L’olfatto rappresenta un approccio senza mediazioni verso il mondo esterno e segna molte tappe della nostra giornata, dagli odori stimolanti della colazione fino al profumo inconfondibile che ha, per ognuno di noi, l’arrivo della sera. L’olfatto definisce dunque in maniera invisibile i momenti e i luoghi in cui viviamo, facendosi, in alcuni casi, vero e proprio spazio progettuale emergente. Gli studi in questo ambito sono in continua evoluzione e si basano sull’analisi degli effetti che l’inalazione delle fragranze ha sulle funzioni cerebrali: i composti di una fragranza sono in grado di produrre cambiamenti sensibili nei parametri fisiologici come pressione sanguigna, tensione muscolare, dilatazione pupillare, temperatura cutanea, frequenza cardiaca e attività cerebrale. Detto in altre parole, i segnali elettrici provenienti dalla captazione di una molecola olfattiva modulerebbero in maniera significativa le funzioni del nostro cervello tra cui memoria, pensieri ed emozioni.
LA FISIOLOGIA DELL’OLFATTO, OVVERO LA DANZA DELLE MOLECOLE
Sentiamo spesso dire che l’olfatto è collegato alla memoria, ed è vero, perché sia l’olfatto che la memoria risiedono negli stessi ambiti del nostro cervello; sono, in sostanza, vicini di casa. L’informazione relativa a un profumo, respirata dal naso, giunge ai nostri neuroni in uno spazio brevissimo di tempo, un secondo al massimo, e la prima tappa della nostra relazione con gli odori avviene quando inspiriamo, quando cioè le molecole olfattive giungono al fondo delle cavità nasali, dove si trovano i recettori dell’odore. Qui le molecole sono solubilizzate e trattenute qualche istante dalle mucose, entrando in contatto con i neuroni olfattivi, che definiscono la prima rappresentazione dell’odore, conducendo i dati provenienti dall’esterno direttamente all’interno del cervello, nello specifico al bulbo olfattivo, organo comune a tutti i vertebrati. Si tratta in realtà di una struttura doppia, composta da due bulbi, una delle conformazioni più antiche del nostro cervello, collocata, per avere un’idea, all’altezza degli occhi. Il bulbo invia a sua volta questa carta di riconoscimento verso le strutture del cervello implicate in diversi compiti: la percezione sensoriale (corteccia piriforme), i centri deputati alla memoria (corteccia entorinale e ippocampo), l’area delle emozioni (corpo amigdaloideo). Queste strutture proiettano infine l’informazione sulla corteccia orbito-frontale, il luogo in cui sarà rilasciata la percezione cosciente dell’odore, con tutte le implicazioni del caso, tra cui ricordi ed emozioni.
COME È CAMBIATO L’APPROCCIO AGLI ODORI
Quando percepiamo un profumo ci muoviamo dunque tra più livelli: riconoscimento, memoria, impatto, interesse, edonismo, seduzione, fame, disgusto: ma questi aspetti possono concorrere alla definizione di uno spazio come dimensione olfattiva?
