Unknown Unknowns. Ecco com’è la 23esima Triennale di Milano
La 23esima Esposizione Internazionale apre al pubblico il 15 luglio. Con una costellazione di mostre che indagano i misteri del cosmo e del nostro pianeta martoriato da inquinamento e conflitti. E con una ventina di padiglioni nazionali, tra i quali spicca una forte presenza africana
Un fascio di luce che taglia l’oscurità, illuminando – e quindi rendendo visibili – le innumerevoli particelle presenti nell’atmosfera: è l’installazione Particular matter(s) dell’artista Tomás Saraceno, del 2021. Riproposta al primo piano della Triennale come parte della mostra principale curata da Ersilia Vaudo all’interno della 23esima Esposizione Internazionale, può essere usata come una metafora per spiegare il senso dell’intera operazione: cercare di illuminare gli angoli bui della conoscenza umana, mettendo il dito su tutte le cose che non sappiamo, ma anche su quelle che non sappiamo di non sapere. “Attenzione, però, non è detto che il progresso sia una freccia che avanza senza sosta illuminando tutto ciò che trova sul suo percorso”, ha chiarito la nota astrofisica, scelta come Main Curator insieme all’architetto Francis Kéré (premio Pritzker 2022), “Può essere anche qualcosa che va avanti per un certo periodo e poi torna indietro. Per esempio, grazie allo James Webb Space Telescope abbiamo potuto ammirare la più profonda immagine dell’universo mai realizzata, una ‘foto di famiglia’ con diverse generazioni di galassie. Sappiamo anche, però, che l’universo è in continua espansione e che queste stesse galassie potrebbero in futuro diventare più difficili da vedere”.
LA 23ESIMA TRIENNALE DI MILANO
La nuova edizione dell’Esposizione Internazionale, che apre al pubblico dal 15 luglio al prossimo 11 dicembre, si concentra sull’esplorazione dell’ignoto e ha come titolo Unknown Unknows. An Introduction to Mysteries. Come da tradizione, si è scelto di affrontare un tema attuale ma non disciplinare, cioè non interamente compreso nei recinti dell’architettura e del design. Il racconto si snoda tra alcune mostre e i venti padiglioni nazionali, con l’apporto di oltre 400 tra artisti, progettisti, scienziati e intellettuali che sono andati a scovare il mistero in ambiti anche molto diversi tra loro: nel cosmo, negli interstizi della vita quotidiana e negli spazi dell’intimità, nel lavoro di alcune figure chiave del Novecento italiano, in un continente a noi vicino ma spesso incompreso dagli Europei come l’Africa.
“UNKNOWN UNKNOWNS”: L’IGNOTO NELLO SPAZIO E INTORNO A NOI
Il titolo della mostra tematica, Unknown Unknowns, riprende il nome delle “dimensioni inconoscibili” (ma utili per comprendere un gran numero di dinamiche sociali) della personalità umana individuate negli anni Cinquanta dagli psicologi americani Luft e Ingham allargando il concetto all’intero universo. Ad aprire il percorso espositivo sono un dipinto, La fuga in Egitto di Adam Elsheimer, in cui compare per la prima volta la Via Lattea, e il più grande designer di tutti i tempi, cioè la forza di gravità universale, co-creatrice insieme all’artista messicano Bosco Sodi delle grandi sfere d’argilla Perfect Bodies, ispirate ai corpi celesti. A seguire, un centinaio di opere a cavallo tra design, arte e scienza, dagli abiti sviluppati da Julijonas Urbonas tessendo le fibre dei superconduttori, in grado di levitare all’interno di un campo magnetico, alla commovente installazione quasi in chiusura di Refik Anadol che mette in scena lo scontro tra la nostra galassia e quella di Andromeda, previsto tra quattro miliardi di anni, passando per lo specchio-rilevatore di particelle ideato da Luca Pozzi con l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) di Torino. “Lo sconosciuto, l’‘unknown’ del titolo, chiama una serie di stereotipi e di polarizzazioni – bianco/nero, luce/buio, pieno/vuoto, scienza/arte e così via – che abbiamo preferito evitare, sottolineando invece come tutto dipenda dallo sguardo che portiamo su di esso”, ha spiegato ancora Ersilia Vaudo. L’allestimento curato da Joseph Grima ha caratteristiche innovative: la maggior parte degli elementi è stata creata in loco con la stampa 3D usando materiali organici, mentre per i pochi pezzi non di origine organica è già stata prevista una seconda vita.
