Il collettivo ZUMMAUT, formato da Luca Magistrali, Alberto Massara, Marco Merafina, Alice Platania e Giacomo Quinland, ci porta alla scoperta del design come approccio diretto per rispondere a questioni di criticità legate all’habitat, ai rituali domestici e alle relazioni che intercorrono tra spazio pubblico e privato.
In occasione della mostra Ostile, che si terrà dal 4 al 19 febbraio 2023 negli Spazi Ex Teatro Ringhiera a Milano, con la curatela di Maria Carla Forina, il collettivo presenterà Simbionte, un progetto inedito di design urbano.
INTERVISTA AL COLLETTIVO ZUMMAUT
Come nasce il collettivo ZUMMAUT?
Luca Magistrali: Ci siamo conosciuti all’università, durante un progetto di gruppo, e ci siamo accorti che ognuno di noi aveva qualcosa di interessante da dire e che le nostre capacità erano in qualche modo complementari. Tra un progetto e l’altro abbiamo deciso di partecipare a un contest indetto da Xilografia Nuova, un’azienda del panorama del design milanese specializzata in grandi allestimenti, e abbiamo vinto. La vincita prevedeva l’esposizione del progetto alla seconda edizione di EDIT Napoli. Il viaggio, l’esperienza del festival e l’energia che si è creata hanno consacrato il gruppo, dando effettivamente vita a ZUMMAUT. Abbiamo poi scelto di definirci collettivo perché, nella totalità del gruppo, le nostre individualità sono molto riconoscibili. Ognuno di noi ha il proprio modo di pensare e progettare, questo fa sì che si crei una particolare sinergia, che è un po’ il motore della nostra collaborazione.
Dopo EDIT Napoli in che modo siete andati avanti come collettivo?
Marco Merafina: Grazie a EDIT Napoli, per la prima volta ci siamo trovati a poter progettare qualcosa che fosse totalmente fuori dagli schemi dell’abitare. Il progetto esposto, Alta Quota, è ancora adesso impossibile da collocare in una categoria di arredo preesistente: è un armadio? Una seduta? Un divisorio? Un gioco? O nessuna delle precedenti?
Alice Platania: Lavorare su questo concetto è stato il punto di partenza per una ricerca che portiamo avanti da due anni, alla quale abbiamo dato il nome di New Habits. A oggi possiamo dire che il nostro vero e unico progetto è proprio questo: raccogliamo spunti e pensieri quotidiani al solo scopo di scovare e inseguire nuove abitudini di vivere lo spazio domestico e urbano. Solo quando siamo certi di avere la giusta consapevolezza di un argomento decidiamo di progettare un prodotto che sarà una delle tappe del percorso New Habits.
LA CONVIVENZA TRA DESIGN E ARTE
Qual è la vostra idea di design applicata all’ambito artistico?
Giacomo Quinland: Nell’introduzione alla sua Critica portatile al visual design, Riccardo Falcinelli indaga una delle differenze principali tra arte e graphic design, che sta nella riproducibilità e di conseguenza nella progettazione, nella fruibilità e dunque nel fine del progetto. Tenendo conto di questo, ci siamo accorti che quando progettiamo non ci interessa la produzione di massa, lo studio di mercato, la moda, la fattibilità industriale o l’appetibilità da scaffale. Ci piace osservare l’ambiente circostante, procedere per sensazioni e intuizioni al fine di parlare di qualcosa di concreto, problemi, questioni contemporanee e situazioni a noi in qualche modo vicine, piuttosto che scegliere di lavorare ai cosiddetti “oggetti di design”. Vogliamo parlare a tutti, ma non vogliamo vendervi niente.
Alberto Massara: Per noi la consacrazione di questo modo di pensare è stato proprio il progetto Alta Quota, a cui abbiamo lavorato con artigiani che non ci richiedevano un oggetto da produrre in serie, ma che fosse un prodotto “icona” che esaltasse il loro know-how nella lavorazione del legno. Ancora di più con la Seduta Infinita, presentata in occasione del Ro Plastic Prize 2022, che già nel suo nome presuppone una non fattibilità industriale, quanto piuttosto un invito a riflettere sulla tematica della mostra: la plastica e l’uso inconsapevole che ne facciamo.
Come mai la scelta del tema dell’architettura ostile?
Marco Merafina: Già durante la progettazione di Seduta Infinita, che è un arredo urbano, ci era sembrato interessante l’argomento dell’architettura ostile. Dopo una fase di ricerca, ci siamo resi conto che il tema, data la sua ampiezza, meritava più tempo per essere elaborato e più spazio per essere esplorato, quindi abbiamo deciso di dedicargli un progetto a parte. L’argomento è molto vicino ai nostri riferimenti progettuali. Come diceva Ugo La Pietra: “Cerchiamo la forma che nasce dalle nostre esperienze invece che dagli schemi imposti”. Abbiamo osservato abitudini e comportamenti urbani, notando che lo spazio che ci circonda non è sempre fatto a misura d’uomo, anzi, cerca a volte di respingerlo attraverso vere e proprie barriere architettoniche.
