Lavorare tra arte e architettura: intervista a Davide Trabucco
Project manager di Palazzo Bentivoglio a Bologna, che fino al 30 giugno ospita la mostra “Luigi Ghirri. Atelier Morandi”, Davide Trabucco ha intrapreso un percorso professionale alternativo, tra arte, architettura e curatela
Moltissimi studenti di architettura decidono di prendere una via diversa da quella della professione più classicamente intesa, così da mettere la passione per questa arte a servizio di altre strade, seppur in settori affini. L’artista e curatore Davide Trabucco (Bologna, 1987) è un esempio perfetto di questa tendenza. Vive e lavora a Bologna e le sue opere sono presenti nelle collezioni private della Regione Emilia-Romagna, di Allianz Bank e del Palazzo Bentivoglio, oltre ad essere state esposte in diverse gallerie ed istituzioni pubbliche o in eventi internazionali: dalla London Design Biennale a Palazzo Reale di Milano, dalla Galeria de Arquitectura di Porto fino al Museo di Castelvecchio di Verona. Ha all’attivo molti progetti artistici personali, incluso confórmi”Le forme non appartengono a nessuno”, in cui trasforma varie tipologie di immagini artistiche e non, creando nuove realtà e concetti, tra assonanze e dissonanze. Un lavoro da quasi 80mila follower su Instagram, perché accattivante, ma allo stesso tempo ricercato. Parallelamente, negli anni ha lavorato su commissione per clienti privati come Kartell, Zanichelli, Pininfarina e Valentino.
Oggi è anche project manager per le attività di Palazzo Bentivoglio a Bologna. Lo abbiamo intervistato, per capire di più sul suo percorso e sul suo lavoro. Mutevole e raffinato, esattamente come lui.
Intervista all’artista e curatore Davide Trabucco
Il tuo lavoro è molto legato all’architettura, seppur tu abbia deciso di non finire gli studi universitari. Qual è stata la curva che ti ha portato a prendere un’altra strada, nonostante la passione per la materia sia evidente?
Nel 2012 ho vinto un bando di concorso della Fondazione Collegio Artistico Venturoli, fondata nel 1826 grazie al lascito e per volere dell’architetto bolognese Angelo Venturoli. Si tratta di un collegio che in origine serviva per la formazione dei giovani tra i 18 e i 20 anni per poi accedere all’Accademia delle Belle Arti. Ora accoglie studenti dai 19 ai 30 anni, offrendo uno luogo ad uso gratuito per 12 anni, per dare spazio alla creatività e allo studio. Sono entrato nella Fondazione nel 2011 e negli anni trascorsi al suo interno sono entrato in contatto con molti artisti, e questo ha cambiato la mia prospettiva.
Come hai deciso di partecipare a questo bando?
Il concorso è aperto a persone che lavorano già nell’ambito artistico, oppure a studenti di Architettura e delle Belle Arti. Sicuramente in ambito accademico mi mancava la sperimentazione e l’approfondimento, uno spazio libero dove studiare ed esprimermi, contaminarmi.
Cosa senti di aver trattenuto di più degli anni di studio?
Mi sono sicuramente portato via il saper indagare gli spazi e il progettare, che è un’attitudine, un metodo che resta ed è fondamentale anche quando si fa arte; saper organizzare il processo è utile sia per i progetti privati che per quelli di curatela.
E come vivi (o come hai vissuto) il tuo cambio di percorso?
Ho trovato un percorso alternativo che mi appaga; in questo sicuramente l’ideazione del progetto confórmi ha avuto un ruolo importante; ma sottolineo, soprattutto per i più giovani, che la mia storia è una eccezione, che non sempre questa strada alternativa è semplice e percorribile. Ho certamente delle competenze, ma sono stato anche molto fortunato.
I progetti di Davide Trabucco
Esiste un limite tra arte e architettura?
Mi piace stare a cavallo tra arte e architettura. Il limite forse sono le competenze; è importante usare al meglio un linguaggio chiaro. Uno dei miei più grandi miti è Michelangelo: il vestibolo della Biblioteca Medicea Laurenziana è architettonicamente un capolavoro, ma lui ha dipinto anche la Cappella Sistina.
Archetipi è un tuo lavoro che racconta un po’ questa visione.
Si tratta di un lavoro primordiale; ho iniziato indagando gli archetipi dell’architettura, partendo dalla loro definizione sul dizionario che è meno vincolante di quello che noi pensiamo. “La scala è una successione di scalini”: è un aspetto affascinante, i singoli elementi vengono dati un po’ per scontati, siamo noi che gli diamo un limite, che forse non hanno.
Qual è il tuo lavoro artistico al quale sei più legato?
Difficile scegliere, ma di istinto direi Eteronimi. Si tratta di un’installazione realizzata su invito per Galeria de Arquitectura, uno spazio nel centro di Porto gestito dagli architetti Andreia Garcia e Diogo Aguiar. Mi chiesero di eseguire dei confórmi sul Portogallo, ma a me non interessava, quindi pensai a qualcosa di diverso. Nel 2018, tra maggio e agosto, iniziai a collezionare 1500 piante di architetture portoghesi di qualsiasi epoca, ridisegnandole. Le ordinai dal quadrato fino alle forme sempre più complesse, realizzando poi degli stencil sul muro della galleria, con l’idea di raccontare la complessità dell’architettura portoghese. Accostandole ho notato che c’erano piante uguali, ma di epoche molto lontane tra loro; l’effetto visivo è la creazione di una sorta di alfabeto immaginario dell’architettura.
La mostra su Ghirri e Morandi a Palazzo Bentivoglio
Nell’ultimo periodo al lavoro da artista, stai affiancando quello di curatore.
Durante il periodo dell’emergenza Covid, ho cambiato prospettiva e priorità ed è arrivata una bella opportunità. Lavoro come project manager di Palazzo Bentivoglio a Bologna, una realtà che raccoglie un’importante collezione privata. Sono inoltre curatore di Garage Bentivoglio, un piccolo spazio espositivo, una vetrina in cui allestiamo temporaneamente un’opera della collezione per un mese circa, trovandole una nuova dimensione, fruibile solo frontalmente.
Di cosa ti stai occupando ora?
All’interno degli spazi sotterranei di Palazzo Bentivoglio abbiamo organizzato una mostra monografica dedicata alle foto dell’Atelier Morandi di Luigi Ghirri, in collaborazione con l’archivio omonimo, per celebrare i sessant’anni dalla scomparsa di Giorgio Morandi. Ho ideato l’allestimento, per ricreare l’ambiente-studio di Morandi, recuperando e riconfigurando l’allestimento di Felicissimo Giani realizzato da Franco Raggi. Quando progetto un allestimento, come in questo caso, per me è molto importante pensare a dargli una seconda vita in ottica di sostenibilità.
Silvia Lugari
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