Natsai Audrey Chieza, la punta di diamante del biodesign
Un passo in avanti per salvare il nostro pianeta, e il possibile futuro dall'intersezione tra natura, tecnologia e società, è quello che ha compiuto Natsai Audrey Chieza. Mettendo a punto un sistema di tintura dei tessuti a partire da un microbo
Natsai Audrey Chieza è tra le più note esponenti del movimento chiamato biodesign, una parola che fonde due concetti: biologia e design. Negli ultimi anni abbiamo visto un crescente movimento legato proprio a questo stile progettuale, che posiziona la natura al centro del progetto e non l’uomo, com’è sempre stato. La parola design significa innanzitutto responsabilità: siamo responsabili di come verrà realizzato un progetto, passando dalle tecnologie ai materiali utilizzati alla distribuzione e, infine, allo smaltimento. Ed è proprio all’interno di questi processi che il biodesign e Natsai Audrey Chieza entrano in gioco. Prendiamo ad esempio un qualsiasi tessuto utilizzato per fabbricare magliette, camicie e altri indumenti: quando si pensa all’impatto della moda sull’ambiente, discariche e plastica sono spesso in primo piano, ma non le tinture. Colorare un tessuto significa utilizzare un enorme quantitativo di acqua che non sempre può essere riciclata. A livello mondiale, l’industria tessile consuma tra i 6 e i 9 trilioni di litri d’acqua all’anno, e questo solo per la tintura dei tessuti.
L’acqua che viene utilizzata finisce per diventare uno scarto non recuperabile a causa dei costi dovuti al filtraggio. Le operazioni avvengono per lo più in alcune zone dell’India, del Bangladesh e della Cina: luoghi dove questo materiale di scarto viene gettato, nella maggior parte dei casi, direttamente nei fiumi, generando ripercussioni su tutto l’ecosistema che entra in contatto con queste sostanze. Ma esiste un’alternativa che possa realmente portare un beneficio alla terra, riducendo al massimo l’impatto ambientale?
BIODESIGN E PROCESSI PRODUTTIVI
Natsai Audrey Chieza, designer e fondatrice dell’agenzia di Biodesign creativo Faber Futures, ha sviluppato alcune soluzioni per portare alla creazione di una differente gamma di colorazioni partendo da materiali totalmente naturali. Nata in Zimbabwe e arrivata in Gran Bretagna all’età di 17 anni, Chieza è una delle protagoniste principali del movimento chiamato biodesign, che integra organismi viventi come i batteri all’interno di nuovi materiali, prodotti e persino l’arte. È il perfetto connubio tra design e scienza: una collaborazione tra due entità molto diverse, con uno scopo comune. Quasi dieci anni fa, il suo team scoprì che un microbo produttore di pigmenti poteva essere usato per tingere i tessuti. Il colore oscilla tra il rosa e il blu a seconda del pH del terreno in cui si trova il microbo, e crea una splendida gamma di effetti sul tessuto tra cui il tie-dye. Cosa ancora più importante, si tratta di una tecnica che consuma 500 volte meno acqua rispetto ai procedimenti di tintura standard ed elimina completamente le sostanze chimiche dannose. Questa è una scoperta arrivata più di dieci anni fa.
DESIGN E RESPONSABILITÀ AMBIENTALE
Faber Futures continua a sperimentare e sviluppare nuove soluzioni applicative per migliorare il mondo in cui stiamo vivendo, interagendo positivamente con la natura. Questo è un approccio che mette al centro del progetto la salvaguardia del nostro pianeta, e si rifà a un passato in cui la natura entrava all’interno del processo produttivo necessario alla tintura dei vestiti, prima dell’arrivo dei materiali sintetici, che hanno un vantaggio enorme in termine economico, ma che presentano un problema legato all’impatto ambientale.
Il lavoro di Natsai Audrey Chieza si integra perfettamente con la parola design. Se il design, appunto, significa responsabilità, il designer è responsabile di ogni aspetto del prodotto che viene realizzato: se ad esempio creiamo un oggetto usa e getta con un materiale non eco-sostenibile, siamo responsabili dell’impatto che avrà sull’ambiente.
– Stefano Pasotti
https://www.natsaiaudrey.co.uk/
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