Il 2020 è stato un anno particolare anche per il mondo del design: senza la maggior parte dei consueti momenti di scambio e di incontro, primo fra tutti il Salone del Mobile, con le aziende impegnate in un primo tempo a resistere, limitando i danni, e poi a cercare di reinventare se stesse, e i creativi in bilico tra l’incertezza – talvolta anche economica, viste le conseguenze che l’interruzione della filiera ha avuto su tutti gli anelli che la compongono – e lo slancio a dire la propria, progettualmente parlando, in una situazione percepita come storica. Guardando indietro, risaltano alcuni momenti. A marzo e ad aprile, il grande brainstorming collettivo su quale aspetto avrebbe avuto il “mondo di domani” e l’impegno dei makers, i nuovi artigiani digitali, nell’ovviare alla carenza di dispositivi medici. All’uscita dal primo lockdown, le riflessioni di designer e brand su come (ri)trovare un passo più umano, senza l’obbligo di presentare per forza un certo numero di prodotti nuovi o una nuova collezione ogni anno, e su come proporre una comunicazione più autentica. In autunno, i tentativi di ripartenza, con la scommessa di alcuni organizzatori di fiere e festival di tornare a proporre eventi in presenza. In attesa di capire quale sarà, più a lungo termine, l’impatto reale della pandemia sul settore del design, e poiché vista l’eccezionalità della situazione sarebbe difficile stilare un “best of” di fine anno tradizionale, ci limitiamo a proporre sei spunti per ripercorrere i dodici mesi appena trascorsi dal punto di vista del progetto.
‒ Giulia Marani
DESIGN HACKING e DIY
L’esperienza della pandemia ha messo in evidenza, se mai ce ne fosse stato bisogno, una grande verità: il processo di progettazione, ciò che chiamiamo design, non si conclude necessariamente con la produzione di un oggetto finito. Quest’ultimo, il prodotto, può essere “hackerato” in varie maniere per rispondere a bisogni nuovi. Non è una novità: nel 1992, per esempio, Enzo Mari disegnava per Alessi Ecolo, un kit composto da un libretto d istruzioni per realizzare da sé un vaso di fiori a partire da imballaggi usati, di detersivi o di altri prodotti d’uso corrente, e da un’etichetta rigida con il nome dell’Editore e dell’Ideatore da applicare al nuovo artefatto.
Oggi, però, la stampa 3D e i software open source rendono molto più semplice trasformare oggetti esistenti per destinarli a nuovi usi. Durante la fase più critica dell’emergenza Covid-19, un ingegnere bresciano, Cristian Fracassi, ha risposto con i suoi colleghi della startup Isinnova alla carenza di dispositivi nella terapia intensiva dell’ospedale della sua città ricreando, attraverso un’operazione di reverse engineering, una valvola stampabile in 3D che permettesse di usare un oggetto esistente – una maschera da sub di Decathlon – in un respiratore. Un caso di “innovazione che salva la vita” raccontato in un libro (scritto dallo stesso Fracassi con Federico Vincenzi) e che ha dato il via a una serie di iniziative su tutto il territorio nazionale, con gruppi di makers impegnati nel convertire qualunque tipo di maschera (da sub, da saldatore…) in dispositivo sanitario funzionante.
OLTRE IL SET. NUOVI PARADIGMI DI COMUNICAZIONE
Orfane del Salone del Mobile, slittato a settembre 2021, le aziende del design hanno impiegato questi mesi per studiare nuovi modi per comunicare i loro prodotti. C’è chi si è buttato in maniera ancora più massiccia sull’online – un movimento che coinvolge anche i giganti del mobile low cost: è degli ultimi giorni, per esempio, la notizia che il catalogo 2021 Ikea sarà l’ultimo a essere pubblicato in versione cartacea, rimpiazzato da un nuovo store virtuale immersivo – e chi ha proposto campagne pubblicitarie innovative, in cui i prodotti si mostrano fuori dal contesto nel quale eravamo abituati a vederli (leggi un interno domestico patinato, perfettamente composto dal tocco di uno stylist in modo che tutti i pezzi siano coordinati tra loro). Abbiamo già parlato del progetto Vite di Foscarini, in cui l’azienda veneta ha tolto le sue lampade da un metaforico piedistallo per ritrarle all’interno di case vere, abitate da persone reali. Nello stesso ambito, l’illuminazione, l’azienda tedesca Tobias Grau ha chiamato a raccolta durante il primo periodo di confinamento un gruppo di giovani artisti da tutto il mondo chiedendo loro una libera interpretazione dei suoi prodotti più noti. Alcuni dei loro lavori, in cui le lampade appaiono sfocate, in secondo piano, acquistano una scala architettonica (è il caso della Salt & Pepper ritratta vicino a un lago come se fosse una torre o un edificio ultracontemporaneo) o addirittura spariscono, lasciando al centro della scena soltanto la luce che proiettano nello spazio o su un corpo umano, sono stati raccolti in un booklet che porta lo stesso titolo del progetto, Artists for Tobias Grau.
