Parola ai designer #7. Studio AMeBE, le trasformiste
Proseguono le nostre conversazioni con esponenti del mondo del design, a cui chiediamo di raccontarci il loro punto di vista su professione, futuro, made in Italy. Protagonista questa volta un duo tutto al femminile, attivo dal 2008, contraddistinto da un approccio interdisciplinare al design, con collezioni che variano dal Furniture al Lighting passando per il Food Design fino alla produzione di pezzi unici o Edizione Limitate per il mercato del collezionismo. Abbiamo chiesto loro di più in merito al loro spassionato amore per l'Italia e a cosa pensano del design al femminile (e under 40)
Balzate alla ribalta nel 2010 con “Finger-Dip”, ditali in lattice per mangiare con le mani (per il quale hanno ricevuto il prestigioso Red Dot Product Design Award) Alessandra Mantovani ed Eleonora Barbareschi, alias AMeBE, fanno parte di quel gruppo – in rapida crescita, fortunatamente – di designer donne, giovani e di talento, che alternano la realizzazione di progetti più convenzionali, consulenze e formazione con la sperimentazione di nuovi linguaggi.
Il loro nome, ad esempio, oltre ad essere l’acronimo delle iniziali delle fondatrici (A + M & B + E), prende ispirazione dall’affascinante organismo unicellulare noto per le sue continue evoluzioni: il termine Amoeba, infatti, deriva dal greco antico e significa “cambiamento, trasformazione.”
All’attivo vantano collaborazioni con Gaetano Pesce, con i marchi RIVA1920, SELETTI, MODO e il brand cinese di mobili ADWIN nonché diversi premi come il Fedrigoni Top Awards, il Torino Digital Festival o il Red Dot Concept Design Award a Singapore. Attualmente sono rappresentate dalla Galleria David Gill, e prima del lock-down stavamo preparando una nuova collezione da presentare a Londra.
Tre parole/aggettivi per descrivere voi e il vostro lavoro di designer.
Ironico, iconico, emozionale.
Insieme dal 2005, raccontateci meglio la vostra poetica e come si è evoluta nel tempo. Quali i vostri temi di ricerca adesso? Su cosa state lavorando o avete in programma di lavorare?
Continuamente in bilico tra follia e raziocinio, rigore e disordine, testa e cuore, sacro e profano, i nostri progetti hanno un’inconfondibile impronta che li contraddistingue. Siamo complementari e indispensabili una all’altra: “siamo una la bomba e l’altra la miccia, diamo il meglio insieme”. I nostri temi di ricerca attuali e futuri rimangono ben radicati alle nostre origini italiane, siamo nate e viviamo in un paese ricco di storia che trasuda da ogni pietra sulla quale sono state costruite le nostre città, le nostre case. Il nostro intento è quello di portare proprio in queste case il ricordo di questo vissuto tramite il design di nuovi pezzi, caratterizzandoli da un’estetica forte, scenografica e iconica. Guardando il nostro design si ha la percezione di avere davanti agli occhi qualcosa di nuovo e irripetibile, ma allo stesso tempo anche di conosciuto e inconfondibile.
Parliamo di design al femminile: finalmente le progettiste donne iniziano ad avere voce e potere, anche se c’è ancora molta strada da fare per la parità di genere, anche economica. Cosa pensate di questo?
È vero, ma in Italia c’è ancora molta strada da fare. Purtroppo quando ci paragoniamo alle nostre colleghe olandesi o svedesi… Insieme all’apprezzamento per alcune di loro, inevitabilmente cresce anche una grande frustrazione. In Italia abbiamo tanti aspetti invidiabili… L’innovazione, la creatività, la genialità, l’approccio emozionale… ma le opportunità sono sempre poche e spesso manca la fiducia. Quante volte ci siamo sentite dire che eravamo delle ragazzine? O ancora troppo giovani? Nonostante il nostro inizio sia stato gratificante con la vincita del primo Red Dot Product Design Award nel 2010 (avevamo 26 anni e il nostro esordio avveniva in piena crisi economica), ancora oggi capita che saltino progetti per mancata fiducia e spesso succede di vederli assegnati a colleghi uomini “più grandi”. Da noi è esattamente l’opposto del sistema americano. In sostanza qui più sei “vecchio”, più vali, più hai esperienza, più sei un saggio… Un maestro. Unito al fatto che gli italiani sono tra i più longevi del pianeta… Fatevi due conti!
Quali consigli dareste ad una giovane designer?
Ciò che abbiamo conquistato dal 2008 ad oggi è frutto di una meritocrazia che esiste. Esistono realtà aziendali meravigliose, sane, pure e coraggiose, fatte di persone uniche con competenze specifiche introvabili altrove (la Brianza ne è un esempio lampante) che ancora osano, credono e rischiano. Nella nostra strada abbiamo avuto la fortuna di imbatterci in molte, molte realtà simili. E c’è sempre da imparare. Quello che possiamo dire è che spesso sono le donne che si affidano senza paura, ma le donne che lavorano come vorrebbero e come si meriterebbero di fare sono ancora troppo poche. Non inesistenti, ma troppo poche.
Milano, patria del design, degli eventi e della produzione ha subito una battuta d’arresto profonda in questo primo semestre del 2020. Come sta reagendo la città? Quali, secondo voi, le strategie di rilancio del comparto?
Nel nostro caso specifico, avendo iniziato a lavorare all’esordio della crisi del 2008, non abbiamo paura e stiamo continuando a lavorare a testa bassa, con la stessa dedizione, costanza e passione. Certo che, per un designer, avere un blocco della distribuzione in negozio e una filiera sospesa significa non avere una produzione attiva con inevitabile e vertiginoso calo delle vendite e delle royalties. Molte aziende sono state in grado di virare la produzione e reinventarsi in questi mesi, in attesa di riprendere – speriamo presto – la routine di sempre. Tutte le aziende con cui lavoriamo sono fatte da persone uniche e geniali, ma hanno bisogno di essere sostenute. Una cosa per noi è certa: noi italiani siamo indispensabili.
Sappiamo che avete all’attivo numerose collaborazioni importanti: quali, ad oggi, le vostre fonti di ispirazione (anche al di fuori del design)?
Quello che possiamo dire è che lavorare per noi a volte è un po’ come cucinare. Alcune idee arrivano come un lampo pronte per essere “mangiate”, altre sono come un risotto… Hanno bisogno di “mantecare”. Di sicuro per ogni progetto ricerchiamo e ci facciamo stimolare dai più’ diversi ambiti. A far scattare la scintilla creativa può essere qualsiasi cosa: un materiale, un filosofo, una canzone. Dal processo creativo all’idea non c’è mai un percorso lineare e riconducibile ad un solo fattore/elemento, è piuttosto il risultato della nostra dialettica creativa, che si innesca e si sviluppa il più delle volte al di fuori del nostro studio, passeggiando, durante i nostri tanti spostamenti o in viaggio. Il nostro segreto si nasconde in quegli infiniti dialoghi che ci trasportano negli angoli più’ nascosti della nostra mente. Ci fermiamo solo quando siamo arrivate a una conclusione che secondo noi è vincente, quando scatta l’amore. E così ogni progetto diventa una creazione unica, come un figlio.
Avete un progetto dei sogni nel cassetto?
Più di uno! Speriamo di poter vivere fino a 120 anni per poterne realizzare almeno la metà.
– Giulia Mura
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati