Intervista al gruppo WHYNOT: Welcome to responsive industrial design
In occasione del WIDD World Industrial Design Day abbiamo intervistato i membri di WHYNOT i quali, più che come uno studio, si descrivono come un gruppo di freelance che lavorano con flessibilità da luoghi diversi. E lo facevano già molto prima che il Covid imponesse a tutti lo smart working
Si definiscono appassionati, genuini, efficaci. Sono Francesco Costacurta, Alberto Tonini e Juste Pavasaryte, designer industriali vincitori per innumerevoli volte del prestigioso Red Dot Awards e membri di WHYNOT. Li intercettiamo durante la Giornata mondiale del disegno industriale, indetta allo scopo di promuovere la professione di designer industriale ed evidenziare l’impatto che questa disciplina – tra l’altro strategica per il nostro Paese – ha su economia, società, cultura, sostenibilità e qualità della vita.
Iniziamo dal nome: come mai “perché no”?
Sei anni fa avevamo bisogno, per partecipare ad un concorso, di trovare in tempi rapidi un nome che ci definisse. Da subito abbiamo voluto un nome internazionale, orecchiabile e facilmente memorizzabile. WHYNOT nasce in questa ottica, non tanto perché nasconda chissà quale significato, ma perché ci piaceva, ci piace ancora ed è riconoscibile.
Parlatemi un po’ della vostra produzione e del vostro approccio ai progetti.
Il nostro approccio è “poco fumo e tanto arrosto”. Vale a dire, pensare prodotti non solo con una valenza estetica, ma soprattutto funzionali. Abbiamo scelto deliberatamente di NON lavorare nel settore del mobile, molto specialistico e anche saturo. Il nostro obiettivo è progettare prodotti nuovi, afferenti a settori merceologici nuovi, che non abbiamo mai visto né trattato.
Mi fate un esempio?
Da dodici anni ci occupiamo di progettare stufe. Magari non così glamour, ma si tratta di un segmento poco esplorato dai designer, che ci ha consentito ampio spazio di manovra, di ricerca e di crescita.
Anzi, raccontatemi tre progetti che vi contraddistinguono o che vi hanno fatto compiere un passo in avanti.
La vasca filomuro Swirling per Jacuzzi nasce come alternativa al classico idromassaggio, è stata pensata con linee sinuose e per offrire all’utenza un’immersione sensoriale (cromoterapia), ma con interfaccia soft tech: un touch pad in vetro di forma ovoidale si appoggia con leggerezza sul corpo dell’oggetto senza comprometterne la pulizia estetica. Il seggiolone Tiramisù per Foppapedretti, ottimo esempio di prodotto nato per avere una lunga vita. Invece di essere il classico seggiolone che diventa sedia, nasce come sedia che può essere trasformata in seggiolone. In questo modo, aumentano le possibilità che venga utilizzato anche dopo i primi anni di vita del bambino. Un prodotto particolarmente riuscito e “mediatico” che ha avuto grande successo e ci ha permesso di continuare a lavorare con il brand. Le cuffie Touchit, auricolare bluetooth high-tech per Sacklt, brand di alta gamma diviso tra mobili e prodotti audio, raggruppati sotto un unico cappello: lo stile di vita danese. In particolare, il padiglione auricolare concepito come due strati concentrici (design Double Donut) non è solo un dettaglio inedito nel settore, ma rappresenta per l’azienda una leva importante su cui basare la strategia di marketing.
E sul fronte sostenibilità come vi muovete?
A nostro avviso il designer non riesce ad intervenire più di tanto su questo specifico aspetto, purtroppo perché riguarda metodologie e filiere di produzione strategiche per il business. Noi diamo spunti alle aziende, specialmente sui materiali proponendo oggetti che abbiano un’estensione di vita più lunga (l’usa e getta nel design ha fatto disastri, cosi come la famosa obsolescenza programmata), azione che fa bene all’ambiente. Siamo curiosi e cerchiamo di sperimentare sempre, anche perché, ormai, possiamo scegliere con chi lavorare e se non siamo convinti di certe cose decliniamo. Ci piacciono le aziende sensibili con cui instaurare una collaborazione fatta di affinità elettive.
Raccontatemi di più.
Sostenibilità per noi in tre “slogan” è: freno al consumismo (più qualità, meno quantità), importanza del riciclo (saper smaltire e riutilizzare le singole componenti) e progettare prodotti facili da riparare (sappiamo quanto nella società odierna sia diventato più facile ed economico buttare piuttosto che riparare).
Da dove arrivano le vostre fonti di ispirazione?
Lavorando in diversi contesti merceologici, è difficile identificare dei designer di riferimento come potrebbe essere se fossimo specializzati nel mobile. Sicuramente facciamo molta attenzione a come si muove il design in alcuni settori più trainanti, dove la valenza estetica ha un valore particolarmente elevato: settore automotive, il mobile e la moda (più streetwear che haute couture). In questi settori è necessario rinnovarsi con frequenza, sperimentare forme, materiali, accostamenti cromatici. I designer che lavorano in questi ambiti sono maniacali nello studio delle proporzioni, l’attenzione ai dettagli e finiture e forniscono molti spunti interessanti per il nostro lavoro.
Tra dieci anni come vi vedete?
Innanzitutto ci piacerebbe essere messi alla prova da top brand globali, anche se quello che ci interessa è poterci esprimere e le piccole aziende di solito (che sì, hanno anche budget inferiori) si lasciano guidare di più. Tra dieci anni sicuramente saremo diversi rispetto a ora, il nostro sogno è avere collaboratori indipendenti per “ringiovanire” lo studio (non solo dal punto di vista meramente anagrafico ma anche per l’entusiasmo iniziale che hanno i giovani designer, energia pura). Ad oggi ci sentiamo di dire che abbiamo trovato il nostro spazio nel mondo. E non siamo sicuri esista un lavoro migliore di questo: non c’è monotonia e ogni giorno è diverso dal precedente!
-Giulia Mura
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