Top e flop Supersalone e Fuorisalone 2021. Il meglio e il peggio della design week
A bocce ferme, vi proponiamo come di consueto le nostre valutazioni sulla settimana del design milanese. Elencando i progetti che ci hanno entusiasmato, le perplessità, ma anche qualche pista di riflessione per il futuro.
Milano e il suo sistema design sono già ripartiti. La notizia più importante alla fine della cinque giorni della kermesse è proprio questa: le energie si sono rimesse in moto, gli operatori e il pubblico hanno risposto presente muovendosi in molti casi anche dall’estero, e alla fine la differenza rispetto alle edizioni precedenti, pre pandemia, non si è sentita moltissimo. È stata un’edizione più sobria, con circa un terzo degli eventi rispetto a quelli che vengono proposti di solito, ma forse proprio per questo motivo con una qualità media più alta. Si sono viste tante mostre, tanti nuovi prodotti, numerosi talk e momenti di incontro, mentre non c’è stata – per fortuna – la solita corsa all’installazione, che in parecchi casi aveva come esito “aggeggi” molto fotogenici ma poveri di contenuti.
– Giulia Marani
TOP – IL SUPERSALONE
Alzi la mano chi non si è approcciato a questa edizione settembrina e insolita del Salone del Mobile con un minimo di apprensione. Le ragioni erano molteplici: l’incertezza del contesto, i tempi ristretti con cui è stato organizzato il tutto, il fatto che questo Supersalone arrivasse al termine di un periodo travagliato per FederlegnoArredo, con una gestione discutibile della comunicazione durante le prime fasi della pandemia e un cambio di presidente in corsa… Alla fine delle sei giornate di fiera, possiamo dire che il Salone ha tenuto e con lui il sistema design, e che la tanto annunciata ripartenza è già realtà. Sono state testate soluzioni che possono essere interessanti per il futuro, per esempio l’uso di QR code per fornire alcune informazioni di base sui prodotti in mostra, ed è stato avviato un percorso per trasformare la manifestazione in un evento carbon neutral. Anche le mostre hanno convinto, in particolare il The Lost Graduation Show che riuniva in un unico luogo i progetto di laurea degli studenti di alcune tra le più importanti scuole di design del mondo.
Il format espositivo verticale non è stato sfruttato da tutte le aziende – molte hanno preferito acquistare un certo numero di metri lineari per poi sistemarci sotto uno stand tradizionale, altre hanno puntato su una mera presenza corporate – ma ha senza dubbio obbligato gli espositori a un esercizio di sintesi, e si sono viste un certo numero di soluzioni affascinanti. Quella di Molteni&C, per esempio, che seguendo l’estro di Ron Gilad ha trasformato lo spazio lungo e stretto a disposizione nell’interno di un aereo un po’ vintage, con la poltroncina Round D.154.5 disegnata da Gio Ponti nel 1954 e rieditata in collaborazione con gli archivi del Maestro al posto dei sedili, e con tanto di oblò animati e di hostess in divisa. Un unico appunto: il Makers Show, diluito all’interno della fiera con gli auto-produttori e designer indipendenti inseriti qua e là tra gli stand degli espositori e non raggruppati in un’area specifica, obbligava i visitatori interessati al tema a un’inutile “caccia al tesoro” e impediva una visione d’insieme.
TOP – ALCOVA
La ripetizione di un esercizio già collaudato nelle passate edizioni – prendi un edificio di importanza storica abbandonato, riconquistato dalla vegetazione e spesso dimenticato dagli stessi milanesi, aggiungi un sapiente mix di design emergente e collectible design, shakera – poteva essere rischiosa. Invece, le tre palazzine che un tempo ospitavano la casa delle suore, la cappella e la lavanderia dell’ex Ospedale Militare di Baggio lasciano a bocca aperta, così come il parco che le circonda, generando quell’“effetto wow” di cui questa edizione della design week è stata (comprensibilmente, diciamo, e in un modo per certi versi salutare) avara.
I progetti presentati all’interno sono tutti di qualità, e si sposano perfettamente con gli ambienti. Menzione speciale per il lavoro portato avanti da India Mahdavi con gli studenti del Master of Arts and Interior Architecture dello HEAD di Ginevra: una riprogettazione minuziosa di un famosissimo interno cinematografico, quello del Korova Milk Bar del film Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, e insieme una riflessione sulla citazione nell’interior design fatta da una designer dichiaratamente cinefila (intervistata dai giovani partecipanti al programma, ha ammesso di aver guardato tre film al giorno per gran parte della sua adolescenza).
TOP – MARCIN RUSAK, UNNATURAL PRACTICE ALLO SPAZIO ORDET
Classe 1987, figlio e nipote di floricoltori, il designer e artista polacco ha partecipato per la prima volta alla settimana del design milanese con una personale curata da Federica Sala. In mostra, tutte le tappe di una ricerca che gira intorno alla caducità e al decadimento fisiologico, in particolare dei vegetali, e che con la nuova serie di opere Protoplastic Nature passa dalla produzione di oggetti dotati di un ciclo di vita – il cui aspetto, cioè, si altera nel tempo in maniera anche piuttosto vistosa – al tentativo di rendere durevole ciò che è per sua natura effimero, come le foglie di una pianta sudafricana. Queste ultime sono in un certo senso co-designer dei pezzi, poiché hanno la caratteristica di “abbracciare” la struttura metallica sulla quale vengono disposte prima di essere ricoperte, anche se solo in parte, da un sottilissimo strato di metallo con un procedimento che di solito viene usato nella costruzione dei ponti o delle navi.
