Il Novecento fu il secolo dei grandi nomi italiani a cavallo tra architettura e design. Pochi di essi, però, sono declinati al femminile. Progettare edifici era un mestiere da uomini: frase che Cini Boeri si sentì ripetere all’orecchio dal suo “maestro” Gio Ponti – e non solo da lui – più e più volte. Ma, nonostante ciò, proseguì per la sua strada, entrando nell’Olimpo degli architetti accanto alla collega (altro caso assai raro) Gae Aulenti. In questo 2024 ricorrono i cento anni dalla sua nascita: un buon motivo per riscoprire la storia di questo personaggio, e dei progetti ancora attualissimi che portano il suo nome.
La storia di Cini Boeri
Una partigiana che studiò architettura
Il suo vero nome era Maria Cristina Mariani da Meno (Milano, 1924 – 2020). Ma tutti la conoscevano come la Cini: nomignolo affettuoso datole dai fratelli maggiori, che la chiamavano sempre Picinin perché era la più piccola tra loro.
Nata a Milano nel ‘24, durante la Guerra si trasferì con la famiglia sul Lago Maggiore, costretta ad abbandonare la città per il pericolo dei bombardamenti. Lì collaborò con i partigiani, e si innamorò di uno di loro – Renato Boeri – suo futuro marito, da cui avrebbe avuto tre figli. Uno di essi, Stefano, diventerà il celebre architetto del Bosco Verticale.
Di ritorno a Milano, desiderando per sé un destino diverso da quello della moglie casalinga, si iscrisse al Politecnico, per studiare architettura. Scelta coraggiosa, che pochissime altre avrebbero tentato in quell’epoca, come ben si può intendere dal fatto che, quando si laureò nel ‘51, fu una delle sole tre donne di quell’anno.
Dall’apprendistato con Gio Ponti al suo studio a Milano
Negli Anni Cinquanta, gli Ordini professionali non esistevano ancora. Per entrare nel settore era necessario passare attraverso lo studio di qualche nome già affermato. Così fece anche Cini Boeri, che cominciò il suo apprendistato presso Gio Ponti. Fu un’esperienza formativa, ma non semplice: il grande architetto non vedeva bene il fatto che le donne avessero accesso a questa professione. Innumerevoli volte le disse che avrebbe fatto meglio a dipingere, lasciando agli uomini il compito di progettare gli edifici… questi tentativi di scoraggiamento non fecero che rafforzare la sua determinazione. Dopo Ponti, fu accolta nello studio di Marco Zanuso, il quale si dimostrò molto più aperto, lasciandole spazio per crescere.
Se i primi progetti che si vide affidati erano limitati agli interni e all’arredamento, a poco a poco crebbero in importanza e responsabilità. Fino ad arrivare ai veri incarichi di edilizia: il mestiere quasi esclusivo degli uomini.
Nel 1963, pronta a spiccare il volo, Boeri aprì il suo studio in Piazza Sant’Ambrogio a Milano, dove lavorò fino alla fine.
Una donna architetto nella Milano del Secondo Novecento
Cogliendo il fervore degli Anni Sessanta e Settanta, entrò nel pieno della sua attività, dedicandosi tanto alla progettazione di case, quanto di oggetti ed elementi d’arredo. E non si sottrasse neanche alla vita di società. Frequentava le serate di teatro al Piccolo, conosceva bene Giorgio Strehler, e divenne amica di famiglia degli Enaudi, per cui progettò casa e uffici. E poi, ancora, entrò a contatto con grandi artisti dell’epoca: Arnaldo Pomodoro, Max Ernst e persino Mirò.
Morì a novantasei anni nel 2020, dopo una vita di lavoro portato avanti con costanza e determinazione, mosso dalla sua filosofia progettuale democratica e rivoluzionaria.
L’architettura e il design secondo Cini Boeri
Come era vero per altri personaggi rivoluzionari dell’epoca, tra cui Vico Magistretti e Achille Castiglioni, Cini Boeri aveva una visione democratica del design. A dir suo, il compito di un bravo architetto era quello di migliorare la qualità della vita di un numero sempre maggiore di persone, attraverso prodotti di uso quotidiano più pratici e funzionali. L’oggetto di design non era un lusso per pochi, ma un comfort proteso all’accessibilità.
Nella mente di Boeri c’era prima di tutto l’utilizzatore finale: cliente specifico, o utente medio che fosse. Il suo segreto era lavorare a contatto con loro, capirne le esigenze e i problemi da risolvere.
Un caso a sé erano poi le abitazioni e gli edifici, tutti sviluppati con una filosofia di rispetto per l’ambiente circostante molto rara per l’epoca. Ogni sua casa era concepita per integrarsi con la natura, interagendo con il paesaggio in un dialogo architettonico armonico e unitario. Un esempio è la villa di Usmate, pensata per inserirsi in un bosco di betulle, di cui neppure un albero fu tagliato durante la realizzazione.
I più grandi progetti di design di Cini Boeri
Molti oggetti e mobili progettati da Cini Boeri sono entrati nella storia e nelle case degli Italiani. Alcuni di essi ebbero così successo da essere ancora oggi in produzione. Ecco due pezzi davvero iconici, che si aggiudicarono uno il premio Compasso d’Oro, e l’altro un ruolo da co-protagonista in un film.
La poltrona Ghost di Cini Boeri per Fiam
Inizialmente, l’idea di realizzare una poltrona di vetro non le piaceva affatto. Sarebbe stata troppo fredda, troppo dura… troppo scomoda per una designer come lei, che pensava prima di tutto al comfort e all’utilità per il cliente finale. Poi, però, davanti al collega giapponese Tomu Katayanagi – che la incuriosì mostrandole come fosse possibile fare una poltrona vitrea trattandola come un origami – si convinse. E dalla collaborazione tra i due nacque la Ghost: una seduta di cristallo realizzata a mo’ di kirigami.
… Origami o kirigami: entrambe sono tecniche giapponesi di piegatura della carta. Ma mentre la prima si basa solo sulle pieghe, nella seconda si possono praticare anche dei tagli. Ed è appunto così che viene realizzata la poltrona in questione.
Si parte da una lastra di cristallo – un unico pezzo spesso dodici centimetri – che viene tagliata con un getto d’acqua. Poi passa nelle mani degli artigiani, la cui maestria è essenziale per riuscire a piegarla a caldo, senza che si rompa.
Nata nel 1987, la poltrona Ghost è ancora oggi in commercio, prodotta da Fiam. Il suo design unico le è valso il premio Compasso d’Oro alla carriera nel 2022.
I bicchieri Cibi di Cini Boeri per Arnolfo di Cambio
Il secondo pezzo iconico disegnato da Boeri che merita una menzione sono i bicchieri della serie Cibi. Furono progettati nel 1972 come parte di una collezione più ampia di cristalleria per la tavola, prodotta dall’azienda artigiana toscana Arnolfo di Cambio. Un design modernissimo – base squadrata ma con linee e spigoli morbidi – che attirò l’attenzione di un personaggio particolare.
Si racconta che nell’81, presso il negozio di Arnolfo di Cambio a Beverly Hills, si fosse presentato un signore molto interessato ad acquistare un set di questi bicchieri. Pochi mesi dopo, i Cibi comparvero nelle mani di uno dei protagonisti del film Blade Runner, più volte inquadrato mentre beveva il whisky. Da allora, il modello è ancora in vendita, etichettato proprio come Blade Runner: l’unico e inimitabile bicchiere da whisky old fashioned. Frutto (dimenticato) della mente creativa di Cini Boeri.
Emma Sedini
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