Il design in un coltello. Storia di Michele Massaro, il fabbro degli chef

A Maniago, storica enclave della produzione di coltelli, ha respirato la fatica del battiferro. Ma della forgiatura al maglio ha fatto uno strumento per lavorare sul concetto del taglio e sulla pulizia delle linee, col piglio dell’artista

Il mio sogno sarebbe stato quello di fare l’architetto”. A parlarne oggi, con Michele Massaro, si direbbe che la sua vita professionale abbia preso tutt’altra piega. Artista coltellinaio capace di traghettare una tradizione artigianale di lungo corso verso vette creative – mai, però, a scapito della funzionalità! – difficilmente rintracciabili nel panorama italiano, Massaro è innanzitutto un uomo che ha scelto di ascoltare il suo talento. Per questo non c’è rammarico nel ripensare a un’ambizione giovanile non concretizzata, tanto più che la progettualità operosa ascrivibile a un architetto, per come intende lui la dinamica di ideazione e produzione di un coltello, ha finito per contraddistinguere anche il suo lavoro. Con tangenze che, al contempo, fanno pensare al processo creativo di un artista concettuale: “Mi capita di sentirmi dare dell’artista per l’estetica impattante dei miei coltelli. E questo mi dà fastidio. Vorrei essere considerato un artista anziché un artigiano, è vero, ma per l’oggettiva differenza tra arte e artigianato, cioè per il fatto di saper comunicare qualcosa a prescindere dalle mie capacità artigianali”.

Michele Massaro, Coltelli. Photo Christian Bazzo

Michele Massaro, Coltelli. Photo Christian Bazzo

CHI È MICHELE MASSARO. L’ARTISTA DEI COLTELLI

È un modo di intendere la progettazione, il suo, decisamente concettuale – “non ho mai lavorato sul disegno” – ma intrinsecamente materico, considerata la formazione da abile domatore del maglio. La storia di Michele Massaro – le sue origini geografiche e culturali – è forgiata nei suoi coltelli: nato a Maniago, storica enclave friulana (in provincia di Pordenone) della produzione di coltelli, ha respirato nelle fucine del paese un’eredità secolare: “Fino a non molti anni fa Maniago, una decina di migliaia di abitanti, produceva lame da macelleria per tutta Europa, quand’ero ragazzino era pieno di officine, io guardavo senza toccare, imparando i primi rudimenti. Si “tirava” al maglio una lama ogni 45 secondi, sopra restavano i caratteristici segni”, il brute de forge (l’ossidazione nera a linee parallele) che Massaro ha voluto conservare come segno distintivo della sua formazione, rendendolo un marchio di fabbrica delle sue produzioni. E questa è la storia che si respira nel suo battiferro, negli spazi recuperati dell’Antica Forgia Lenarduzzi, lungo il corso della roggia che dal XV secolo ha alimentato con le sue acque la produzione delle coltellerie di Maniago. Massaro è “ufficialmente” in attività dal 2015, e dell’antica forgia ha scelto di mantenere il nome, per omaggiare i fratelli Lenarduzzi, da cui ha appreso la tecnica tradizionale di forgiatura e tempra dell’acciaio, e tutte le persone che hanno dedicato la propria vita a un lavoro duro e massacrante, nell’anonimato, in un ambiente buio, caldo d’estate e freddo d’inverno, con attrezzature essenziali, tramandate da generazioni. Oltre al maglio – “pesante, e difficile da usare: a differenza del martello, un colpo mal dato compromette il risultato, bisogna essere veloci e precisi, si impara con il tempo a dosare la forza” – e all’incudine, in officina si conservano decine di spine, tutte diverse l’una dall’altra, utilizzate per forare l’acciaio incandescente. Il rumore è quello della cinghia che, alimentata dall’acqua, mette in funzione ogni macchina.