LA MOSTRA OSTILE A MILANO
Parliamo della mostra che inaugurerete a breve, come avete affrontato il tema?
Alberto Massara: In una frase: “A spigolo vivo”. Con il nostro design cerchiamo non solo di aggirare le regole formali e strutturali dell’oggetto, ma di imporci come uno spigolo vivo e tagliente sia attraverso la forma che con l’intenzione.
Maria Carla: Conoscevo bene l’approccio di ZUMMAUT al design e il loro particolare interesse manifestato da qualche tempo verso il tema dell’architettura ostile. Ho pensato che, in generale, il loro modo di interpretare le questioni legate all’abitare lo spazio – sia domestico che urbano – fosse la prospettiva adatta da cui partire per la curatela della mostra Ostile, che inaugurerà sabato 4 febbraio negli Spazi Ex Teatro Ringhiera, nel cuore del quartiere Abbiategrasso-Chiesa Rossa.
Ci regalate qualche anticipazione?
Maria Carla Forina: L’esposizione parte dal tema dell’unpleasant design per riflettere sulla condizione della città contemporanea che, una volta perso il contatto con la vita quotidiana dei suoi abitanti, esclude in modo sistematico fasce indesiderate di popolazione, al fine di preservare un’idea distorta di decoro urbano, trasformandosi in una semplice vetrina appetibile per turisti e visitatori. Nel suo studio “vita sociale in spazi urbani ristretti”, William Whyte evidenzia come la qualità di un qualsiasi ambiente urbano sia misurabile in buona parte in base all’esistenza di posti dove i passanti possano sedersi comodamente. A ZUMMAUT ho chiesto di progettare, appositamente per la mostra, qualcosa che evidenziasse tale questione, con un approccio critico e parassitario verso l’attuale configurazione del panorama urbano.
A cosa avete lavorato in occasione della mostra?
Alice Platania: In vista della mostra ci siamo concentrati proprio sulla seduta urbana. La panchina pubblica è uno degli oggetti maggiormente diffusi al mondo e posti a disposizione di chiunque. Eppure, osservando meglio, sembra che oggi gli unici a usufruirne siano proprio quelle fasce indesiderate di popolazione di cui parlava Maria Carla. Fanno quindi la loro comparsa panchine singole o scomode, progettate in modo da impedire a tutti i costi la seduta informale, lo sdraiarsi o semplicemente la convivialità svolta al di fuori delle mura domestiche. Simbionte è una seduta urbana pensata per rendere ospitali gli arredi ostili di Milano e per ripensarli nell’ottica di una concezione dello spazio che ritrova il contatto con la vita quotidiana. Il progetto prende di mira le panchine pubbliche arcuate e chiaramente ostili di piazzale Gabrio Piola e, come un parassita, sfrutta la loro struttura per poi alterarla. Il risultato è un rinnovato rapporto tra oggetto e utente, che si traduce in una nuova e più ospitale percezione dello spazio.
Luca Magistrali: La nostra intenzione non era quella di risolvere un problema in modo funzionale, ma di evidenziarlo e porvi l’accento attraverso un intervento comunque tangibile e diretto: una contro-struttura. Quello che abbiamo voluto racchiudere in Simbionte è la nostra visione di scenario urbano, proposto come counter environment dell’architettura ostile.
Maria Carla, c’è qualcosa che invece ha ispirato te nel pensare questa mostra?
Pur non essendo un punto di partenza per la progettazione di Simbionte, vorrei evidenziare una sorta di complementarietà con Buffer Zone, mostra personale dell’artista Meletios Meletiou, che durante l’opening di Ostile terrà un talk sull’argomento. La mostra, tenuta negli spazi sotterranei della Fondazione Pastificio Cerere di Roma, si configurava come un vero e proprio percorso ostile creato attraverso strutture e pattern fisicamente impattanti. Da una conversazione con l’artista abbiamo notato come Simbionte e Buffer Zone affrontassero l’argomento dell’architettura ostile in modi opposti ma complementari. Meletios ha evidenziato il problema attraverso una sua riproposizione quasi astratta, mentre ZUMMAUT propone un suo annullamento diretto.
C’è qualche progetto a cui state lavorando ora?
Alberto Massara: Questo è l’inizio di un percorso che porteremo avanti sull’idea dell’abitare urbano. A oggi abbiamo due obiettivi da raggiungere: uno è a breve-medio termine e consiste in un progetto che abbiamo in cantiere e che speriamo potrà vedere la luce durante la Design Week. L’altro, a lungo termine, è l’idea di dare un contenitore a tutta la nostra ricerca: creare un ambiente per i nostri progetti che possa trasformarsi e arricchirsi con il passare del tempo, un nuovo sistema dell’abitare in grado di rispecchiare le nuove abitudini contemporanee.
Silvia Rossetti
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