L’artista disabile che è diventato designer per tornare a creare (affinché altri possano fare lo stesso)
Nella sua prima vita, Abdeljalil Makhloufi studiava calligrafia e realizzava graffiti sui muri. Nella seconda, dopo lo schianto in auto che lo ha reso tetraplegico, sviluppa protesi personalizzate stampate in 3D per permettere ai pazienti dell’Unità Spinale di Niguarda di impugnare penne e pennelli
Se il termine non fosse abusato, potremmo dire che quella di Abdeljalil Makhloufi (Ait Sedrate, 1988) è una storia di resilienza. Il “turning point”, il momento in cui tutto cambia, arriva nel 2015, quando il giovane writer e calligrafo di origine marocchina rimane coinvolto in un incidente stradale che gli provoca una gravissima lesione spinale. Dopo essere stato ricoverato per un anno e mezzo nell’Unità Spinale dell’Ospedale Niguarda di Milano, comincia un percorso di riabilitazione e accarezza il sogno di poter tornare a disegnare grazie alle protesi fatte con materiali termoplastici che gli vengono presentate dai terapisti occupazionali. Il problema è che questi ausili non sono perfetti, anzi: “Innanzitutto hanno una durata limitata perché si rompono facilmente”, spiega Makhloufi. “Essendo modellati direttamente sull’arto o sulla parte del corpo interessata, poi, sono assai difficili da replicare in serie”.
Dalla scansione in 3D del polso alla protesi di Makhloufi
Questi limiti possono essere aggirati usando la stampa 3D, una tecnologia usata in ambito medico fin dai primi Anni Novanta e allora in pieno sviluppo. Makhloufi si iscrive allora a un corso di modellazione tridimensionale, con qualche difficoltà: non potendo frequentare le lezioni in presenza per via della sua disabilità, deve infatti aspettare che venga attivata la possibilità di seguirle da remoto. In autonomia e a sue spese, decide inoltre di scansionare il proprio polso ottenendo un modello virtuale da utilizzare con il software di modellazione in 3D, grazie al quale può cominciare da autodidatta a realizzare protesi per sé e quindi tornare a fare arte. A questo punto, la sua esperienza diventa un faro per gli altri pazienti con lesioni spinali e per i professionisti che li assistono. I terapisti occupazionali gli propongono di mettere a disposizione il suo know-how collaborando prima con l’associazione Spazio Vita e poi, come volontario, con l’Unità Spinale del Niguarda nella quale ha trascorso la sua lunga degenza. Un modo, dice, per “sdebitarsi” con l’ospedale che lo ha aiutato a imparare a rendersi il più possibile autonomo nella sua vita. Questo approccio supera il co-design, in cui gli utenti vengono coinvolti in tutte le fasi del progetto portando i loro bisogni e desideri, perché è il paziente stesso, o l’ex paziente, a prendere in mano le cose facendosi designer.
L’iter progettuale innovativo dell’artista Abdeljalil Makhloufi
Il lavoro coi pazienti disabili è sartoriale e permette loro di avere degli ausili fatti su misura, replicabili e non presenti sul mercato. Ma come avviene in concreto? “La fase di prototipazione comincia con la quotatura – ovvero la misurazione – dopodiché si passa alla creazione dell’oggetto da zero, modellandolo al computer, e poi allo slicer, il software nel quale vengono inseriti i parametri di stampa”, racconta il designer. “Infine si prova l’ausilio stampato in 3D sul paziente, insieme al medico e al terapista occupazionale, decidendo con loro il materiale più indicato in base alle fragilità del disabile e, nel giro di due o tre fasi di prova, si giunge alla soluzione finale”.
Le protesi di Abdeljalil Makhloufi presentate alla Venice Design Week
Questo metodo, insieme alla storia personale di Makhloufi e al patrimonio di relazioni che ha costruito negli anni con personale medico e pazienti, è confluito nel progetto Relate, curato da M. Abisso e con il supporto di A. Mariani (Fablab Cuneo) e presentato a Venezia presso Omnium Art Department, in calle San Biasio, in occasione della Venice Design Week 2024.
Giulia Marani
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