Il senso dei Millennial per il design. I designer nati negli anni ’80 al Salone del Mobile
Non più emergenti, non ancora venerati maestri: sono i designer nati tra la seconda metà degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, che oscillano tra voglia di cambiare il mondo un progetto al-la volta e disillusione. Ecco chi sono
VITO NESTA (1987)
Vito Nesta ha cuore d’artigiano e occhi rivolti a vasti orizzonti. Nei primi tempi della sua attività progettuale utilizzava “reperti” della sua storia personale – utensili da cucito della nonna o pennelli da barba del nonno – per costruire arredi o oggetti decorativi eclettici, ricchi di vissuto individuale. Poi avvenne il salto nel mondo della produzione industriale – fra i suoi interlocutori, aziende come Sambonet, Riva 1920, Roche Bobois, Wallpaper San Patrignano, Limonta, Jannelli & Volpi –, che gli ha permesso di appropriarsi di una nuova consapevolezza professionale e di conoscere nuove realtà. “Credo che oggi i designer esordienti non capiscano che un modo di iniziare il loro percorso sia dedicarsi all’autoproduzione e all’artigianato, io ho iniziato così”, afferma Nesta che, partito con il suo studio nel 2013, ha assistito in dieci anni a mutamenti profondi nel settore del design. Come affrontare le grandi sfide del presente? “A mio parere il design sta vivendo un momento difficile, il cambio di rotta è avvenuto con l’avvento dei social, quando i designer si sono rintanati nel loro studio pensando che i canali digitali fossero la loro vetrina sul mondo. Questo individualismo ci sta allontanando dal confronto, dalla condivisione dei pensieri, da progetti che servano a migliorare la società, e quindi l’uomo. Penso si debba tornare al dialogo, a lavorare insieme su progetti che non assolvano solo a funzione estetica, industrializzazione, ma parlino di fragilità, diversità, ambiente, evoluzione, cambiamento …”.
Dalla nativa Puglia Vito Nesta, dopo gli studi di interior design a Firenze, una quindicina d’anni fa si è trasferito a Milano dove ha trovato terreno fertile. Sensibile ai modelli culturali che qui si sono configurati a cavallo dei due millenni, ha dato vita per il marchio Grand Tour alla collezione di porcellane e complementi d’arredo Alchimie, co-firmata con Alessandro Guerriero, fondatore negli anni Settanta dello Studio Alchimia insieme a Mendini, Sottsass, De Lucchi, Branzi e altri.
Verrà presentata durante il Fuorisalone presso lo Studio Vito Nesta nella mostra La pancia del Guerriero, curata da Sara Ricciardi, ex assistente del maestro milanese e a sua volta nota designer. Frutto di una ricerca condivisa, i pezzi esprimono straordinaria energia grazie a un’affabulazione inesauribile e visionaria. “Alchimia cinquant’anni fa includeva persone che volevano dare un segnale alla società. Con Alessandro vorrei fare gruppo. È l’ultimo maestro che continua a proporre cose interessanti anche se in sordina. Insieme – due generazioni a confronto – abbiamo rivisitato icone storiche, accostando porcellane, tessili e arredi di oggi a pezzi d’epoca reperiti da Guerriero in collezioni e gallerie private”. Ne scaturisce l’invito al viaggio, nel tempo e nello spazio, tra memoria e magia, conservazione e immersione nella contemporaneità: un vero Grand Tour, come piace al designer pugliese.
Alessandra Quattordio
Studio Vito Nesta
Via Ferrante Aporti 16
STUDIO NAVA+AROSIO
Paolo Emanuele Nava (1989)
Luca Maria Arosio (1988)
“Importante per un designer sarà ricordare che ogni oggetto che viene prodotto avrà una «fine», e che quella «fine» non dovrà essere un peso per le generazioni future, bensì qualcosa di cui fin dall’inizio si sono valutate responsabilità e ripercussioni sociali”. Così si esprimono Paolo Emanuele Nava e Luca Maria Arosio, fondatori nel 2014 dello studio Nava+Arosio, con base a Milano e Lissone, che si occupa di product design, art direction e, soprattutto per spazi pubblici, interior design. Una nuova consapevolezza da parte dei designer della generazione dei Millennial? Nava e Arosio non hanno dubbi: “Certamente un tratto che ci accomuna è l’immissione di nuovi valori sociali nel design. D’altra parte, ci unisce anche l’uso dei canali digitali per comunicare i propri progetti e dare un volto alla propria cifra stilistica”.
