Forse l’avete incrociata durante i giorni di Arte Fiera a Bologna, anche se non ha vetrine fronte strada e se ne sta accoccolata in cima a un edificio. Forse l’avete subodorata durante la Design Week milanese in veste di promotrice della mostra di Dino Gavina all’ADI Design Museum. Lei è la galleria – e già ci sarebbe da discutere se l’appellativo sia quello più adatto – Paradisoterrestre, di base nel capoluogo emiliano. Ed è nata proprio dalla mente di Gavina, con l’apertura nel 1983 e la mission di produrre oggetti per esterni e arredo urbano. La seconda vita di Paradisoterrestre inizia nel 2017: si rieditano pezzi storici di grandi maestri del design e si producono nuove collezioni insieme ai protagonisti del contemporaneo.
LE MOSTRE DI PARADISOTERRESTRE
L’anima inquieta di Paradisoterrestre non poteva limitarsi a uno showroom. E così in sede ci sono anche le mostre. Una all’anno, senza strafare, adeguandosi con intelligenza alla dimensione domestica di quegli spazi. Nel 2019 si è iniziato con Roberto Matta, focalizzandosi sulla collaborazione attivata a metà Anni Sessanta con Dino Gavina. L’anno successivo è stato il turno di Tobia Scarpa, altro sodale di Gavina, con il quale partecipa alla nascita della mitica azienda Flos. E così avrebbero potuto proseguire, ma Paradisoterrestre ha ereditato la continua curiosità dell’imprenditore nato a San Giovanni in Persiceto. Ed ecco allora che, nel 2021, è Paola Pivi a investire con la sua energia l’appartamento bolognese con la mostra personale Rock the art, e insieme producono anche una lampada a parete e un tappeto.
LA RISCOPERTA DI AUGUSTO BETTI
Si apre così il dialogo con gli artisti contemporanei? Certo, sarebbe stata una strada stimolante, ma troppo “facile”. Nel 2022 inizia dunque un’altra avventura, quella della scoperta e della riscoperta. Il nome in questione è Augusto Betti (Faenza, 1919-2013), artista schivo di cui s’erano accorti personaggi del calibro di Giulio Carlo Argan e Lucio Fontana. La retrospettiva racconta le indagini fra arte e design compiute da Betti, la cui passione più grande fu l’insegnamento, dal quale non si distaccò mai. Incredibile nelle sue opere l’utilizzo della vetroresina – siamo nei primi Anni Sessanta – e ancora prima la serie delle “cassette”, o pure l’affascinante Orgonoscopio del 1967, col quale partecipò alla Sesta Biennale d’arte Repubblica di San Marino.
Si abusa spesso del concetto di “artista anticipatore”. Qui però l’abuso non sussiste, siatene certi.
– Marco Enrico Giacomelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati