Tutto quello che c’è da vedere ad Alcova 2025 alla Design Week di Milano

Installazioni suggestive che parlano sia agli occhi che alle orecchie o al naso, progetti di ricerca dall'animo sostenibile, collettive di designer e artigiani da Paesi lontani e poco battuti: ecco che cosa ci è piaciuto nelle quattro location di questa edizione. C'è anche il Fuori-Alcova. Fino al 13 aprile

L’avvicinamento a questa edizione di Alcova – in scena dal 7 al 13 aprile – era stato accompagnato da una serie di polemiche, prima per la decisione di legare la visita di una delle sedi, Villa Borsani, al pagamento di un biglietto di ingresso, e poi per un contenzioso con il collettivo che gestiva il centro sociale Macao sull’uso della palazzina di viale Molise 68, uno spazio in disuso ma carico di storia, per un progetto a metà strada tra esposizione di design, alta cucina e networking professionale. Due vicende, insomma, accomunate da un interrogativo di fondo: che Fuorisalone vogliamo? Esclusivo, ma anche escludente (entrambi i termini in fin dei conti vengono dal latino “excludere”, chiudere fuori), o inclusivo e appesantito da lunghe code?

Alcova 2025, Milano
Alcova 2025, Milano

Alcova 2025. Quattro sedi e un focus sul design internazionale

Arrivati al dunque, eccoci in giro per le quattro location di Varedo con una compagine variopinta e multinazionale di colleghi giornalisti e addetti ai lavori. La sensazione è che si sia cercato di avere come riferimento la comunità del design internazionale, quella per cui, alla fin fine, andare in quartieri periferici di Milano come Inganni o Calvairate oppure in Brianza non fa una grossa differenza – sempre di terra incognita si tratta – , così come non ci sono troppe differenze tra un vagone della metropolitana e uno di Trenord – si sta comunque pressati, e trovare una presa per ricaricare il cellulare è una missione ostica. Il rischio è di appiattire il discorso sulla pura estetica e di dimenticare un po’ la specificità dei luoghi, per esempio il fatto che la SNIA, l’ex fabbrica di viscosa e fibre sintetiche in stile razionalista che ospita una parte degli espositori, prima di essere un esempio di archeologia industriale e un set molto fotogenico è stata tante altre cose: un luogo di sperimentazione, per esempio (di prodotti come il Lanital, una fibra autarchica derivata dalla caseina sviluppata in epoca fascista), ma anche una minaccia per l’ambiente per il suo uso di sostanze chimiche inquinanti.
Ma com’è, in definitiva, questa Alcova 2025? Il gioco di mostrare il design, soprattutto da collezione e/o di ricerca, all’interno di luoghi dalla forte personalità – vuoi perché abbandonati e trasformati dal passare del tempo in nonluoghi un po’ spettrali, vuoi perché oggettivamente magnifici come la dimora progettata da Osvaldo Borsani nei primi anni Quaranta – continua a funzionare anche adesso che lo conosciamo a memoria, come certi trucchi di magia. I due spazi nuovi, oltre alla SNIA ci sono le Serre di Pasino, dove l’omonimo barone coltivava solo orchidee di colore bianco, sono di grande impatto scenico. La qualità dei progetti esposti è per lo più alta, anche se in particolare a Villa Bagatti Valsecchi ci si perde un po’ nelle varie stanze e stanzette e si ha spesso una sensazione di déjà vu. Ecco che cosa ci è piaciuto di più.

Le orchidee fantasma di Marcin Rusak

Alcova 2025, Milano
Alcova 2025, Milano

Le sculture create dall’artista e designer polacco che ha fatto delle piante il suo terreno di ricerca principale e del loro carattere effimero un alleato sono “fantasmi” di orchidee perché partono dalla scansione tridimensionale dei fiori e poi la trasformano digitalmente arrivando a un risultato assai lontano dal punto di partenza. Queste forme ormai astratte vengono poi stampate in 3D usando una bioplastica ottenuta a partire dall’amido di mais e sono destinate a decomporsi naturalmente, anche se molto lentamente. Per chi volesse accelerare il processo, basterebbe aggiungere un cocktail di enzimi e batteri. Nelle serre in rovina la presenza di questi fiori insieme artificiali e naturali risulta poetica e intrigante, anche a livello olfattivo visto che, come nella memorabile personale del designer curata da Federica Sala a un Fuorisalone di qualche anno fa, anche qui aleggia nell’aria una fragranza particolare che evoca sottilmente i fiori marciti.

Il progetto Terraformae di Fornace Sant’Anselmo

Alcova 2025, Milano
Alcova 2025, Milano

Sempre all’interno delle serre, è lo spinoff sperimentale di una storica fornace veneta che presenta diversi progetti che spaziano dall’upcycling di scarti industriali ai moduli stampati in 3D. In Eroded, il designer francese Simon Chaouat lavora la materia con l’aiuto dell’acqua che, infiltrandola, porta alla luce gli inerti contenuti nell’impasto trasformandoli in una sorta di decorazione. Un modo intelligente per recuperare i mattoni difettati ridonando loro valore.

