Mentre la Triennale omaggia Enzo Mari (Novara, 1932 ‒ Milano, 2020) con una retrospettiva curata da Hans Ulrich Obrist, la galleria Milano commemora il grande designer e artista con un’operazione filologica: il remake di una sua mostra del 1973. È allo stesso tempo anche un’occasione per celebrare la storia della galleria, perché la mostra che viene riallestita, Falce e martello ‒ Tre dei modi con cui un artista può contribuire alla lotta di classe, inaugurò l’attuale sede di via Manin.
Uno dei punti di interesse della riproposizione della mostra è la possibilità di verificare se il simbolo della falce e martello, ormai quasi completamente espulso dagli automatismi dell’immaginario collettivo, mantenga la sua forza, almeno dal punto di vista della reazione istintiva. D’altronde, già all’epoca, lo spirito con cui Mari intraprese l’operazione era quello di verificare la sua “tenuta”, moltiplicandolo in diverse dimensioni e tecniche.
FORMA E CONTENUTO SECONDO MARI
Si tratta dunque di un’acuta analisi del rapporto tra forma e contenuto, di una sfida all’estetizzazione, tendenza sempre in atto (oggi infinitamente più di allora). Tutto nacque dall’esercizio assegnato a una studentessa: raccolta dati sulla diffusione del simbolo in vari contesti e forme e ideazione di una sua versione artistica, che sfidasse appunto la banalizzazione. Ne derivarono le diverse versioni che ora tornano in mostra: il simbolo grafico, una scultura in legno, bandiere serigrafate e altre moltiplicazioni in forma di stampa, una cartella in tiratura limitata. Nonché, con un’operazione che oggi definiremmo kosuthiana, la presenza concreta di una vera falce e di un vero martello.
STRATEGIE DI INFLUENZA
L’esperimento funziona: il simbolo non perde la sua forza (oggi ne ritrova una parte) proprio trovandosi moltiplicato e declinato. Ma non è questo il punto: la messa in questione conta molto più della verifica. Al di là dell’esperimento di “sociologia visiva”, la mostra riflette poi anche sulla possibilità da parte di un artista di influire sulla società (di “contribuire alla lotta di classe”, come dice il sottotitolo) e sulle strategie che può adottare a tale scopo.
A questo proposito, più del video-documentario che viene riproposto in mostra, sono illuminanti gli scritti di Mari affissi alle pareti, di fianco alle varie riproduzioni della falce e martello: brani che sono testimonianza di una lucidità e di un rigore che oggi tende a scarseggiare e che anzi è addirittura impopolare.
‒ Stefano Castelli
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