Se ogni studio deve avere una sua filosofia progettuale modulata sul presente, quella del duo milanese è racchiusa in due concetti cardine: l’humanistic design, che pone al centro l’uomo e le sue necessità materiali e immateriali, e l’experience design, che induce a fare degli oggetti uno strumento di gratificazione personale, sia in termini funzionali che estetici, con cui interagire. Prova ne è la seduta Pila 47 disegnata nel 2016 per Rubelli. Modellabile dal peso e dall’ingombro del corpo umano grazie alla sua natura prettamente tessile, si configura inoltre, sulle sue superfici circolari, come schermo su cui artisti in questi anni hanno proiettato, e continuano a proiettare, i loro segni creativi in un processo di interazione dai risvolti autoriali e talvolta ludici, gettando un ponte tra produzione industriale e pezzo unico: Manu Alguerò, Stefano Bombardieri, Vanni Cuoghi, Flavio Lucchini e altri.
Risponde a principi interattivi la novità proposta da Giorgetti per il Salone 2024 e presentata sia a Rho che nello spazio di via Spiga 31: la lampada Upward che è destinata a esaltare le potenzialità scenografiche ed emozionali dell’interior domestico che oggi, a parere di Nava e Arosio, deve colpire tutti i sensi, udito e olfatto inclusi. Nava precisa: “Parliamo di scenografia funzionale dove attraverso i nostri ‘oggetti di scena’ si esprime l’experience design. Upward è una scultura capace di integrarsi nello spazio riflettendolo e plasmandolo. Una lampada oggi non può essere più solo una lampada, deve rappresentare un’esperienza”. Le sfere digradanti che la compongono sono realizzate come corpi specchianti dagli effetti metallici, sulle cui superfici si può leggere l’ambiente rimodellato in chiave onirica.
I designer continuano a perseguire così l’approccio surreale che fa del luogo del quotidiano un teatro di vita. Come aveva annunciato il progetto Visio, concepito da Nava+Arosio per Masiero, dove la visionarietà gioca un ruolo determinante là dove a parete si disegnano volti i cui occhi, orecchie, naso e bocca sono fonti luminose. Presentato al Fuorisalone 2023, ha vinto nel 2024 il Good Design Award.
Alessandra Quattordio
Giorgetti Spiga – The Place
Via della Spiga 31
JOHANNA SEELEMANN (1990)
“La terminologia è passata da Cambiamento Climatico, a Crisi Climatica, all’attuale Climate Breakdown, e il livello di urgenza è fortemente aumentato. La richiesta di sostenibilità nel design c’è sempre stata, ma è diventata sempre più forte e le industrie si stanno adattando. Tuttavia, anche il livello di abuso della narrativa del greenwashing è aumentato”. Per questo Park Associati invita nei suoi spazi la designer tedesca Johanna Seeleman, il cui lavoro indaga materialità e forme proprie del quotidiano, formulando soluzioni alternative e suggestive, oggi esposte nei maggiori musei. Con il suo approccio multidisciplinare, la designer propone Micrographia, tre opere dove le logiche industriali si traducono in una dimensione più sostenibile e in un approccio ambientale esteso a tutte le forme di vita. In collaborazione con Ricehouse, Arche3d, Primat e Vivaio Bicocca, per gli spazi di Park Hub progetta la riproduzione in scala dei “panettoni” – i dissuasori urbani ideati da Enzo Mari – sotto forma di bombe di semi da lasciare nello spazio urbano per vedere germogliare una nuova biodiversità. Nei rivestimenti delle facciate, Seeleman individua poi la possibilità di utilizzo come nidi per uccelli e insetti, allargando la funzionalità dell’artificiale alle necessità delle altre specie viventi. La terza proposta è costituita da un sistema di irrigazione naturale per terreni in cui l’acqua tende a evaporare ancora prima di permeare, costituito da contenitori in terracotta le cui forme riprendono elementi industriali in grado di rilasciare lentamente l’acqua arricchita di sostanze nutritive. Un modo per rispondere concretamente alle sfide del presente, soprattutto nei contesti urbani. “Credo che le sfide più importanti di oggi abbiano a che fare con il cambiamento di consumo e produzione, i materiali utilizzati e le loro infrastrutture, l‘accesso e l’implementazione di nuove idee nell’industria” afferma la designer. “Ciò comporta anche la ricerca di modi fruttuosi per integrare le modalità fondamentali del nostro modo di vivere e di consumare, ma anche la ricerca di narrative che ci facciano cambiare idea, modificando i nostri comportamenti”.
