Parola ai designer #2: Tommaso Monaldi, il pensatore
Nella seconda puntata di questa serie di interviste dedicate al design italiano intervistiamo il progettista ed esperto di comunicazione visiva marchigiano Tommaso Monaldi. Tra i temi principali ci sono il rapporto tra design e amministrazioni pubbliche, in particolare nel post-pandemia, e l’importanza dell’analogico in tempi di digitalizzazione forzata
Classe 1985, Tommaso Monaldi è un industrial designer marchigiano, attualmente impegnato nei settori della direzione creativa, della comunicazione d’ impresa e del visual design. Tre gli asset che caratterizzano il suo lavoro e le sue ricerche: innovazione, co-progettazione e visione sistemica. Libero professionista appassionato di viaggi (ancor meglio se lunghi e in solitaria) nonché docente universitario, da tempo collabora con l’ISIA di Urbinoe con l’Università di Design di San Marino. Dal 2017 è Esperto dell’Osservatorio Permanente del Design ADI, dal 2018 socio Professionista Senior AIAP e, dal 2019, nella lista degli Innovation Manager MiSE. Le sue parole chiave per affrontare il futuro sono “Meno e Meglio”. Lo abbiamo contattato qualche tempo fa, dopo aver letto una sua lunga riflessione su questi argomenti, per avere il suo punto di vista sulle ripercussioni e le opportunità che questo lockdown appena trascorso ha portato a lui e alla professione.
Tre parole o aggettivi per descrivere il tuo lavoro di designer, prima, durante e dopo la Pandemia
Compromesso, Evoluzione, Sostanza.
Che cosa ti resterà di questo lockdown? Cosa butti e cosa tieni?
Chi fa il mio mestiere sa bene che noi lavoriamo in rete e da remoto da molto prima che il Virus costringesse tutti gli altri a farlo. Il lockdown ha determinato un’alfabetizzazione forzata verso il digitale che a mio avviso ha spostato molte persone fuori dalla propria area di comfort, facendole crescere. Per me, ha liberato qualcosa, permettendomi di riflettere maggiormente. Credo che l’eccessivo correre impedisse a valori veri di sedimentarsi e distribuirsi, ora serve attenzione per le cose ricche di sostanza. Stavamo diventando dei maratoneti senza traguardo. Personalmente non accetterò più questo modo di vivere e affrontare il quotidiano. Spero sia così per molte altre persone: insieme si farà la differenza, non avremo tante altre possibilità. Infine vorrei sottolineare un altro aspetto molto importante, ovvero il consolidamento delle reti, soprattutto personali.
Pensi che dopo questo momento sospeso il tuo lavoro subirà variazioni ( nei tempi, nell’approccio, nei contenuti ) o ritornerà identico a prima?
Ho sempre creduto nell’innovazione. Non so come sarà il futuro, ma penso senz’altro che serva maggior coraggio e minor compromesso. Le parole per affrontare il futuro infatti sono fiducia, umanità e coraggio. Questo sarà possibile grazie a tanto confronto e apertura. La comunicazione sarà essenziale.
I designer hanno l’opportunità di riacquistare un ruolo centrale per la società post Covid, mettendosi al servizio dei tavoli di dibattito che guidano le strategie per il rilancio. Quali sono gli strumenti secondo te più utili per ripensare i sistemi relazionali e culturali da questo momento in poi?
Lo spero, con tutto il cuore. Forse sarò in controtendenza, ma credo che mai come prima abbiamo bisogno di strumenti analogici e approccio umano. Un nuovo umanesimo “aumentato” dalle piattaforme digitali, ma di profonda radice analogica. Servono spazi pubblici, luoghi concreti. Molto si gioca sull’appartenenza, e la comunicazione assieme ai metodi del design può fare tanto in tal senso. Questo lo intendo sia per le organizzazioni che per il pubblico. Allo stesso modo molte aziende, persino in questo periodo, si rifiutano di investire in comunicazione interna. Ecco, questi sono alcuni dei temi importanti che il design dovrebbe avere l’opportunità di affrontare, ora come mai.
Su cosa indirizzerai – o vorresti indirizzare – la tua ricerca futura?
Sul rapporto tra design e comunità locali. Credo che la figura del designer possa portare un contributo enorme all’interno delle amministrazioni pubbliche. Parlo di comunicazione, identità, servizi, innovazione e ricerca. Anche in questo caso la gestione di tavoli multidisciplinari coordinati sarà la soluzione. Ho già delineato la mia filosofia di lavoro: credo fermamente che il mestiere del designer consista oggi nella gestione di processi culturali volti a connettere le varie realtà, imprenditoriali e non. Ora si deve lavorare insieme, senza mai dimenticarci che la comunicazione è quella rivolta alle persone, che possono essere ripetitori potentissimi, corde che vibrano. Ricordiamoci che sono le emozioni che permettono i comportamenti. Nell’era dei big data bisogna rendersi conto di nuovo che le persone non sono numeri.
– Giulia Mura
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