Piccole architetture domestiche. Il design di Aldo Rossi a Milano
La mostra al Museo del Novecento di Milano esplora una parte feconda della carriera del grande progettista, riflettendo sul rapporto tra la scala architettonica e urbana e quella oggettuale. Senza dimenticare il fattore umano, che emerge, per esempio, dai moltissimi disegni e bozzetti onirici
Dall’edificio all’oggetto, e ritorno: nella pratica progettuale di Aldo Rossi (Milano, 1931-1997), il primo italiano a vincere il Premio Pritzker nel 1990, si nota un continuo salto di scala. Le forme – spesso archetipiche: il quadrato, il cono, l’ottagono – utilizzate nell’architettura tendono a miniaturizzarsi per entrare nell’interno domestico, e da qui possono tornare a ingrandirsi per andare a collocarsi nuovamente nello spazio urbano.
QUESTIONI DI SCALA E CITAZIONI NEI PROGETTI DI ALDO ROSSI
Le caffettiere progettate per Alessi negli Anni Ottanta, per esempio, sono delle vere microarchitetture da tavola che dialogano con edifici reali o immaginari. La collaborazione tra l’architetto ‒ che aveva già realizzato i suoi primi mobili a partire dal 1960, ma era noto soprattutto per il libro L’architettura della città e per interventi dalle dimensioni importanti come il complesso abitativo del Monte Amiata nel nord-ovest di Milano (con Carlo Aymonino, autore del masterplan) ‒ e l’azienda di Omegna nasce grazie alla mediazione di Alessandro Mendini, che alla fine degli Anni Settanta invita una serie di architetti “puri” e molto famosi a mettersi alla prova su una scala più contenuta, cercando di replicare in qualche modo i fasti del Bauhaus o i picchi della straordinaria stagione creativa del dopoguerra italiano. Al Tea & Coffee Piazza (1983), un servizio da tè e caffè racchiuso in un tempietto di vetro, fanno seguito la celebre Conica e l’Ottagonale (oggi fuori produzione, entrambi i progetti sono del 1984), che con il suo coperchio a base ottagonale sormontato da una piccola sfera cita il Teatro del Mondo, la struttura galleggiante che Rossi aveva disegnato pochi anni prima per la Biennale di Venezia del 1980. La Cabina dell’Elba (1980-82), un altro pezzo iconico, costruisce un paesaggio domestico attingendo direttamente dal paesaggio tout court, trasformando un elemento semplicissimo, e carico di memoria d’infanzia, come una cabina da spiaggia in un armadio che può trovare collocazione in una camera da letto. La libreria Piroscafo, progettata con Luca Meda e prodotta da Molteni&C nel 1991 (e proposta al Salone del Mobile, due anni dopo, in una curiosa versione a bastimento), ricorda da vicino la facciata del palazzo della Regione Umbria realizzato negli Anni Ottanta a Perugia, riqualificando il quartiere di Frontivegge. I tappeti contemporanei disegnati per le agili mani delle tessitrici sarde nell’ambito di un’iniziativa dello studio A.R.P. di Oristano contengono riferimenti espliciti ad alcuni dei suoi progetti architettonici, dalla scuola di Fagnano Olona al monumento a Sandro Pertini di Milano.
ALDO ROSSI: L’ARCHITETTO, IL DESIGNER E L’UOMO
Tra i pregi della mostra Aldo Rossi. Design 1960-1997, allestita al Museo del Novecento di Milano a cura di Chiara Spangaro e in collaborazione con la Fondazione Aldo Rossi e Silvana Editoriale (che ha prodotto anche il catalogo della mostra, ultimo di una serie di cataloghi ragionati sui grandi maestri del design del Novecento), c’è quello di presentare l’universo del grande progettista come un sistema in cui tutto si tiene. Il percorso si articola in nove sale, giocate su altrettanti toni di rosa e di blu, nelle quali trovano posto oltre 350 tra arredi, prototipi, oggetti d’uso e disegni, riuniti grazie a una rete di prestiti e organizzati non secondo un criterio cronologico ma intorno a nuclei tematici, dal “teatro domestico” al rapporto con l’artigianato. Le architetture si specchiano negli oggetti di design, gli oggetti rimandano alle architetture ed entrambi compaiono, insieme a al Duomo su cui il museo si affaccia, alla Galleria e ad altri elementi tipicamente milanesi, nei disegni poetici e fantasiosi che Aldo Rossi produceva incessantemente su qualunque tipo di supporto.
Nell’Interno milanese con persona che osserva il Duomo con nebbia, per esempio, del 1989, si riconoscono la poltrona Parigi (UniFor), con i suoi braccioli curvi in alluminio verniciato, e la sedia Milano progettata per Molteni&C nel 1987. Il progetto di allestimento è firmato da Morris Adjmi, che è stato prima collaboratore e poi associato di Rossi a New York, e ha voluto porre l’accento non soltanto sulle sue virtù professionali ma anche sulla sua umanità. Questo intento è particolarmente evidente nell’ultima sala, che ricostruisce un interno domestico – più immaginario e affettivo che ricreato in maniera filologicamente corretta –, riunendo mobili, quadri e oggetti personali posseduti dal grande architetto e conservati nel suo studio o nelle sue case.
‒ Giulia Marani
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