DESIGN ARTIGIANO “MADE IN SUD”
A ottobre, nel giro di quindici giorni e in un raggio di circa 300 chilometri, il successo di due manifestazioni, tra le poche che si sono potute svolgere in presenza quest’anno – la seconda edizione di Edit Napoli e il Materia Independent Design Festival di Catanzaro – hanno messo in evidenza le potenzialità di un design a metà strada tra la produzione industriale delle grandi aziende e quella quasi artistica dei pezzi unici da galleria. Una “terza via” che riunisce esperienze molto diverse tra loro, dalle botteghe artigianali che affiancano alle tecniche tradizionali l’uso di strumenti innovativi come le stampanti a controllo numerico e la prototipazione rapida in 3D ai designer interessati all’autoproduzione e alle startup, e che ben si sposa con la ricchezza di simboli e narrazioni del Sud Italia. Le immagini religiose onnipresenti nella vita quotidiana, dalle processioni ai santini affissi accanto alle insegne dei bar, trovano il loro contrappunto negli arredi sacri progettati, non senza una certa dose d’ironia, da designer emergenti e già affermati (presentati a Materia), mentre elementi tipicamente locali come gli imballaggi delle mozzarelle di bufala trovano nuova vita trasformandosi in sedute (ANOA, del casertano Gae Avitabile, vista a Edit). Menzione d’onore anche per la collaborazione tra i maestri ceramisti e gli allievi della Real Fabbrica di Capodimonte e l’archistar Santiago Calatrava, con la realizzazione di un’“opera d’arte totale” nella Cappella di San Gennaro, all’interno del Real Bosco che circonda il museo.
https://editnapoli.com/
www.materiafestival.com
NUOVI MATERIALI / NUOVI PROCESSI PRODUTTIVI
La ricerca di nuovi materiali sostenibili in grado di sostituire quelli tradizionali, per lo meno in una parte delle loro applicazioni, è una costante degli ultimi anni. Spesso si tratta di rimettere in circolo rifiuti organici (le bucce delle mele o delle arance, i gusci di diversi tipi di frutta secca, la parte della pianta del cacao che non finisce nella filiera del cioccolato o la fibra delle banane, come nel caso di due progetti di cui abbiamo parlato in occasione della design week “virtuale” di giugno:) o inorganici (tipicamente, ma non solo, gli scarti di produzione di diverse attività manifatturiere).
Un approccio alternativo, ma altrettanto valido nell’ottica della sostenibilità, è quello che prevede l’uso di materiali “vecchi” come la plastica in abbinamento con un ripensamento radicale dei processi. Ne è un esempio il progetto in cerca di editore appena presentato da Alessandro Stabile e dallo studio Martinelli Venezia, fondato nel 2015 dagli architetti Carolina Martinelli e Vittorio Venezia e attivo a Milano e a Palermo. La 1:1 Chair, frutto di una ricerca cominciata nel 2014, è una sedia in plastica realizzata in uno stampo di dimensioni ridotte e praticamente piano in un solo colpo, vale a dire con tutti i pezzi presenti contemporaneamente e collegati tra loro seguendo i canali dello stampaggio. Il risultato è un unico foglio da cui staccare i singoli elementi, come avviene nei kit per modellismo o in certe sorprese degli ovetti Kinder. La seduta è pensata per essere venduta online così come esce dallo stampo e per essere montata dall’acquirente in maniera semplicissima, senza viti né bulloni. Una volta assemblata, non rivela la sua anima progettuale: è decisamente sobria – “educata”, come la definiscono i suoi creatori – e capace di integrarsi con successo in qualunque interno domestico. I benefici per l’ambiente sono evidenti, anche per quanto riguarda il trasporto e lo stoccaggio, poiché il processo produttivo non è l’unica cosa a essere stata resa più snella. Un solo metro quadro di spazio può ospitare, infatti, fino a ventisei sedie nelle loro scatole.
