Parola ai designer #9: Sara Ricciardi, la fattucchiera del design
Fresca di due appuntamenti importanti (il festival Materia di Catanzaro ed EDIT Napoli) in cui, su invito, ha presentato altrettante collezioni capsule, Sara Ricciardi ci racconta il suo rapporto con oggetti bizzarri, materiali, persone, curiosità ossessive, meditazione, danze giapponesi e iconografia sacra. E del perché, per scelta, ami creare prodotti che non hanno praticamente mercato.
L’enciclopedia Treccani definisce “fattucchièra” la “donna che esercita, o si crede che eserciti, le arti magiche, compiendo malie e stregonerie”. Una descrizione che si presta perfettamente a Sara Ricciardi, eccentrica designer e creative director beneventana poco più che trentenne. Da tempo trapiantata a Milano, dove nel 2015 si è laureata in Product Design alla Naba, quattro anni fa ha aperto il suo studio in città, in cui progetta prodotti per aziende, pezzi unici per gallerie, performance, interni e installazioni.
DESIGN E ALTO ARTIGIANATO: INTERVISTA A SARA RICCIARDI
Tra i luoghi a cui è particolarmente debitrice ci sono Milano, Istanbul e New York. Tre città vitalissime ma incredibilmente diverse tra loro, che l’hanno resa la designer poliedrica e promettente che è oggi, a giudicare dal numero di premi, riconoscimenti, menzioni, collaborazioni, articoli, giurie, inviti e mostre in cui è coinvolta e protagonista. Volendo citarne soltanto un paio: selezionata da Wallpaper tra i finalisti di Next Designer Generation 2018 insieme alle officine Panerai, dal 2019 è l’art director de La Grande Bellezza – The Dream Factory per il Gruppo Starhotels, progetto di mecenatismo per l’alto artigianato Italiano, e fa parte del collettivo The Lady’s Room (insieme a Agustina Bottoni, Ilaria Bianchi e Astrid Luglio) con le quali crea progetti sensoriali per varie gallerie. Il suo è un approccio craft, caratterizzato da una profonda esplorazione narrativa e da una grande ricerca poetica, in cui ogni estetica nasce a seguito di una storia precisa e in cui la forma segue sempre il messaggio.
Tre aggettivi per descriverti:
Vorace, viscerale, sinergica.
Rispetto a quanto sta accadendo nel mondo in generale e nel design in particolare: qual è il tuo personale rapporto con la crisi? In che modo ha influenzato il tuo approccio al progetto?
Sono grata alla crisi come momento di opportunità e riflessione parallela. Ci ha consentito di rallentare, di ripensare certe dinamiche. A me, personalmente, piace l’idea di abitare i dubbi. Voglio fluire, improvvisare, vivere la trasformazione, come un serpente che si rigenera: in lui, insieme, c’è veleno e antidoto, vita e morte. Il mio approccio al progetto non è cambiato affatto, anzi, è incredibilmente prolifico adesso.
Quali sono quindi le tue fonti di ispirazione?
Gianni Rodari e Bruno Munari mi hanno dato ciascuno un metodo sulla “grammatica della fantasia”. Ma direi la pedagogia in generale, e la letteratura, o comunque chi formula metodi, approcci, linguaggi. E poi senz’altro l’Oriente tutto, a cui guardo sempre con immenso stupore, che mi ha insegnato pratiche e rituali per incanalare – con grazia – la mia energia creativa.
Spiegaci meglio questo tuo rapporto con il mondo orientale, a cui fai riferimento anche nei prodotti che disegni, spesso legati al tema del benessere.
Il benessere è un tema progettuale che mi porto dietro da tanto tempo, perché mi sta particolarmente a cuore il concetto di corpo come tempio, come rituale. E gli orientali, lo sappiamo, hanno capito molto meglio di noi quanto sia fondamentale riuscire a far stare bene insieme corpo e mente, alternando fasi di meditazione e digiuno a fasi di grande euforia emozionale, un’energia liberatoria. Io, in particolare, pratico due discipline: una versione rivisitata dell’Ikebana – nobile arte giapponese della disposizione dei fiori recisi – e la danza Butō (letteralmente “danza tenebrosa”), che consiste in una serie di tecniche e forme di performance nate negli anni cinquanta e ispirate dal movimento Ankoku-butō le cui caratteristiche sono: la nudità del ballerino, il corpo dipinto di bianco, le smorfie grottesche ispirate al teatro classico giapponese e l’alternarsi di movimenti estremamente lenti con convulsioni frenetiche.
A proposito di wellness: parliamo di ORA, la serie di oggetti che hai realizzato per Made in EDIT in collaborazione con Simone Piva.
L’idea di fondo è sempre quella, la volontà di lavorare sulla formulazione di un rituale mattutino personale, che metta in relazione corpo, anima e mente. Ecco perché il nome ORA, da ora et labora (locuzione latina adottata dai benedettini che riassume il rapporto d’equilibrio tra preghiera e lavoro) a sottolineare quell’idea, non necessariamente religiosa, di trovare quotidianamente pratiche che siano volte alla concentrazione. Per Simone Piva ho quindi realizzato, partendo dal mio lavoro Peso Specifico presentato al Salone Satellite nel 2016 (in cui indagavo per un medesimo oggetto la differenza di peso data dal materiale con cui era realizzato), una serie di quattro pezzi, da utilizzare in sequenza precisa, poiché determinano gesti altrettanto precisi.
Quali sono?
Una fontana perenne, il ciclo dell’acqua e la sua perfezione ispirata all’uroboro, simbolo archetipico tradotto nella raffigurazione di un serpente o di un coccodrillo che si morde la coda. Un incensiere per la stimolazione olfattiva, due massaggiatori realizzati in noce nazionale e quarzo rosa, per aprire i canali/recettori dell’energia di mani e piedi e infine una clessidra piramidale aperta, della durata di 15 minuti, per rendere effettiva la percezione del tempo che fisicamente scorre.
Oltre a essere una product designer in purezza (all’attivo hai moltissimi esempi) sei anche un’insegnante, alla NABA e alla DOMUS Academy di Milano…
Sì, insegno Social design e pratiche relazionali. Ho esplicitamente scelto e voluto solo corsi così, ispirazionali diciamo, non quelli tecnici legati alla metodologia di prodotto. Creare relazioni per me è il vero senso del design: gli oggetti, di fatto, sono solo potenti strumenti narrativi per muovere le persone.
Come ti vedi tra qualche anno?
Mi vedo presente, combattiva e sempre entusiasta.
-Giulia Mura
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