Il rapporto che si instaura tra spazio e odore è il risultato di un insieme piuttosto ampio di fattori, legati all’ambiente, all’odore dei materiali utilizzati per la creazione degli arredi, all’uso che si fa di quello spazio, all’ora del giorno in cui ci troviamo, all’orientamento e dunque alla presenza o meno di luce, aria e calore, al grado di umidità. A questi elementi va rapportato il tipo di profumo presente nell’ambiente, la sua quantità e il grado specifico di volatilità. Non tutti gli odori infatti persistono nell’aria in maniera uguale, è il caso ad esempio degli agrumi, che sono più volatili di altre materie prime e spesso vengono utilizzati, nelle creazioni olfattive, come note di testa nella strutturazione di un profumo. Se immaginiamo i materiali utilizzati nell’arredo di una casa ottocentesca, tra carte da parati, velluti, tessuti, tappeti, legni, cere e arazzi, ci rendiamo conto delle numerose modifiche che l’odore degli spazi abitati ha subito nel corso del tempo: i nostri ambienti aderiscono a principi che conducono verso la quasi totale assenza di odori, l’idea di white cube che identifica lo spazio di una galleria d’arte, il muro bianco, identifica bene anche il nostro universo olfattivo. Una sorta di diseducazione all’odore, o meglio, la necessità dell’uomo contemporaneo di eliminare del tutto gli odori che ritiene sgradevoli, così da poterne inserire di nuovi, diversi e selezionati. Abbiamo imparato a separare gli odori, allontanando tra loro i luoghi deputati a compiti diversi, per cui anche a questo servono le porte e le giuste distanze tra gli ambienti. Le case, in cui era eccessiva la presenza di tessuti facilmente impregnabili dagli odori, sono state progressivamente spogliate e negli spazi privati delle abitazioni si è creata, con il tempo, una nuova estetica olfattiva. Che il profumo identifichi lo spazio e il tempo lo comprendiamo ad esempio dalle scelte di alcuni grandi brand di abbigliamento che propongono in vendita candele il cui profumo evoca quello dei negozi stessi. Molti di noi invece potrebbero sperimentare quanto il tempo modifichi il nostro senso dell’olfatto entrando in un luogo pubblico in cui improvvisamente percepiamo l’odore forte e penetrante di una sigaretta: lo troveremmo sicuramente strano, per non dire fastidioso, quando invece fino ad alcuni decenni fa era presenza costante di uffici e bar. È probabile, e anche in questo caso auspicabile, che tra qualche generazione lo stesso processo avverrà per l’odore della benzina e degli scarichi d’auto, quando maggiore sarà sulle strade la presenza delle auto elettriche.
DESIGN OLFATTIVO. LA CULTURA DELL’OLFATTO
Ambienti e spazi si ridefiniscono dunque non solo nel loro aspetto visivo, ma anche olfattivo, e questi cambiamenti sono diventati argomento di analisi in tempi piuttosto recenti per quanto riguarda gli studi storici, una cultura dell’olfatto, destinata a raccogliere, catalogare e interpretare le testimonianze relative all’olfatto, inteso sia come creazione che come storia dell’odore. È qui che collochiamo il design olfattivo, argomento declinato in più linguaggi; può essere il packaging di un profumo, che sia flacone o scatola, la definizione di spazi olfattivi abitativi, un’installazione artistica oppure può avere a che fare con il mondo del profumo come ispirazione e rimando. È tra l’Ottocento e il Novecento che assistiamo ad alcuni interessanti sviluppi che mettono in contatto il mondo del profumo con l’architettura e l’arte. Alcuni aspetti legati al perfezionamento delle tecniche della lavorazione del vetro si muovono all’interno di questo triangolo virtuoso. Nel 1853 la vetreria Pochet & du Courval creò per Guerlain il cosiddetto flacone api (flacon aux abeilles), realizzato per contenere l’Eau de Cologne Impériale, destinata all’imperatrice Eugenia, consorte di Napoleone III: i fregi che decorano il flacone sono ispirati alla cupola della colonna Vendôme, mentre le api, oggi simbolo della maison Guerlain, facevano parte dell’araldica scelta da Napoleone Bonaparte. Creatore di flaconi indimenticabili fu anche René Jules Lalique, che all’inizio del Novecento lavorò per François Coty, negli stessi anni in cui la lavorazione del vetro veniva messa alla prova con realizzazioni tecnicamente audaci come il Glaspavillon, creato nel 1914 su progetto di Bruno Taut e Franz Hoffmann, in occasione dell’Esposizione del Deutscher Werkbund a Colonia. La costruzione rimase accessibile ai visitatori dell’Esposizione solo per quattro settimane, dai