www.alessandrostabile.com
http://martinellivenezia.com/
LA LEZIONE DEI MAESTRI
Il 2020 è stato anche l’anno della scomparsa dell’ultimo dei grandi maestri del design italiano del Novecento, Enzo Mari, che abbiamo già citato in apertura. Nello stesso momento, si stava inaugurando una grande retrospettiva – Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli, alla Triennale di Milano – che ha reso accessibile (anche se per poco tempo, prima della chiusura con il DPCM di novembre) un importante corpus di progetti, modelli, disegni e opere provenienti dall’Archivio Mari. Un’occasione che non è detto si ripeta nel prossimo futuro, poiché la donazione dei materiali al CASVA – Centro di Alti Studi sulle Arti Visive del Comune di Milano aveva come clausola il fatto che nessuno potesse avervi accesso per quarant’anni, un lasso di tempo che il designer considerava il minimo indispensabile affinché una nuova generazione potesse farne un uso consapevole. Può essere il momento giusto, quindi, per una riflessione sull’eredità culturale che Mari e gli altri maestri della sua generazione, nati nei primi decenni del secolo scorso e sbocciati professionalmente nel dopoguerra, ci hanno lasciato, talmente sconfinata che potrebbe da sola rappresentare l’argomento di un corso universitario. Tra gli spunti che resteranno, e che una nuova leva di progettisti sembra avere già raccolto, c’è senz’altro l’idea di un designer-umanista, che a differenza dei tecnici guarda al globale e che non si preoccupa soltanto della qualità della forma ma del senso profondo – politico, etico – del progetto.
L’ATTIVISMO EDITORIALE
Le restrizioni che hanno colpito gli eventi dal vivo ‒ nel campo del design ma non solo ‒ sono state controbilanciate almeno in parte anche da un’intensa attività editoriale.
Nell’area dei cataloghi, come vi abbiamo già segnalato nel Best of generale del 2020, spicca senza ombra di dubbio il volume che ha accompagnato la mostra di Enzo Mari ‒ scomparso lo scorso ottobre il giorno prima della morte della compagna Lea Vergine ‒ alla Triennale di Milano, in programmazione fino al prossimo aprile. Curatela affidata a Hans Ulrich Obrist insieme a Francesca Giacomelli e volumone di oltre 500 pagine ad accompagnare la retrospettiva. Libro che contiene un fondamentale regesto completo dell’opera di Mari e una nutrita serie di contributi sia testuali che progettuali. Come se non bastasse, potete scegliere fra cinque diverse copertine.
Sul fronte dei nuovi progetti editoriali, la romana Nero Editions accoglie la coppia composta da Barbara Brondi & Marco Rainò e il loro programma IN Residence: nascono così i primi due libri di quella che diventerà una collana di focus monografici. I primi due protagonisti sono Roberto Sironi e Marcin Rusak.
Infine, il comparto della saggistica. Qui spicca l’agile e denso volume di Marco Petroni edito da Postmedia Books, Il progetto del reale. Un libro interamente e squisitamente politico, come si evince sin dal sottotitolo, Il design che non torna alla normalità. Petroni adotta una strategia espositiva estremamente efficace e diremmo maieutica: non espone immediatamente le proprie tesi supportandole con esempi calzanti, quindi in maniera deduttiva; al contrario, procede per induzioni, raccontando man mano una serie di pratiche che possono essere ascritte al mondo del design inteso in senso molto ampio (e quindi proprio) e traendone gradualmente una serie di tesi, o meglio di stimoli, per immaginare la costruzione di un altro reale. Si legge rapidamente, ed è un primo pregio; si fa rileggere con più calma in seconda battuta per assaporarne in un diverso ordine le conclusioni, ed è il pregio più grande.
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