Ci sono progetti che esulano, trascendono i contesti, le kermesse e i tempi di presentazione per restare nella cultura del progetto come esempi, sentieri tracciati nella definizione di un campo largo di riferimenti, riflessioni e azioni. È il caso di Melting Pottery, un processo-progetto educativo sviluppato dal dipartimento di Master in Design Studies di VCUarts Qatar con il prezioso contributo di Marco Bruno e Giovanni Innella, entrambi professori associati presso la stessa università.
CHE COS’È MELTING POTTERY
Il progetto esplora le identità culturali di studenti e docenti utilizzando tecnologie e tecniche di produzione. Melting Pottery si compone di tre fattori progettuali e produttivi che si integrano tra loro. La progettazione tradizionale, l’ingegnerizzazione computazionale e la fabbricazione digitale rappresentano le tre fasi integrate attraverso cui il progetto è stato concepito, si è evoluto e infine ha preso una forma ulteriormente espandibile. Si tratta di una collezione di vasi provenienti da i più vari contesti culturali e antropologici che riflettono una ricchezza di forme ancora vive nell’immaginario collettivo e in grado di attivare nuove narrazioni utilizzando questi oggetti come privilegiati catalizzatori espressivi. È un’esplorazione di territori differenti e lontani tenuti insieme dalla scelta di un oggetto-archetipo definito dal vaso. Ecco che questa forma-funzione primaria prende vita come uno spazio sospeso, ai confini del design e della vita, un luogo di tensione dove tutte le relazioni, i rapporti con gli oggetti sono capaci di creare un potenziale narrativo determinando un ambiente multiplo affermato unicamente da un senso di pluralità.
La progettazione si proietta così in una dimensione allargata fatta di incroci disciplinari dove antropologia, letteratura, filosofia, arte, architettura disegnano una densità di possibili scenari, attivando le differenze e cooperando in vista di un potenziamento reciproco. La jarrah delle comunità palestinesi, la gargoulette adoperata in Tunisia, il fiasco di vino tipico dell’Europa meridionale, il bidone per il latte usato in Nord America, il mesob eritreo sono stati alcuni degli elementi di partenza utilizzati dagli studenti per definire i profili dei vasi, e per caratterizzare gli artefatti assecondando i propri riferimenti culturali.
DALLA CERAMICA AL DIGITALE
L’ibridazione di questi dati, materiali e analogici, con software parametrici ha definito alcuni paradigmi formali che permettessero ai vasi di essere divisi in due parti intercambiabili con quelle degli altri membri del gruppo. Grazie al contributo di Andrea Graziano, abile programmatore, la sezione mediana dei vasi è stata uniformata in modo da poter supportare molteplici incastri. Inoltre, una serie di modificatori parametrici ha permesso di prendere delle decisioni formali, aggiungendo caratteristiche che identificano ulteriormente i singoli vasi, facendoli assomigliare al giunco intrecciato delle ceste, o permettendo di aggiungere elementi grafici che possono ricordare la pezzatura delle mucche da latte, o le decorazioni tipiche di alcune parti dell’India, espandendo le possibilità a disposizione dei designer. La terza componente del progetto, che in realtà si intreccia con le due precedenti, è rappresentata dalla fabbricazione digitale. La stampante tridimensionale costruita dall’artigiano digitale, Bruno Demasi, opera estrudendo un sottile cilindro di argilla attraverso una trafila che si sposta seguendo le istruzioni fornite dal software parametrico. Per quanto tecnologicamente avanzata e precisa questa macchina possa essere, è il materiale a dettare i limiti degli angoli di curvatura e la struttura dei vasi, e a volte è indispensabile la manualità dell’artigiano per assistere la macchina e capire quando e come intervenire per evitare collassi o imperfezioni. Inoltre, la finalizzazione dei vasi prodotti dalla stampante richiede la produzione manuale dei fondi, di alcuni dettagli della connessione tra le metà e la rifinitura finale della superficie. Il risultato evidenzia la convergenza di molti fattori, che vanno dalla provenienza culturale di ciascun membro del gruppo, il calcolo computazionale, la robotizzazione, le proprietà dell’argilla, le abilità di programmazione e quelle manuali.
Melting Pottery rappresenta una buona pratica educativa in un contesto sperimentale in cui il design si propone come disciplina capace di generare nuove percezioni e interazioni sociali che liberino il valore degli oggetti dalla schiavitù del denaro e della loro funzione d’uso ed economica.
Il progetto è stato presentato nel giugno scorso nello spazio Rossana Orlandi di Milano durante la Design week, e precedentemente presso il MunLab di Cambiano e il Circolo del Design di Torino.
Marco Petroni
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