E, a proposito di comportamenti, una presa di coscienza sarebbe necessaria anche nel mondo social, con cui tutti, progettisti inclusi, devono confrontarsi oggi : “Penso che le opportunità di emergere stiano cambiando, dato il panorama di opzioni di visibilità raggiungibili attraverso i media: se da un lato è diventato più facile raggiungere potenziali collaboratori, dall’altro penso che ora ci sia anche una sovrastimolazione dei media, dove piattaforme come Instagram sono inondate di pubblicità e di contenuti che distraggono”.
Sophie Marie Piccoli
Park Hub
Via Garofalo 31
PARASITE 2.0
Stefano Colombo (1989)
Eugenio Cosentino (1989)
Luca Marullo (1989)
Parasite 2.0 è uno studio nato nel 2010 da Stefano Colombo, Eugenio Cosentino e Luca Marullo. La ribellione alla concezione dogmatica dell’ambiente accademico nella quale i tre si sono incontrati ha dato vita a progetti e installazioni riconosciuti e premiati per il loro carattere indipendente e informale. Il trio, inserendosi nel programma di WE WILL DESIGN 2024, tenta di indagare le nuove possibilità dell’abitare con The Convivial Laboratory – The Camp, un vero e proprio campeggio, posizionato sulla terrazza di BASE, dove curatori, operatori culturali, designer apriranno un dialogo collettivo con il pubblico sulle possibilità e le sfide del presente. Il progetto si aggiunge al dibattito evidenziato dalla “protesta delle tende” del 2023, nell’intento di creare un luogo in cui sostare, incontrarsi e leggere criticamente la complessa tematica della coesistenza in contesti iper-globalizzati.
“Interagendo con un mondo in continuo cambiamento, è un ottimo segno che le discipline progettuali siano in mutamento”, raccontano i designer. “Quello che crediamo sia cambiato sono due fattori: da un lato l’apertura verso le nuove generazioni. Dall’altro, in Italia le pratiche ibride sono state all’inizio, a parer nostro, poco comprese. Se non si desiderava stare nel recinto dell’architettura, o in quello del design, o in quello dell’arte, ma si preferiva nuotare liberamente senza per forza definirsi, non si era ben visti e compresi”. E oggi? Secondo loro, sarebbe in corso un processo di apertura e i recinti professionali non sarebbero più così saldamente ancorati al suolo. “L’approccio comune delle nuove generazioni è una voglia di rivalsa. Non si vuole più passare dal classico ciclo università-stage-stage-stage-stage-studio professionale indipendente. La questione del lavoro non pagato, il forte accademismo, paghe da fame e una cultura del lavoro non proprio etica per non dire tossica, hanno spinto le nuove generazioni a lanciarsi in avventure autonome. In tanti oggi piuttosto che rimanere intrappolati nel ciclo infinito di stage, provano una carriera personale o in gruppo. Ma si sa: spesso dalla merda nascono i fiori”. E rispetto alle sfide del presente che è chiamato a raccogliere il designer oggi? ”Senza ombra di dubbio le più grandi sono la questione ambientale e l’emergenza climatica. Spesso al primo sopralluogo chiediamo di portarci nei depositi dove vengono conservati gli scarti di progetti precedenti. È sempre più comune per noi partire da lì nel processo progettuale”.
Sophie Marie Piccoli
We Will Design – BASE Milano
Via Bergognone 34
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