Il format dell’edizione speciale del Salone del Mobile, a settembre di quest’anno, è stato recentemente svelato al termine di un percorso quantomeno travagliato che ha portato anche alle dimissioni di Claudio Luti dalla carica di presidente. Facciamo il punto su questa nuova proposta con Stefano Boeri, che ha accettato di curarla con tempi di preparazione decisamente stretti e che ci spiega come quella che nasce come una soluzione “ponte”, per ovviare alle difficoltà di un’annata particolare possa rappresentare anche il modo per sperimentare nuove soluzioni, nella modalità ibrida tra dimensione fisica e digitale di cui si è tanto parlato da marzo 2020 a oggi.
Come è nata l’idea di un “Supersalone”? Dal “salone light” di cui si è tanto sentito parlare ultimamente, è un bel salto concettuale.
Sono sempre stato convinto che andasse fatto un Salone non sottotono, pur sapendo bene che ci sono delle condizioni di contesto straordinarie. Sono ancora presenti timori legati alla pandemia – che tra tre mesi saranno, spero, ulteriormente ridotti ma non spariranno completamente – quindi ci si aspetta una presenza meno forte degli operatori e dei buyer internazionali. In secondo luogo, a settembre saremo a sette mesi dall’edizione di aprile 2022, che sarà la sessantesima. Anche se abbiamo saltato l’edizione 2020, e usciamo da un lungo periodo in cui i prodotti non si sono visti, molte aziende stanno già lavorando per quell’appuntamento. Sappiamo di doverci preparare a un Salone che sarà per forza di cose diverso, da qui è nata l’idea di pensare a un evento che non fosse soltanto business to business, come si dice in gergo e com’è di solito per la maggior parte del suo tempo di apertura, ma che fosse rivolto anche al grande pubblico, aggiungendo fin da subito quella dimensione “b to c” che il Salone non ha mai avuto davvero.
Che cosa vedremo, quindi?
Il pubblico sarà invitato a venire da subito in fiera e avrà un’incredibile possibilità di confrontare prodotti analoghi di aziende diverse, una cosa che di solito avviene attraverso il digitale e non in presenza. La fisicità dell’oggetto è ancora, secondo me, qualcosa di necessari e non derogabile, Quello che offriamo è la presenza simultanea dei prodotti di tutte le aziende più importanti, insieme all’agilità dell’e-commerce: attraverso un QR code, i visitatori potranno avere informazioni aggiuntive, entrare in contatto con le aziende, fare acquisti o prenotare un determinato oggetto. Non sarà, poi, un Salone classico ma proprio una grande “sala”, con all’interno un modulo flessibile comune per tutti, grandi e piccoli, che sarà personalizzabile ma eliminerà la solita competizione tra stand. Si lavora al metro lineare, quindi potrebbe essere l’occasione anche per le aziende più piccole di avvicinarsi al Salone.
Si tratta di una soluzione ponte per ovviare alla prevedibile assenza di molti buyer stranieri, oppure state sperimentando soluzioni che potrebbero entrare stabilmente nel format del Salone?
Penso che questo – il phygital, la compresenza degli oggetti e della modalità d’acquisto e degli strumenti propri dell’e-commerce – sia il futuro della commercializzazione dei prodotti di design, e questo è il primo evento che risponde in modo forte a questo punto. Io credo fortemente nella possibilità di un’immediatezza e di un rapporto diretto tra il pubblico e le aziende, non vedo perché una persona debba andare in un salone a vedere una cosa, fotografarla, poi tornare a casa e cercare un rivenditore. In questo momento storico c’è una domanda enorme da parte di milioni di persone che vogliono migliorare i propri spazi di vita e di lavoro, e per me è irrinunciabile che si vada verso un futuro di questo tipo. Se poi questo voglia dire far diventare questo formato fisso, non saprei, mi occuperò soltanto di questa edizione speciale e non dipende da me.
Ci sarà anche una serie di eventi collaterali…
Se vogliamo dirlo con uno slogan, mentre in questi anni la città è diventata in parte anche una fiera commerciale, perché sono stati aperti tantissimi showroom di vendita, noi faremo in modo che anche la fiera di Rho diventi una città. Porteremo in fiera le scuole, la storia del design con il Compasso d’oro, il miglior cibo italiano e la qualità del food design con Identità Golose, la cultura, i dialoghi, e credo alcuni grandi eventi dal vivo. C’è l’idea di portare lì una varietà di esperienze che accompagnino il momento dell’osservazione, della valutazione e dell’eventuale acquisto dei prodotti.
Una sorta di happening, insomma.
Sì, credo che sarà anche una cosa molto divertente. Ci sarà addirittura un bosco, all’ingresso ci saranno degli alberi che poi pianteremo intorno alla fiera. Cerchiamo di essere molto attenti alla sostenibilità, vogliamo che tutti gli elementi della mostra vengano riusati, per questo li pensiamo già in modo tale che possano essere smontati, stoccati e riutilizzati. Di questo lavoro di squadra – con Andrea Caputo che sta lavorando sui pannelli espositivi, Studio Folder che curerà la parte grafica, Anniina Koivu che sta lavorando sulle scuole, Maria Cristina Didero alle prese con il public program – fa parte anche Lucas Wegwerth, uno straordinario architetto tedesco esperto sui temi del riuso.
Che tipo di risposta vi aspettate dal pubblico? In città c’è un bacino di centomila appassionati di design, lo ha ricordato Beppe Finessi durante l’inaugurazione del Museo del Compasso d’Oro ADI, e il progetto è un tema che fa parte dell’identità del paese anche oltre Milano.
Ci aspettiamo il pubblico degli operatori e dei buyer, anche se in misura minore rispetto a quanto accade normalmente. Poi ci aspettiamo senz’altro il pubblico milanese di appassionati al quale giustamente faceva riferimento Finessi, ma anche il pubblico delle famiglie. Quando mi è stato chiesto a che cosa assomigliasse questa cosa che avevo in mente, ho risposto che somigliava soprattutto alla fiera campionaria. Ricordo quand’ero bambino, ci andavo con mio padre e mia madre ed era una festa, si andava a vedere la migliore qualità dei prodotti italiani ma non solo, era un evento popolare e vorrei tanto che questo aspetto tornasse.
Il nome Supersalone richiama quello di una realtà esistente e molto nota come il Superstudio. Come dialogherete con il Fuorisalone e con le energie già presenti in città?
Questo è un altro tema su cui stiamo lavorando, bisogna unire le forze e certamente lo faremo. Negli anni mi è capitato di vedere la questione da molti punti di vista diversi – di architetto, di direttore di riviste, di Assessore alla Cultura – e ho capito la necessità di una assoluta complementarietà tra Salone e Fuorisalone. Sono due eventi diversi con identità diverse, e non c’è bisogno che cambino, ma devono sentirsi parte di uno stesso movimento.
– Giulia Marani
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