Parola ai designer #8. Sovrappensiero Design Studio, i funzionalisti
Ci hanno fatto viaggiare (con la mente) durante la quarantena, ci stupiscono con i loro progetti che mescolano approccio narrativo e attenzione per i processi produttivi, specie se ad alto contenuto di tecnologia. L’ottava puntata del nostro ciclo di interviste è dedicata a Sovrappensiero Design Studio, con cui abbiamo parlato dei progetti in corso e di quelli nel cassetto
Ospitati in un piccolo fabbricato industriale color pistacchio nei pressi del Politecnico di Milano (con cui collaborano), Lorenzo De Rosa ed Ernesto Iadevaia sono due designer del sud trapiantati al nord, dove, nel 2007, hanno fondato Sovrappensiero Design Studio. Riconosciuti tra i progettisti emergenti più interessanti nel panorama italiano – la rivista Platform li ha appena inseriti tra i best italian architects and designers under 40 per il 2020 – negli anni hanno dimostrato di saper approcciare il progetto da diversi punti di vista, unendo ricerca sperimentale e produzione industriale, allestimento e interior. In particolare, la curiosità li spinge ad indagare per i loro pezzi, diversissimi tra loro, nuovi processi tecnologici di modellazione, prototipazione e stampa 3D. Oggi vantano collaborazioni con diverse aziende del design italiano come Porada, Bialetti, Mamoli, Vibram, Incipit, Corraini, WayPoint, Marmi Sacco e Manerba. Li abbiamo intervistati in occasione dell’uscita della loro nuovissima collezione in metallo per Rampinelli S.p.A: un tavolo, una panca e un appendiabiti declinati nei colori primari giallo, rosso e blu.
Descrivetevi: perché avete scelto il nome Sovrappensiero?
Il nostro approccio al progetto è molto di contenuto e raramente di “stile”: i nostri oggetti hanno un forte valore narrativo e sono in grado di portarci altrove col pensiero, da qui sovrappensiero.
Avete all’attivo molti progetti, prevalentemente di product – con brand importanti del made in Italy e non solo – con incursioni nel furniture, nell’interior, nell’exhibit e anche nel jewelery design (ci arriviamo tra poco). Diteci un po’, da dove arrivano le ispirazioni?
Abbiamo lavorato a progetti e prodotti in settori molto diversi tra loro, riuscendo a mantenere comunque una sorta di filo conduttore che è il nostro linguaggio. Per poter lavorare in campi diversi e tenere salda la nostra identità, non possiamo affidarci unicamente all’ispirazione, ma abbiamo sviluppato un metodo, o comunque abbiamo delle linee guida che rispettiamo per ogni progetto: riteniamo che ogni oggetto, ma anche allestimento o manufatto comunicativo, abbia diversi layer di interpretazione. I più immediati sono funzionali ed estetici, ma gli oggetti possono anche raccontarci delle storie o portarci in altri luoghi, e qui entra in gioco il layer narrativo, come nella nostra sedia “segumi”, oppure un layer simbolico come nel progetto “porto sicuro”, gli oggetti possono raccontare i processi produttivi che li hanno generati, come in “sinfonia”.
Parliamo di partnership creative. Avete appena presentato la vostra prima collezione per Rampinelli, basata su solidi geometrici, in cui “le forme archetipe generate traghettano l’estetica dura dell’ingegneria meccanica nell’intimità dell’ambiente domestico”. Costituita da un tavolo una panca e un appendiabiti, mette in luce le lavorazioni di taglio al plasma a controllo numerico, fresatura cnc e saldatura TIG manuale. Raccontateci di più, anche di questi processi di lavorazione molto particolari.
Rampinelli S.p.A. è una azienda che opera nel settore manifatturiero metalmeccanico e realizza con pesanti lastre d’acciaio imponenti architetture funzionali dalla precisione centesimale, impiegate nel campo civile, dell’automotive, della siderurgia, delle energie rinnovabili e dello spazio. Siamo partiti quindi dal loro know-how per creare un nuovo brand di arredamento che portasse l’estetica dura dell’ingegneria meccanica nell’intimità dell’ambiente domestico, intraprendendo con l’azienda un percorso e avviando un progetto per raccontare ad un pubblico più ampio questa eccellenza italiana e le qualità di questo tipo di lavorazioni.
Raccontateci di più.
Abbiamo approcciato il progetto come se stessimo lavorando al confezionamento di un abito di sartoria: la scelta del semilavorato in acciaio (lastre e profilati di diverse sezioni e spessori) corrisponde alla scelta del tessuto; il taglio al plasma delle parti secondo progetto, al ritaglio dei pezzi di tessuto che seguono i cartamodelli; l’imbastitura, con le parti che vengono unite manualmente con punti di saldatura leggeri e con l’ausilio di componenti provvisori che verranno prima saldati al resto per conferire struttura e poi rimossi, funziona esattamente come l’imbastitura di un capo di vestiario; l’esperta saldatura con elettrodo infusibile di tungsteno, infine, somiglia alle cuciture di una sarta nascoste nei punti giusti.