Michele Massaro in fucina. Photo Christian Bazzo

Michele Massaro in fucina. Photo Christian Bazzo

MICHELE MASSARO. IL COLTELLINAIO DEGLI CHEF

Strumenti, terminologie e abilità tecnica nel dare forma a un pezzo d’acciaio, però, costituiscono solo una parte della personalità “eretica” di Michele Massaro: “All’inizio, in paese, mi davano del matto”. Oggi non è più così, e tutti lo conoscono come il fabbro degli chef (i più grandi d’Italia e del mondo, da Paolo Lopriore a Pier Giorgio Parini, ad Antonia Klugmann ed Enrico Crippa, Mauro Colagreco e René Redzepi, solo per citarne alcuni), una sinergia nata sul piano di una comune sensibilità alla qualità del prodotto. Di certo, nel lavorare con clienti tanto esigenti, Massaro deve aver intravisto, sin dalla prima collaborazione, la possibilità di sfidare se stesso a alimentare la sintonia che lo lega visceralmente al maglio: “Da un cuoco ho bisogno di sapere l’azione per cui necessita del mio coltello, per aiutarlo a eseguirla al meglio, perché l’ideazione della forma si basa sul principio di azione e reazione. È un po’ come nuotare: il corpo assume naturalmente la giusta postura nel momento in cui deve reagire alla necessità di mantenersi a galla e muoversi in acqua. E allora io osservo lo chef, capisco ciò di cui ha bisogno, visualizzo le proporzioni del coltello, utilizzando anche il buon gusto, e inizio a forgiarlo. C’è molto concetto, ma anche molta architettura, decidere la forma è fondamentale per trovare le proporzioni. E io ho scelto di togliere, più che aggiungere: lascio spazio allo studio del taglio”.

Michele Massaro, Coltello Pasta. Photo Christian Bazzo

Michele Massaro, Coltello Pasta. Photo Christian Bazzo

I COLTELLI DI MICHELE MASSARO

Le influenze che alimentano il succitato “buon gusto” sono molteplici: “La musica, ma anche l’arte. Le linee e l’armonia delle forme dei miei coltelli li rendono molto distinguibili, volevo che rappresentassero la mia personalità. Tra i tratti distintivi ci sono la lunghezza del manico e l’incavo che bilancia il coltello per metterci dentro il dito, qualità estetiche e funzionali al tempo stesso”. Dettagli che fanno la differenza rispetto al lavoro di un artigiano, tenuto in grande considerazione da Massaro, purché ognuno si preoccupi di ciò che gli compete: “Gli artigiani dovrebbero limitarsi a fare le cose fatte bene, sfuggendo al rischio di scadere nel pacchiano. La semplicità è un punto di arrivo e c’è bisogno di bravi esecutori. I mastri giapponesi, in tal senso, sono stati i migliori, perché hanno saputo razionalizzare le forme. Eppure, i loro coltelli possono essere disarmonici, perché si preoccupano a tal punto della funzionalità da esserne limitati”. Nel battiferro di Massaro, invece, sono nati coltelli come il Parini 5, evoluzione del deba giapponese per il pesce, pensato per sfilettare, grazie alla punta che entra velocemente, ma al contempo per trinciare ossa e cartilagini, variando l’impugnatura; o il Lopriore, caratterizzato da una lama a due larghezze, per favorire il movimento del polso del cuoco durante una particolare lavorazione. E ancora, lo Spalmaburro, giocato sulle inclinazioni, il Gourmet (ulteriormente “distillato”, in nome di semplicità e pulizia estrema delle linee, nel Dragonfly) e l’Ice rooster, dalla caratteristica forma a testa di gallo, che racchiude i tre strumenti principali per lavorare il ghiaccio: ice pic, coltello e martelletto. Per tutti, Massaro lavora su commissione: la produzione è limitata, ogni realizzazione è pressoché unica e personalizzata. In coerenza con la filosofia del coltellinaio eretico.

Livia Montagnoli

https://michelemassaro.com/

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