L’inno alla pietra lavica di Ranieri

Alcova 2025
Alcova 2025

L’ambiente più grande e più maestoso dell’ex SNIA è dedicato a questa collaborazione dell’azienda campana specializzata nella roccia vulcanica con l’artista Quayola, che ha “sfigurato” dei blocchi di pietra con una serie di simulazioni algoritmiche dell’erosione, con il musicista Rodrigo d’Erasmo che ha creato un paesaggio sonoro ad hoc e con Francesco Meda e David Lopez Quincoces che hanno progettato dei totem usando diversi tipi di mattonelle e tegole in pietra lavica smaltata. I tre elementi dialogano tra loro senza attriti e la loro unione è decisamente scenografica.

Il bagno turco gonfiabile di Warm Weekend

Alcova 2025, Milano
Alcova 2025, Milano

Dietro questo nome divertente si nascondono due giovani designer francesi che, fin dai tempi dell’università, studiano la possibilità di riportare in auge i bagni pubblici come scelta cool e sostenibile per via del risparmio energetico che il loro uso consente. Negli spazi dell’ex fabbrica di fibre tessili presentano un hammam gonfiabile che può essere trasportato e utilizzato dappertutto, o comunque ovunque ci sia una presa di corrente.

Il design tessile di Belgium is Design

La collettiva belga affronta un tema di grande attualità, quello dei tessuti che in questi tempi di fast fashion tendono ad avere una “prima vita” molto breve e pongono il problema del loro smaltimento. I designer rappresentati usano per la maggior parte materiali naturali, e quindi biodegradabili, come le alghe o le radici, oppure riciclano rifiuti tessili (come, per esempio, le camicie che  vanno a comporre le creazioni molto raffinate di Atelier La Gadoue e che arrivano da un centro di raccolta di abiti usati) e non (i rivestimenti dei cavi elettrici dismessi nobilitati da Emma Cogné che li utilizza come fili per tessere).

Artigianato e design dal Guatemala

Alcova 2025, Milano
Alcova 2025, Milano

Il Paese centroamericano è lontano dai radar del sistema design, ciononostante ha una sua ricchezza creativa e culturale tutta da scoprire. La collettiva Guatemala diseña con las manos, promossa dall’ente del turismo guatemalteco, presenta i lavori di quattordici studi di design locali realizzati in collaborazione con artigiani che usano tecniche ancestrali come l’intreccio, valorizzando la ricchezza delle loro lavorazioni. Queste avvengono anche in tempo reale, al piano terra di Villa Bagatti Valsecchi, grazie a tre tessitrici che si alternano nel dare dimostrazioni della tecnica del “telar de cintura” con un particolare telaio legato a un palo o a una colonna.

I vasi di Michael Anastassiades per Monstruous

Il designer cipriota ha disegnato per il brand americano dei vasi scultorei in ceramica che rileggono a modo loro la forma immortale dell’anfora greca usata un tempo per trasportare olio e vino  attraverso il Mediterraneo. I pezzi, in esposizione nel giardino di Villa Borsani, hanno dimensioni generose e uno spessore contenuto, caratteristiche che, riunite, hanno reso la loro realizzazione particolarmente complessa.

Fuori-Alcova: brutal

Brutal 2025, Milano. Photo Stefano Anzini
Brutal 2025, Milano. Photo Stefano Anzini

C’è chi ha avuto l’ardire di imbastire una contro-programmazione a uno degli eventi più seguiti degli ultimi anni posizionandosi proprio accanto, ma in maniera indipendente. Un atteggiamento un po’ punk che va lodato, soprattutto quando, come in brutal, la selezione curata dai designer di FORO Studio è caratterizzata da una grande coerenza di fondo. Il filo logico è l’eredità del brutalismo e i progettisti riuniti in un’infilata di spazi raccolti attorno a un cortile che ospitavano una serie di servizi collegati alla SNIA sono soprattutto emergenti. Avete presente le lampade giapponesi di carta di riso di Isamu Noguchi degli Anni Cinquanta? Il giovane francese Thibault Philip ottiene un risultato abbastanza simile con un materiale a dir poco inconsueto: degli intestini di maiale cuciti insieme, un sottoprodotto dell’industria alimentare.

Giulia Marani

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Giulia Marani

Giulia Marani

Giornalista pubblicista, vive a Milano. Scrive per riviste italiane e straniere e si occupa della promozione di progetti editoriali e culturali. Dopo la laurea in Comunicazione alla Statale di Milano si specializza in editoria a Paris X-Nanterre. La passione per…

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