Sintetizzare in pochi punti i dodici mesi appena trascorsi è sempre un esercizio difficile, soprattutto quando si parla di design, cioè di un territorio che ha confini labili e imprecisi e sfugge alle mappature. Qui vi proponiamo una serie di figure, esperienze, progetti che ci sono sembrati interessanti o degni di riflessione e che, riuniti secondo un criterio assolutamente soggettivo e senza alcuna pretesa di esaustività, mescolando alto e basso, locale e globale, vanno a comporre un’istantanea di questo 2022.
Giulia Marani
UN DESIGNER: YINKA ILORI
Il biennio 2021-2022 non è stato avaro di riconoscimenti per questo artista e designer classe 1987, britannico di origini nigeriane: lo scorso anno è stato inserito dal New York Times tra i dodici creativi che più stanno plasmando il mondo delle arti e ha ricevuto il titolo di Member of the Order of the British Empire dalle mani della regina Elisabetta; negli ultimi mesi ha inaugurato la sua prima personale al Design Museum di Londra ed è stato scelto tra i cinque candidati al titolo di Designer of the Year della rivista britannica Wallpaper. Il suo uso del colore, spregiudicato e gioioso, con accostamenti arditi e pattern presi in prestito dai tessuti wax africani, la sua coscienza ecologica (è stato allievo di Jane Atfield, pioniera dell’uso della plastica riciclata nell’arredo e progettista dell’iconica sedia RCP2 nel 1992) e la sua abilità nel far dialogare persone e comunità – una parte importante del lavoro che ha portato alla concezione di The Flamboyance of Flamingos, un playground dedicato ai fenicotteri nell’est della capitale britannica, per esempio, ha riguardato l’ascolto delle storie e delle necessità dei residenti nell’ambito di una serie di workshop – fanno di Yinka Ilori un personaggio da tenere d’occhio anche nel 2023.
UNO STUDIO: SPACE POPULAR
Il 2021 si è chiuso sull’onda dell’entusiasmo per il Metaverso e per le potenzialità che ambienti virtuali e tecnologie immersive possono offrire anche negli ambiti dell’architettura e del design. D’altra parte, disporre di un ambiente protetto in cui testare soluzioni destinate al mondo reale e immaginare futuri alternativi è il sogno di qualunque progettista. Dodici mesi più tardi, il progetto di Marc Zuckerberg stenta a decollare e sullo sfondo rimane una questione fondamentale: le piattaforme che si preparano sono private, perciò quando ci entreremo davvero non lo faremo come cittadini ma come consumatori. Il duo anglo-spagnolo Space Popular, che quest’anno abbiamo visto a Milano (al MEET, con una installazione immersiva sui nuovi scenari dell’abitare) e a Roma (al MAXXI, come ospiti del programma Studio Visit, impegnati in una rilettura degli insegnamenti di Aldo Rossi), ha alle spalle una lunga frequentazione delle lande pixelate e riflette da tempo sul ruolo di architetti, urbanisti e designer nella costruzione del Metaverso. Tra i pregi del lavoro visionario di Frederick Hellberg e Lara Lesmes c’è proprio il fatto di decostruire l’apparente libertà dello spazio digitale portando all’attenzione del pubblico il suo reale funzionamento, condizionamenti e storture compresi.
UNA MOSTRA: ALDO ROSSI AL MUSEO DEL NOVECENTO
L’installazione di Space Popular al MAXXI non è stata l’unico omaggio reso ad Aldo Rossi nel corso del 2022. A celebrare uno dei più influenti architetti italiani, milanesissimo per giunta, scegliendo il design come prisma non scontato, ha pensato anche Milano con la prima grande retrospettiva allestita in uno dei luoghi più simbolici della città: il Museo del Novecento, proprio di fronte al Duomo. Aldo Rossi. Design 1960-1997, a cura di Chiara Spangaro, ha riunito oltre 350 pezzi tra arredi, prototipi, oggetti d’uso e disegni ricostruendo in maniera completa e coerente quasi quarant’anni di attività. Un racconto che si ripete, con echi più intimi e con le testimonianze di persone che lo hanno conosciuto, nel bel documentario girato da Francesca Molteni e Mattia Colombo.
UN’IMMAGINE: LE GALASSIE LONTANE NEL PRIMO SCATTO DEL TELESCOPIO SPAZIALE JAMES WEBB
A luglio è stato presentato al mondo il Webb’s First Deeep Field, la prima immagine scientifica a colori catturata dagli strumenti a bordo del potentissimo telescopio spaziale della NASA. Che cosa c’entra con il design? Innanzitutto, dietro immagini come queste, che a un osservatore non specialista possono sembrare “naturali” o immediate, c’è un enorme lavoro che riguarda la resa dei colori e che potremmo definire “di design”. Dal momento che il telescopio lavora sull’infrarosso, raccogliendo informazioni invisibili all’occhio umano, infatti, è necessario creare un preciso codice colore per rendere queste informazioni fruibili a tutti, e spettacolari. In secondo luogo, come ci ha ricordato anche la 23esima Triennale intitolata proprio Unknown Unknowns, allenare lo sguardo a spingersi sempre più lontano è una metafora calzante del lavoro del designer, soprattutto in momenti storici incerti come questo.