Se gli esiti dell’indagine di Marcin Rusak possono essere spiazzanti (lo è, per esempio, l’installazione che accoglie i visitatori all’ingresso, un “tappeto” vivente formato da muschio, piante e altri elementi vegetali che sembra germogliare e decomporsi nello stesso momento), insomma, a essere interessanti sono soprattutto i processi, spesso presi in prestito dalla scienza e dall’ingegneria. Il percorso espositivo allestito negli spazi di Ordet, poi, era curato fin nei minimi dettagli e pensato per coinvolgere tutti i sensi compreso l’olfatto, chiamato in causa in maniera non necessariamente gradevole ma comunque intrigante dalle fragranze create per l’occasione in collaborazione con il “naso” francese Barnabe Fillon.
TOP – OLTRE LA LOGICA DELL’INSTALLAZIONE TEMPORANEA
Tra le note positive di questa edizione post-pandemia c’è il fatto che sia stata meno ipertrofica, e che a sparire o a essere fortemente ridimensionate siano state soprattutto le installazioni prive di un vero significato progettuale, quelle fatte tanto per esserci e per stupire il pubblico. Un altro elemento senz’altro positivo è che alcuni degli interventi realizzati siano destinati a rimanere al loro posto anche dopo la fine della design week, come un “regalo” alla città. È il caso, per esempio, del grande murale Be Water a cura della rivista Toiletpaper di Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari, che continuerà ad accompagnare le bracciate dei nuotatori che frequentano la piscina comunale Cozzi fino a settembre 2022. Anche i camerini degli artisti del Teatro Arcimboldi progettato da Vittorio Gregotti hanno subito un profondo restyling grazie all’iniziativa Vietato l’ingresso, che ha coinvolto alcuni tra i migliori studi di interior design della città ed è stata particolarmente apprezzata dal pubblico.
TOP – LE PRESENZE “ALTERNATIVE”
La straordinarietà di questo momento storico, e delle circostanze in cui il Supersalone e il Fuorisalone 2021 hanno visto la luce, invitava alla sperimentazione di nuovi modi per parlare di design. Attraverso la voce e le immagini, per esempio, come ha fatto Belgium Is Design – il progetto che promuove designer e aziende del paese – producendo il film The object becomes, presentato in anteprima. Protagonisti della pellicola girata da Alexandre Humbert con il supporto e la curatela di Giovanna Massoni sono nove progettisti o studi di design, tutti in qualche modo legati alla sostenibilità o alla filosofia dell’open design, che non vediamo mai in volto ma impariamo a conoscere (e riconoscere) attraverso le loro parole e il loro lavoro. C’è anche chi ha sfruttato appieno le potenzialità della tecnologia facendo una sorta di “smart-Salone”, come il designer Antonio Aricò che ha presentato la nuova collezione disegnata per Moooi in un “luogo immaginario”, attraverso una serie di storie pubblicate su Instagram nelle quali abbiamo intravisto anche uno scorcio di mare.
FLOP – LE SOVRAPPOSIZIONI TRA LE PROPOSTE
Più che una serie di flop, che quest’anno non ci sentiamo di segnalare visto che c’è stato un grande insperato impegno generale e che le dimensioni più contenute del Fuorisalone, con molti meno eventi che in passato, hanno fatto sì che ci fosse una maggiore selezione, proponiamo un paio di considerazioni. La prima è che continua a farsi sentire la mancanza di una regia complessiva, o per lo meno di un più chiaro posizionamento e di una specializzazione funzionale dei distretti. Ognuno fa per sé, ed ecco che ogni distretto o spazio propone, per esempio, una mostra o un focus dedicato alla sostenibilità e ai nuovi materiali. Proposte ben costruite e interessanti, intendiamoci, su temi che senza dubbio rappresentano il futuro del design, ma orientarsi, in particolare per il pubblico generalista, non deve essere stato una passeggiata…
La scansione settimanale inconsueta, dal sabato dedicato alle preview per la stampa al venerdì, è stata poi penalizzante soprattutto per il pubblico, che non ha avuto un weekend pieno a disposizione per approfittare degli eventi in giro per la città.
FLOP – LA DOVE C’ERA IL FUORISALONE…
…ora c’è l’ennesimo cantiere. Parte della magia della design week, lo abbiamo ricordato parlando di Alcova, consiste nell’esplorare location inconsuete. Capita anche, però, di rimpiangere alcuni spazi del passato che avevano un fascino particolare e non esistono più – come il Garage Sanremo di via Zecca Vecchia, che è stato per alcune edizioni il cuore del distretto 5Vie ed è stato demolito subito prima della pandemia, o l’ex-laboratorio di panettoni Cova di via Popoli Uniti a NoLo, al posto del quale sta sorgendo un nuovo progetto immobiliare – e altri che esistono ancora ma non sono stati utilizzati, dai Magazzini Raccordati agli edifici post-industriali di Lambrate. In generale, il baricentro del Fuorisalone sembra essersi spostato a ovest, lasciando orfane ampie zone di Milano est.
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