sistema. Non seguire il ritmo attuale, frenetico, alla ricerca delle tendenze e del profitto, può essere una scelta. I francesi conservano l’immagine di Roma trasmessa da Fellini negli Anni Settanta: eccessiva, sacra, sovversiva!
Sul tuo sito definisci il tuo lavoro di interior come una “interazione di volumi armoniosi e linee rigorose ammorbidite dall’illuminazione e da materiali autentici”, facendo riferimento al ruolo autoriale del designer combinato alla maestria degli artigiani, capaci di fare la differenza. Raccontaci meglio la tua storia e se c’è un progetto dei sogni.
Il mio lavoro con gli artigiani è sempre cominciato con un incontro, con una sorta di comprensione istintiva e di fiducia reciproca immediata. Spesso si tratta di un approccio alla materia che non consiste nel domarla, ma al contrario la lascia libera di esprimersi, accettandone il carattere aleatorio. Si instaurano allora quelle collaborazioni creative che mi sono particolarmente care. Sogno di realizzare delle scenografie per l’opera e per le arti performative. Entrare in questa dimensione di opera d’arte totale e mettermi al suo servizio. Amo l’idea che un decoro possa servire un’idea, a volte sottolineandola, altre scomparendo.
Si sente spesso parlare, nel design, di “made in Italy”. Cosa definisce, invece, il “made in France” secondo te?
Do molta importanza agli artigiani francesi, il cui savoir-faire è unico. Il made in France è già di per sé una firma. Le nostre radici culturali comuni ci consentono di comprendere all’istante di cosa stia parlando. Mi riferisco a una tradizione artigianale che è sì francese, ma che somiglia a quella di Paesi limitrofi come l’Italia e la Svizzera. I mobili che disegno sono tutti realizzati in Francia e, nel contesto attuale, sono fiero di poter contribuire a far vivere nel mio Paese tutte quelle maestranze che ancora lavorano con le loro mani. Questo ha un costo, certo, ma la qualità degli artigiani francesi è inestimabile.
Come vedi il futuro del design e della professione?
Le sfide a venire sono terrificanti, il mondo sta letteralmente andando a fuoco! Ogni epoca deve sapersi reinventare, ma la nostra ha una responsabilità molto pesante. Il mondo del design e dell’architettura non deve seguire a ogni costo l’attuale tendenza alla crescita sfrenata e senza limiti. Bisogna rallentare e pensare a un’altra maniera di vivere.
Tre parole/aggettivi per descriverti
Inquieto, istintivo, appassionato.
‒ Giulia Mura
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