UN MATERIALE: LA RESINA
Malleabile ed estremamente versatile, oltre che poco costosa, la resina attira spesso l’attenzione degli studenti o dei giovani designer per le sue numerose qualità, tra cui la possibilità di creare oggetti non del tutto standardizzati. A utilizzarla nel modo più interessante, però, è spesso Gaetano Pesce, un signore di 83 anni che della lavorazione della resina è stato un pioniere. Le quattrocento sedie in resina poliuretanica create nell’ambito della collaborazione con Bottega Veneta, usate in un primo tempo durante la sfilata primavera-estate 2023 del brand di moda e poi messe in vendita a Design Miami, sono tutte simili e allo stesso tempo tutte diverse tra loro. Il messaggio che portano è politico e inclusivo: parlano dell’unicità di ogni essere umano, e di come questa caratteristica sia un punto di forza invece che rappresentare un limite. Un altro capitolo della sperimentazione di Pesce con la resina, quello relativo alle “pelli industriali” (disegni murali che il designer e artista esegue periodicamente dagli anni Novanta), è al centro di una mostra dal titolo È bello continuare nella galleria milanese di Luisa Delle Piane.
UN PRODOTTO GREEN: DAI FUNGHI AI GUSCI MARINI
L’estate più calda degli ultimi cento anni ci ha ricordato, se mai ce ne fosse stato bisogno, la necessità di consumare in maniera più responsabile. Ci vengono in soccorso nuovi materiali bio-derivati, come il tessuto vegano ricavato dal micelio dei funghi usato dalla stilista Stella McCartney per la borsa Frame Mylo (la prima luxury bag “prodotta in laboratorio”), o basati sul riciclo di rifiuti organici. A Mare, il rivestimento prodotto da Oltremateria e pubblicato nell’ultimo ADI Design Index (oltre che premiato per l’Innovazione), è la prima superficie continua da pavimento a bassissimo spessore realizzata per oltre il 60% a partire da gusci di ostrica e conchiglie di molluschi provenienti da filiere di riciclo certificate. L’origine marina, anziché occultata, è rivendicata con orgoglio ed esibita, a partire dalla texture che richiama la sensazione tattile della sabbia.
UN PROGETTO SUL TERRITORIO: MÒSHÌ
MÒSHÌ – “adesso sì” in dialetto ciociaro – è un piccolo progetto nato nel basso Lazio nel 2019, che ha appena dato i suoi primi frutti presentando le reinterpretazioni contemporanee di alcune tipologie dell’artigianato locale: la cannata (il contenitore in terracotta usato dai contadini per dissetarsi), la conca (un contenitore in rame per il trasporto dell’acqua), le campanelle in ceramica di Arpino e la ciocia, la celebre calzatura di cuoio assicurata al polpaccio da lacci. Dietro ci sono un architetto attivo sul territorio (Paolo Emilio Bellisario, con il suo studio Nine Associati), un designer da sempre interessato agli oggetti del quotidiano, quelli di cui non conosciamo il progettista e spesso neppure l’azienda (Giulio Iacchetti) e una giovane casa editrice (Iam Edizioni) nata nel 2017 con la pubblicazione di una “anomala guida illustrata” della regione. Lo inseriamo in questo elenco perché il lavoro è stato portato avanti con delicatezza, rispettando la semplicità delle forme sviluppate nel corso dei secoli da mani anonime, e perché si tratta di un esempio che può tornare utile ad altri distretti periferici rispetto ai flussi turistici di massa, ricchi di artigianato (tutta l’Italia lo è) e desiderosi di valorizzarsi.
UN ANNIVERSARIO: I 50 ANNI DEL CACTUS E DI QUADERNA
Il 1972 fu un anno cruciale per il design italiano. The New Domestic Landscape, la grande mostra curata da Emilio Ambasz, portò al MoMA di New York, e quindi all’attenzione del mondo, una selezione di progetti che testimoniavano di uno straordinario fermento progettuale in corso nel nostro Paese. A colpire il pubblico americano fu, oltre alla varietà e alla indiscutibile qualità della produzione Made in Italy, il fatto che molti tra gli oggetti in esposizione fossero portatori di una riflessione – spesso critica – sulla società contemporanea. Il 1972 è stato anche l’anno di nascita di alcuni progetti-manifesto del design radicale, che quindi hanno appena compiuto cinquant’anni: il Cactus disegnato da Franco Mello e Guido Drocco per Gufram, per esempio, o ancora il tavolo Quaderna di Zanotta, parte della più ampia Serie Misura Mprogettata da Superstudio. Le aziende che ancora oggi li producono hanno festeggiato l’anniversario: Gufram lo ha fatto con delle versioni celebrative del Cactus, frutto di collaborazioni con la Andy Warhol Foundation for Visual Arts e con l’artista A$AP Rocky, Zanotta aggiungendo alla serie tre nuovi elementi realizzati a partire da disegni e schizzi originali recuperati negli archivi di Superstudio e di Cristiano Toraldo di Francia.
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