Fluida e ipercontemporanea. Ecco come è andata la fiera di design Collectible a Bruxelles
Il design del XXI secolo ha trovato casa in Belgio, dove la fiera Collectible apre una porta verso giovani talenti e giovani gallerie, tutti ipercontemporanei e in versione limited edition. Il report e le nostre riflessioni dalla fiera
Bruxelles, nuovo epicentro del design del nord Europa. Nata nel 2018 dall’impulso di Clélie Debehault e Liv Vaisberg, la fiera di design contemporaneo Collectible trova la sua nicchia in un angolo d’Europa sempre più crocevia per gli oggetti di pregio e di attenzione: dal Belgio, paese di brocante e sperimentatori, sono infatti dietro l’angolo tanto l’Olanda, grande esportatrice di talenti, che Parigi, patria del lusso e storica sede di gallerie specializzate, fino anche alla Germania e l’Inghilterra, con Londra che ne approfitta per fare qualche piccola incursione nel mercato europeo. Con una ricerca focalizzata su due criteri, le giovani proposte e l’edizione limitata, la collocazione di Collectible rimane sostanzialmente unica tra gli eventi di settore: vicina a PAD, se proprio vogliamo trovare un omologo, ma epurata di tutto il design del XX secolo – e di tutte le grandi gallerie che lo supportano – e decisamente centrata sugli emergenti. Di che sollecitare gli esperti alla ricerca di nuovi talenti, che sia solo per sondare l’aria che tira o per investire sui nomi di domani.
LA SESTA EDIZIONE DELLA FIERA COLLECTIBLE
Giunta dunque alla sesta edizione, pur con una continuità alterata dalla pandemia, la fiera si è spostata quest’anno in una sede più grande, il padiglione di Tour & Taxis, allestito secondo il progetto dello studio Volfram che – come vedremo al prossimo Salone, pensando ad Euroluce – incoraggia una circolazione concentrica e non lineare, non sempre a vantaggio della chiarezza della fruizione. La nuova location è anche l’occasione per allargare le griglie del proprio formato. Oltre alle storiche sezioni – Main, Bespoke e Curated – Collectible inaugura quest’anno anche New Garde, selezione di giovani gallerie, Architect Designer, a cura di Nicolas Schuybroek e dedicata alle autoproduzioni di studi di architettura e interiors, e Dialogue, a cura di Jean-François Declercq, un invito al confronto tra pezzi degli anni ’80 e ’90 e pezzi contemporanei (un esempio su tutti, la S.E.C. Chair di Richard Hutten accanto ai pezzi della serie Lounge Monsters di Adam Nathaniel Furman).
COLLECTIBLE. UNA RIFLESSIONE SULL’EDIZIONE 2023
Fermo restando il chiaro riferimento geografico che abbiamo descritto, sono pochi i nomi e le gallerie provenienti da altre parti del mondo. Un fatto non scontato, e che potrebbe essere spiegato, ci sembra, oltre che attraverso logiche di investimento, anche secondo le lenti del gusto. Un comune filo rosso lega molti lavori esposti: massimalisti e catalizzatori, gli oggetti sono generalmente non funzionali e non concettuali, spesso realizzati in metallo, spesso spiccatamente scultorei, spesso con una predilezione per l’organicismo. Lato colore, l’artificiosità rivendicata delle finiture richiama un immaginario da metaverso, lontano dai paradigmi di un autoimposto buongusto e incline al contrario a non lasciarsi imbrigliare da forme o aspettative. Tratti che, se attribuibili con facilità a tutta la nuova generazione, sembrano qui rievocare una sorta di fluidità propria della “belgitudine” – una capacità, così come è stato per la moda, di scavalcare senza pregiudizi proporzioni, registri, accostamenti, e soprattutto qualsiasi archetipo di bellezza ideale.
COLLECTIBLE 2023. I PROGETTI PIÙ INTERESSANTI IN FIERA
Tra i progetti di interesse, segnaliamo le gallerie Mia Karlova, Objects with Narratives e Tableau (sezione Main), quest’ultima l’apoteosi del design liquido e caramelloso; Aether/Mass (sezione Bespoke), mobili-oggetti in legno massello dalla fisionomia nitida e dall’identità inafferrabile, e Maak & Transmettre con i loro progetti tessili – belli, i tappeti e tessuti, in tutta la fiera – per la sezione New Garde. Menzione d’onore alla piccola ma ben assestata sezione Curated, quest’anno a cura di Leo Orta, che mette insieme i primissimi lavori di giovani designer, alcuni dei quali freschi di diploma. Sebbene le trame del racconto riemergano qui con maggiore frequenza, Curated non smentisce la pulsione ad abbracciare qualsiasi sembianza: come per They told me di Atelier Duyi Han, sedia-manifesto che, al grido di “they told me to grow roots, instead I grew wings”, come recita il ricamo sullo schienale, incarna alla perfezione la trasversalità gioiosa e senza vincoli di questa nuova generazione.
Giulia Zappa
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati