Patrick Jouin. Storia di un designer di sostanza
La pratica del designer francese si sviluppa in molte direzioni diverse, dal prodotto agli interni e allo spazio urbano, rimanendo però saldamente ancorata alla funzione e lontana da qualunque tentazione narcisistica e autocelebrativa. Abbiamo parlato con lui dei suoi progetti più recenti
La substance du design, la sostanza del design, era il titolo di una mostra allestita al Centre Pompidou di Parigi nel 2010. Dedicata a un Patrick Jouin (Nantes, 1967) allora poco più che quarantenne, presentava i primi, già notevoli frutti di una carriera precoce cominciata nello studio di Philippe Starck e culminata proprio in quegli anni in due progetti estremamente visibili in città: le stazioni del Vélib’, il sistema di bike sharing pubblico lanciato dall’amministrazione nel 2007 e subito diventato una presenza familiare sulle strade della capitale francese, e le “sanisettes”, le toilette pubbliche dal caratteristico profilo ondulato che emergono dai marciapiedi come piccole architetture. La parola “sostanza” è in effetti una delle prime che viene alla mente quando si tratta di descrivere il lavoro di uno dei più noti designer francesi, premiato nel 2011 con il Compasso d’Oro per il Pasta Pot disegnato per Alessi in collaborazione con il celebre chef Alain Ducasse.
Oltre a progettare arredi di design per alcune tra le aziende più note del settore con il suo studio Patrick Jouin ID (tra le collaborazioni più longeve ci sono quelle con Porada, che conta tra i suoi frutti più recenti i tavolini Leaf, e con Pedrali, per cui ha progettato diverse serie di imbottiti di successo, tra i quali la collezione di poltrone dalle linee sinuose Ila) e a firmare raffinati progetti di interior insieme al suo socio Sanjit Manku, Patrick Jouin continua a imprimere il suo segno sullo spazio pubblico dentro, e sotto, la Ville Lumière.
PATRICK JOUIN SOTTO LA “GRANDE PARIGI”
L’ultimo grande cantiere riguarda la rete metropolitana del Grand Paris Express, che prevede la creazione di quattro nuove linee suburbane intorno alla città. Qui, il progettista e il suo studio hanno potuto seguire tutti gli aspetti compresi quelli legati alla gestione del budget. “Siamo stati fortunati, c’è stato grande rispetto nei nostri confronti e nei confronti del nostro approccio, ma non è sempre così”, spiega Jouin. “A volte è anche il pubblico stesso ad avere un atteggiamento che definirei schizofrenico: si chiede agli amministratori di spendere il meno possibile e al tempo stesso di fornire un servizio efficiente, e le risorse destinate al design, che in questo genere di progetto rappresenta già una percentuale di spesa minima, si assottigliano ulteriormente”. Parlando di metropolitane, quella di Milano, alla quale hanno lavorato tra gli altri Franco Albini e Bob Noorda, è ancora oggi una fonte di ispirazione? “Certamente, se parliamo delle linee storiche dove c’è una grande coerenza tra la grafica, i colori, il design di tutto il sistema. Per quanto riguarda le linee più recenti, invece, trovo che manchino crudelmente di calore, di gioia”.
IL DESIGN DI JOUIN IN EQUILIBRIO FRA TECNOLOGIA E ARTIGIANATO
Se gli ambiti di intervento sono molteplici, lo stesso si può dire dei mezzi. Tra i primi designer, in Francia e altrove, a progettare pezzi di arredamento sfruttando tecniche di prototipazione rapida, e il primo in assoluto a realizzare una collezione di mobili – Solid, esposta al MoMA di New York e in altri prestigiosi musei – in scala reale con la stampa 3D, Jouin ricorre spesso ai saperi antichi degli artigiani per sviluppare i suoi progetti o specifiche parti di essi.
Il gesto di un ceramista o di un mastro vetraio si affianca ai processi industriali di ultima generazione. “Questi due aspetti non sono per forza in contraddizione”, chiarisce ancora il designer, “Anzi, la frontiera tra tecnologia e tecniche artigianali sta diventando sempre più porosa. Facciamo l’esempio del legno: tutti gli ebanisti oggi utilizzano le nuove tecnologie e possiedono macchinari a controllo digitale. Non sono stati rimpiazzati dalle macchine, ma, al contrario, le sfruttano a loro vantaggio per spingersi oltre i limiti della lavorazione manuale ottenendo intagli più precisi e pezzi più resistenti”.
LA BOLLA IN VETRO DI PATRICK JOUIN
Una delle creazioni più recenti di Patrick Jouin, la collezione di lampade Aurelia che inaugura il nuovo corso di Leucos, azienda storica dell’illuminazione da poco rilanciata da Abramo Manfrotto, racconta questo connubio. L’elemento più riconoscibile è la grande bolla in vetro soffiato artigianalmente, cioè a bocca, che esprime un savoir-faire millenario, ma è la tecnologia di oggi che permette di modulare con precisione due tipi di luminosità provenienti da due sorgenti diverse, diretta attraverso il cono di alluminio centrale e indiretta attraverso la bolla. “Si tratta prima di tutto di un oggetto che illumina perfettamente, pensato per stare al centro della casa, sopra il tavolo della sala da pranzo. Abbiamo cercato, però, di fare in modo che tutti i pezzi possano essere sostituiti facilmente se si rompono. È un progetto che per me ha senso perché, come tutti, cerco un equilibrio intellettuale tra quello che in francese chiamiamo ‘surconsommation’, il consumismo spinto, e un modo di consumare più ragionevole”.
‒ Giulia Marani
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