primi di luglio fino alla chiusura anticipata della mostra il 5 agosto 1914, giorno successivo all’inizio della Prima Guerra Mondiale. Il padiglione era collocato lontano dall’edificio centrale della mostra, subito dietro la biglietteria, in un’area secondaria. Si trattava tuttavia di un’impresa pionieristica in fatto di cemento e vetro, un esperimento ai limiti delle potenzialità allora conosciute. È ancora oggi evidente, per chi osserva i disegni e le fotografie, alcuni dei quali ritrovati nel 1993 all’interno degli archivi storici della città di Colonia, la scelta, nella creazione degli elementi decorativi, di rifarsi a un mondo orientaleggiante, tra India e Impero ottomano. L’edificio era chiuso da una cupola ellissoidale di vetro colorato, dall’aspetto simile ai preziosi e raffinati flaconi di profumo che in questi anni venivano prodotti per una clientela selezionata, come nel caso di Guerlain e Coty. Nel tempo, la storia del design olfattivo si connoterà sempre più per una vocazione specifica, quella di eliminare dalle nostre abitazioni il sentore d’umido e di acqua stagnante, che veniva considerato malsano. Si consolidò così l’importanza di soleggiare gli ambienti, impiegando materiali duri e impermeabili, disidratando, drenando e rendendo l’aria asettica. È vero infatti che l’acqua conduce odori, una soluzione acquosa risveglia l’olfatto e, sotto certi aspetti, se parliamo di profumi, a chi non viene in mente la definizione Acqua di Colonia? Proprio per questa assenza dal nostro vivere, alla ricerca di esperienze che pongano invece l’attenzione sull’umidità e sull’aria, sono state realizzate nel corso del tempo installazioni di grande interesse per la cultura dell’olfatto e per il designo olfattivo.
DESIGN OLFATTIVO. ARTE E OLFATTO
L’artista Olafur Eliasson, ad esempio, ha dialogato più volte con l’acqua e nel 2001, quando crea The mediated motion, occupa i quattro piani dell’austriaco Museo d’Arte Contemporanea Internazionale di Bregenz, una costruzione rigorosamente ortogonale di cemento e vetro creata dall’architetto svizzero Peter Zumthor, ideando per ogni piano una destinazione diversa, trasferendo nel contesto artistico fenomeni naturali come l’acqua, la luce, il vento, la temperatura. Eliasson, collaborando con l’architetto paesaggista Günther Vogt, inserisce tronchi sui quali crescono funghi, uno stagno d’acqua sul quale galleggiano delle Lemnaceae, tipiche piante che si sviluppano in acque ferme, un leggero declivio di terreno percorribile dai visitatori e un ponte sospeso, circondato dalla nebbia. La cultura olfattiva percepisce questi percorsi come nuove esplorazioni e l’umidità è stata sensibile protagonista della celebre installazione Blur Building, presentata alla Swiss Expo del 2002 dai progettisti Diller Scofidio. Si trattava di una vera e propria architettura atmosferica, creata pompando acqua dal lago di Neuchâtel, filtrandola, pompandola e spruzzandola come una nebbia sottile attraverso 35mila ugelli ad alta pressione. Un sistema meteorologico permetteva di adattare la pressione dell’acqua alle condizioni climatiche, agendo su temperatura, umidità, velocità e direzione del vento. Entrando in Blur Building scomparivano i riferimenti visivi, acustici, creando uno stato di wash out sensoriale: si poteva respirare l’installazione, un’aria umida e intensa, si poteva persino bere l’edificio e dunque percepirne ancora più intensamente l’odore, grazie al foro di passaggio posto al fondo della cavità buccale, che pone in collegamento bocca e naso, attraverso il quale risalgono le molecole odorose rilasciate dagli alimenti durante la masticazione.
Lo stesso naso che crea per professione profumi, lavora e ragiona quasi sempre per proporzioni geometriche olfattive, ideando un profumo mentale, in cui le materie prime si declinano e si incontrano una sull’altra, fino a creare quella che spesso viene chiamata piramide olfattiva. Dovrà pensare a quali odori collocare alla base, per creare un fondo solido che dovrà resistere più a lungo, penserà a cosa porre al centro della sua composizione, che sia memorabile, strutturato ma anche aperto e disponibile a suggerire le prime note del profumo. Solo che questo viaggio lo percorriamo in realtà al contrario, come se fossimo improvvisamente paracadutati sulla parte alta di un palazzo, per scendere poi lungo i diversi piani, arrivando infine agli odori più forti e persistenti che compongono la base di un profumo.
‒ Silvana Cincotti
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