L’ingombrante presenza di spazi dismessi, commerciali e industriali, caratterizza sempre più i nostri panorami urbani, connotandone un inesorabile destino di declino. Luciano Crespi nel suo libro Design del non-finito prova a rovesciare lo sguardo, raccogliendo una variegata messe di esperienze internazionali tutte concentrate nel tratteggiare delle ipotesi di riuso possibile, un riuso che costituisce a tutti gli effetti una risignificazione dei luoghi e una speranza praticabile.
Rigenerazione e ristrutturazione nel nuovo libro di Luciano Crespi
La parola “rigenerazione” compare nel sottotitolo del volume e qualifica la differenza tra queste ipotesi e quelle delle tradizionali ristrutturazioni, spesso inaccessibili per ragioni economiche e/o paralizzate da impedimenti burocratici. La rigenerazione comporta invece interventi “leggeri”, agili, il più delle volte temporanei, economicamente sostenibili, il cui spirito è quello della rinascita a partire dalla valorizzazione di ciò che c’è ed è rimasto.
Il libro muove da una sistemazione teorica del concetto di design del non-finito. Si tratta di una cosa diversa dall’intervento su architetture mai concluse – di cui, nel nostro paese, abbiamo tante tragiche testimonianze –, perché, come si legge nel testo “si potrebbe pertanto sostenere che per ricadere nella famiglia del design del non-finito un’opera dovrebbe essere stata precedentemente un avanzo, cioè un’architettura dismessa. Non un’architettura incompiuta. (…) Dovrebbe inoltre non aver perso i segni del tempo (…) Essere destinata a nuove funzioni (…) Essere stata adeguata alle nuove modalità d’uso attraverso provvedimenti di tipo allestitivo, provvisori, reversibili (…) Essere stata rimessa a disposizione del territorio con l’uso di poche, giudiziose risorse anche economiche”.
L’etica dell’impermanente
Tale approccio presuppone un cambio radicale di paradigma. Anzitutto con riferimento alla nozione stessa di design, normalmente ricondotta all’architettura degli interni e che qui invece assurge a “attitudine di progetto” estesa. In secondo luogo il nuovo paradigma oppone all’etica del definitivo un’etica dell’impermanente.
D’altra parte è proprio l’impermanente a segnare profondamente la sensibilità contemporanea. Luciano Crespi ricostruisce un panorama complesso che va dal pensiero scientifico alla sociologia, alla filosofia, all’arte, alla musica. Un panorama cioè in cui il transitorio, il casuale, l’instabile, l’effimero sembrano essere i motivi ricorrenti. Nella crisi dei mondi – in senso valoriale prima ancora che economico, politico e sociale – si delinea uno stato di precarietà diffusa che ne è a un tempo il portato e potenzialmente anche il principio di nuove epistemologie.
È in tale contesto che si fa strada la necessità di approcci progettuali originali, che Crespi definisce “neotopie” per distinguerli dalle grandi utopie del secolo scorso. Cionondimeno tali scenari neotopici, nella loro fluidità, possono assumere un valore euristico e rifondativo.
Cesare Stevan nel suo saggio contenuto nel libro parla di “una pratica articolata e diffusa di ricomposizione, riferita a valori etici ed estetici contemporanei”. Il design del non-finito può essere il cardine di tale pratica, opponendo un’etica della riduzione e della discrezione a ciò che egli definisce “inquinamento architettonico” segnato dalle “architetture spettacolo”.
Tale visione centrata sullo specifico architettonico, tuttavia, la travalica e può contenere indicazioni significative anche per il mondo delle arti visive, analogamente interessato dai fenomeni di “inquinamento visivo” prodotti dalla progressiva spettacolarizzazione del fare artistico, nonché direttamente investito dalla questione del sito in relazione allo statuto dell’opera d’arte.
L’opera e lo spazio nell’arte contemporanea
Le nozioni di opera e di spazio dell’esposizione, infatti, hanno perso via via la loro tradizionale identità separata, per nutrirsi invece l’una della dilatazione dell’altro e viceversa, fino a stabilire rapporti di tendenziale indissolubilità e addirittura sovrapponibilità.
Letto in controluce, il volume di Luciano Crespi pone allora numerosi argomenti di riflessione per l’arte contemporanea. Primo tra tutti implicitamente evidenzia i limiti di un approccio ai luoghi dismessi ridotti a semplici contenitori per esperienze espositive che sostanzialmente ne prescindono, o si limitano a nutrirsi del loro potere suggestivo. Di conseguenza, fornisce spunti metodologici per avventure della “forma” improntate a legare, in una visione fortemente relazionale, lo statuto dell’opera a quello del sito, seppur temporaneamente e nell’economia di una transitazione nomadica in cui si abbandoni ogni ancora di stabilità. Il pensiero scientifico contemporaneo stesso ci orienta verso una visione del mondo in cui le cose esistono solo nel manifestarsi l’una all’altra, ecco allora che gli avanzi architettonici possono costituire un’opportunità per ridefinire lo statuto dell’opera d’arte, oltre che per offrire ai luoghi la possibilità di una rinascita. La chiave epistemologica la possiamo trovare in quanto scrive Marco Zanini in conclusione del volume: “Qui non si sceglie il materiale di costruzione in base a un’idea, ma all’opposto il materiale a disposizione diviene fonte di ispirazione per il progetto”. È un saper vedere, un’attitudine fatta di ascolto e anche di saper perdersi, nell’accezione che il termine ha nell’Agamben de L’avventura. L’attitudine che può portare il fare artistico verso un’erranza tesa a disegnare nuovi scenari in cui l’interazione e la trasformazione continua siano i termini qualificanti dell’esperienza estetica.
Ermanno Cristini
Luciano Crespi
Design del non-finito. L’interior design nella rigenerazione degli «avanzi»
Postmedia books, Milano 2023
pag. 192 € 21,00
ISBN 9788874903498
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