LO SGUARDO SUL “MONDO REALE” DELLA FONDAZIONE CARTIER
Presentata dalla Fondation Cartier pour l’art contemporain e curata dal suo direttore artistico Hervé Chandès con un allestimento di Studio Formafantasma, Mondo Reale riporta il visitatore sulla Terra alla fine del periplo spaziale rappresentato dalla mostra tematica. Mescolando frammenti di esposizioni presentate in passato a Parigi (un po’ di senso di dejavu oggettivamente c’è), le opere di diciassette artisti internazionali provenienti dalla collezione dell’istituzione e quelle realizzate su commissione da Alex Cerveny, Yann Kebbi, Jessica Wynne e Virgil Ortiz, oltre ai progetti speciali di David Lynch e Sho Shibuya, racconta la reazione dell’uomo alle espressioni dell’ignoto che può incontrare nell’arco della sua vita, dall’incontro con culture diverse all’esperienza delle catastrofi, naturali e non. Tra le chicche c’è la conversazione sul disastro nucleare di Chernobyl avvenuta nel 2002 tra il filosofo Paul Virilio, curatore nello stesso anno della mostra Unknown Quantity (Ce qui arrive, “quello che succede” in francese), e il futuro Premio Nobel Svetlana Alexievitch.
“LA TRADIZIONE DEL NUOVO” SECONDO MARCO SAMMICHELI
Il direttore del Museo del Design Italiano riunisce in una mostra dal taglio storico che attinge principalmente alle collezioni della Triennale il racconto delle Esposizioni Internazionali dal 1964 agli anni Novanta e l’atteggiamento coraggioso, di sfida e innovatore del design italiano. La tesi, inconfutabile, è che dagli anni Sessanta in poi i grandi protagonisti della disciplina si siano confrontati con l’ignoto a modo loro, cioè studiando, facendo ricerca attraverso tentativi ed errori, cercando di anticipare nuovi stili di vita o bisogni. È il caso, per esempio, di Bruno Munari, che nel 1964 trasforma un tubo di filanca, un materiale in quel momento estraneo al mondo dell’arredamento, e una serie di anelli metallici in una lampada, lasciandosi aiutare dalla forza di gravità, o di Denis Santachiara che negli anni Ottanta realizza un prototipo di robot domestico (INES, per Kartell) per certi versi precursore della domotica. L’allestimento progettato da ZAVEN si apre con una serie di grandi porte, ispirate alla mostra Invece del campanello, ideata nel 1991 proprio da Munari, con Davide Mosconi.
23ESIMA TRIENNALE DI MILANO. LE PARTECIPAZIONI NAZIONALI
La grande protagonista di questa edizione dell’Esposizione Internazionale è l’Africa, che occupa sei “padiglioni” – in realtà delle stanze – sui venti complessivi e ha l’opportunità di mostrare aspetti della propria cultura e del proprio presente che il resto del mondo ignora o tende a sottovalutare. Il Burkina Faso si affida a Kéré, famosissimo enfant du pays e autore di un’installazione che riprende le tecniche edilizie tradizionali del paese, e alla pittura tradizionale dei muri esterni delle case del villaggio di Tiébelé, con i suoi simboli e i suoi motivi rigidamente codificati che i visitatori sono chiamati a riprodurre, insieme ad artiste locali, su una parete all’interno del museo. Il Kenya, con l’aiuto delle sculture oniriche dell’artista brasiliana Louise Manzon, mette in guardia contro i rischi per la salute umana – sconosciuti, perché mai stimati con precisione – rappresentati dalle diverse sostanze tossiche riversate nei fiumi e nei mari. In Europa, segnaliamo la mostra proposta dalla Repubblica Ceca sulle “case immaginarie” create dai digital artist più in voga del momento, da Andrés Riesinger a Hugo Fournier, e la Greenhouse Silent Disco del Padiglione Polonia, in cui la lingua silenziosa delle piante viene rilevata e tradotta in suoni grazie alle tecnologie digitali.
– Giulia Marani
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