Arriviamo alla collezione Athena per Maison 23, in cui disegnate gioielli dichiaratamente ispirati all’antica Grecia e all’indipendenza delle divinità femminili, prodotti, però, attraverso l’uso di software parametrici e stampa 3d, dimostrando ancora una volta una forte propensione per le nuove tecnologie applicate al design. Da dove nascono queste ricerche?
Come dicevamo, ogni progetto nasce da una stratificazione di contenuti. Il gioiello è un tema che si presta benissimo a questo tipo di riflessioni, è un oggetto che esiste da tempi antichi, da sempre simbolico e significativo. Ci piaceva l’idea di avere un riferimento al passato sia attraverso il nome che, come hai sottolineato, ha un suo significato ben preciso, sia attraverso l’indossabilità, ma attualizzando il tutto grazie alle nuove tecniche di produzione: l’obiettivo principale in fase di modellazione, infatti, è stato realizzare una forma complessa, ma allo stesso tempo fluida che non possa essere realizzata con nessun’altra tecnologia, appunto per dimostrare e spingere al massimo le potenzialità della stampa 3D. Crediamo sia molto importante in generale nel nostro lavoro rispettare il linguaggio dei materiali e delle tecnologie utilizzate, spingendo al limite della sperimentazione eventualmente, ma senza mai forzare produzioni che potrebbero essere ottenute più facilmente con altri processi.
Siete due designer del Sud trapiantati a Milano. Cosa è cambiato durante questi mesi di lockdown nel vostro lavoro (smart working a parte), nei vostri progetti o nell’approccio alla professione?
Nei mesi di lockdown abbiamo elaborato un progetto gratuito per consentire di “viaggiare” a chi era costretto a stare in casa: stay at home and go somewhere. Una semplice grafica che, se inquadrata con lo smartphone, apre una finestra video su un luogo del mondo scelto da noi e diverso ogni giorno. Chiunque poteva scriverci per ricevere il file da stampare e le istruzioni. Abbiamo avuto molte richieste e per noi è stato un bel momento di condivisione. Crediamo che il lockdown ci abbia lasciato questo spirito, l’idea di condivisione e l’idea che nel momento in cui tutto si ferma, tutto può essere rimesso in discussione, dal sistema degli oggetti al modo in cui vengono venduti (o distribuiti gratuitamente?). Queste riflessioni sui massimi sistemi non possono essere applicate a tutti i progetti, ma per noi diventa importante interiorizzarle e trasmetterle alle nuove generazioni di progettisti creando dibattito durante le nostre lezioni presso la NABA.
Il vostro progetto del cuore, quello nel cassetto e quello che “ma perché non ci abbiamo pensato noi”?
Del cuore: “design for the blind” è il primo progetto dello studio, presentato al Salone satellite 2008 ma ancora oggi molto attuale, è una riflessione sulla godibilità degli oggetti per non vedenti e sull’estetica degli altri sensi. Nel cassetto: in questi anni a Milano abbiamo conosciuto molte persone che lavorano in settori vicino al nostro e sviluppano pensieri, ricerche e sperimentazioni che ci lasciano sempre affascinati. Un progetto che abbiamo nel cassetto è sicuramente quello riuscire lavorare a progetti più ampi con amici ed esperti che possano arricchire il nostro approccio al progetto e la nostra visione. “Ma perché non ci abbiamo pensato noi”: anche se non rientra molto nella lettura che si può avere del nostro lavoro, siamo stati sin da subito colpiti e affascinati dalle maschere Easybreath di Decathlon, hackerate con la stampa 3d durante i mesi di lockdown e trasformate da oggetto di svago a oggetto medico: quando abbiamo letto la notizia abbiamo pensato a un intervento progettuale giusto, puntuale ed etico. In tanti abbiamo pensato “avrei voluto farlo io”.
Come vi immaginate tra dieci anni?
Negli ultimi anni abbiamo subito diversi cambiamenti, crisi e problemi a livello mondiale sia di carattere ambientale, ma anche sociale ed economico, che hanno sviluppato in noi la capacità di saperci mettere in discussione, di adattarci e di ricalibrarci, nel lavoro e nella vita. Non siamo in grado di dirti esattamente come saremo tra dieci anni, ma sappiamo di sicuro che saremo pronti a migliorarci e a portare il nostro lavoro nella direzione giusta, cercando di essere in sintonia con il tempo e i suoi cambiamenti.
– Giulia Mura
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