Donne e designer. Il progetto al femminile si racconta al Castello Sforzesco di Milano

Una mostra fotografica organizzata dall’Istituto Italiano di Fotografia mette in evidenza l’apporto delle donne nei settori del design della creatività attraverso una serie di ritratti intimi di progettiste di fama internazionale. E ci fornisce l’occasione per fare il punto sulla questione del genere con due professioniste di lungo corso

Qui non ricamiamo cuscini!” è la frase sprezzante con cui, secondo uno degli aneddoti più famosi nel mondo del progetto, una giovane Charlotte Perriand venne liquidata da Le Corbusier nel 1927, dopo essersi presentata sulla porta del suo studio parigino con sottobraccio un faldone pieno di disegni. Da allora è passato quasi un secolo e, se tante figure di designer geniali del passato penalizzate in vita sono state tolte dal cono d’ombra nel quale erano state relegate, esiste ancora una sproporzione tra la quantità di ragazze sui banchi universitari nelle facoltà di Architettura e Design e il numero esiguo di donne che riescono ad accedere alla “vetrina” della professione e rendersi visibili anche ai non addetti ai lavori.

La mostra al Castello Sforzesco: 10 fotografi per 32 designer

Per chi volesse conoscere meglio l’alta metà del cielo, una mostra fotografica allestita nella Sala Bertarelli del Castello Sforzesco di Milano (fino al 7 febbraio) presenta 32 ritratti di progettiste internazionali realizzati da dieci fotografi e fotografe dell’Istituto Italiano di Fotografia. La curatela è della designer Maria Cristina Hamel, che fin dalla scelta del titolo – Design al femminile, il progetto sensibile– adotta una prospettiva dichiaratamente di genere mettendo l’accento su una specificità, vera o presunta, della creatività delle donne.

Le professioniste che hanno partecipato al progetto – da Paola Navone a Elena Salmistraro, passando per Marialaura Irvine, Sonia Pedrazzini, Luisa Bocchietto, Kazuyo Komoda e tante altre ancora – sono state lasciate libere di raccontarsi attraverso i luoghi di Milano con i quali sentono un legame emotivo particolare e attraverso degli oggetti-feticcio che le rappresentano dal punto di vista artistico. Gli scatti sono stati raccolti anche in un volume, abbinati a testi evocativi scritti dalle protagoniste delle immagini.

Licitra Nicola Navone Paola Courtesy Istituto Italiano di Fotografia
Licitra Nicola Navone Paola Courtesy Istituto Italiano di Fotografia

Genere e professione: l’esperienza di Mara Servetto

Ma che cosa significa oggi essere donna e designer? C’è ancora una questione di genere o parliamo di un residuo ideologico degli Anni Settanta? Lo abbiamo chiesto a due designer coinvolte nell’operazione di Maria Cristina Hamel e immortalate nelle fotografie esposte al Castello.
Mara Servetto ha fondato lo studio Migliore+Servetto con Ico Migliore nel 1997 e nella sua carriera ha progettato importanti musei e luoghi culturali con un approccio che integra tecnologia e narrazione ma anche oggetti di design. Ha posato davanti all’obiettivo di Stefano Pozzi con il M.lle Pogani Mirror disegnato nel 1992 per Twergi-Alessi, uno specchio portatile dalle linee morbide che si ispira alle sculture di Brancusi. “Nonostante i passi avanti, essere donna oggi richiede ancora un effort in più per conquistare la credibilità”, spiega la progettista, impegnata in prima persona in un programma di mentorship del Comune di Milano che consiste nell’affiancare una giovane under 30 aiutandola a canalizzare il suo talento. “Nel mio percorso, mi sono spesso scontrata con pregiudizi impliciti che talvolta tendevano a ridimensionare il mio ruolo, ma che ho potuto superare facendo leva sulla consapevolezza. Purtroppo questi pregiudizi sono parte di un retaggio culturale che inevitabilmente richiede tempo per poter essere estirpato. Per questo è necessario un lavoro di educazione e informazione strutturale su questi temi”.

Bambole e treni. L’osservatorio sul femminile di Eliana Lorena

Eliana Lorena nella sua lunga carriera ha lavorato moltissimo su temi come il colore e la trama che già al Bauhaus venivano associati all’universo femminile, muovendosi però in territori maschili come l’automotive e il design dei trasporti. Tra i suoi lavori più noti, attualmente esposti all’ADI Design Museum in una mostra dal titolo 2008-2025 Colore, Segno, Testo, ce n’è uno che ha come punto di partenza un oggetto simbolo della standardizzazione dei canoni estetici femminili, la bambola Barbie, sapientemente de-omologata e rivestita con abiti su misura realizzati con tessuti unici che riflettono la diversità delle culture del mondo. “Ho lavorato a lungo con gli uomini, in particolare nel mondo dell’automobile che vedeva come marginali i colori, i materiali e le finiture che sono sempre stati il tema della mia vita e qualche volta mi è capitato di percepire una certa ostilità”, racconta ad Artribune.Quando abbiamo presentato il treno Italo all’Italdesign di Giugiaro ero l’unica donna presente in mezzo a oltre 50 persone tra designer, ingegneri e vertici aziendali. Prima ancora, ho avuto la fortuna di lavorare con alcuni maestri assoluti del design, da Vico Magistretti a Gaetano Pesce, Mario Bellini, Enzo Mari, personaggi carismatici che si rivolgevano a me con grande rispetto per approfondimenti in campo tessile ma non segnalavano questo mio apporto nella firma dei progetti”.

Campanella Marialucia Raffaella Mangiarotti Courtesy Istituto Italiano di Fotografia
Campanella Marialucia Raffaella Mangiarotti Courtesy Istituto Italiano di Fotografia

Donne designer o designer tout court?

Nel titolo della mostra fotografica curata da Maria Cristina Hamel si fa riferimento al “progetto sensibile”. Esiste secondo voi una specificità femminile nella vostra professione, o una maniera particolare di progettare? “Non parlerei di una metodologia unica, ma piuttosto di un approccio che spesso incorpora apertura, empatia e una visione inclusiva… Questi elementi trovano nelle professioniste uno spazio di espressione particolarmente significativo. La progettazione è, prima di tutto, un atto di ascolto e di interpretazione delle necessità dell’altro, e un approccio più attento può fare la differenza”, risponde Mara Servetto. “Ragionare sul genere non è una quota rosa, personalmente non celebro il design al femminile ma semplicemente il mio ruolo di designer. Non credo a una conduzione del progetto “al femminile”, semmai a un’attenzione e a una cura che sono collegate agli altri ruoli che ci troviamo a ricoprire nella nostra vita”, spiega Eliana Lorena. “Saltare da un ruolo all’altro può rappresentare una difficoltà, ma c’è anche un accoglimento metodologico. Per quanto mi riguarda, la maternità, arrivata tardi proprio per la mia totale dedizione alla professione, ha senz’altro cambiato il mio modo di progettare”.

Giulia Marani

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Giulia Marani

Giulia Marani

Giornalista pubblicista, vive a Milano. Scrive per riviste italiane e straniere e si occupa della promozione di progetti editoriali e culturali. Dopo la laurea in Comunicazione alla Statale di Milano si specializza in editoria a Paris X-Nanterre. La passione per…

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